In questa intervista, Gabriella Zevi ci spiega che la rabbia è il sintomo profondo del nostro essere che abbiamo compresso con schemi e modelli troppo stretti o non più adatti. Accettare il cambiamento, e tutte le delusioni che spesso lo accompagnano, è il primo passo per sviluppare una migliore consapevolezza della nostra natura e della nostra strada.
– Perché la rabbia è così diffusa tra le persone?
Per parlare di rabbia dobbiamo prima comprendere il ruolo del “modello”. Il modello è una struttura che calamita l’energia, la contiene e le dà forma. Si pensi all’impasto per la torta: viene versato dentro la tortiera che poi ne determinerà la forma. Il problema, relativamente al modello, è che non tutti gli “impasti di torta” si trovano d’accordo con una forma precisa. Questo secondo me è il primo vero scontro che il sé dell’individuo, la sua vera natura, si trova ad affrontare, ed è una natura di espressione di amore, di tenerezza, di felicità e di conquista senza scontri che, secondo me, non ha niente a che fare con la visione dell’homo homini lupus… dunque, quando le cose non funzionano, cioè quando il modello è troppo stretto e comprime l’energia, la reazione a questa compressione crea la rabbia.
– In ambito domestico le donne sembrano sempre più coinvolte dalla rabbia…
Un ruolo importante è svolto dalla delusione. Inzialmente, nella coppia c’è la speranza di realizzare un’impresa dalla quale ci si lascia coinvolgere totalmente, ma più si tratta di un modello che in realtà ci sta stretto, più risulta difficile concretizzarlo. Quando ci si rende conto che questa impresa non riesce , ne consegue la delusione ma spesso non riusciamo ad accettarla e a dire “ho fallito”… perché in una relazione il fallimento ha un costo enorme, sul piano individuale, sociale, economico.
La rabbia proviene dal cercare di entrare a tutti i costi dentro un modello che non era quello adatto a noi. La delusione che ne deriva risulta difficile da accettare e tutti i sentimenti coinvolti si trasformano in rabbia.
– Allora una chiave importante è la capacità di accettare la delusione…
Richiamando il processo di individualizzazione di Jung, è chiaro che la comprensione della propria persona proviene dall’esperienza della vita, e se Jung citava l’età dei 40anni come momento di maturità, oggi si può parlare anche di 50anni o 60. E’ certo che arriviamo a sapere chi siamo veramente quando abbiamo preso anche varie “batoste” cioè delusioni grazie alle quali ci siamo messi alla prova. Più è elastica la nostra possibilità di “fallire” e di accettare la delusione, e più abbiamo la possibilità di arrivare con consapevolezza all’età matura, diversamente, la nostra mancanza di elasticità, l’essere rigidi, il non volersi mettere in discussione e l’incapacità di sentire la delusione, induce la trasformazione di questa delusione in rabbia, che cresce tanto più ci opponiamo.
Il rischio è di fare come alcune donne che di solito rimangono accanto al marito anche se ne parlano male dal mattimo alla sera e per il quale provano una delusione profonda. Ma non si scollano dal loro ruolo di moglie e riversano addosso al marito la loro rabbia, lo puniscono perché non possono staccarsene e non possono dire a se stesse e al mondo “ho fallito”, come se il fallimento fosse la fine di tutto. Il che, poi, non è affatto vero…
Chi accetta di fallire e può dire “ho fallito” è una persona elastica che non segue modelli fissi ed ha un super-io non rigido, ha coscienza di sé e del fatto che dopo un fallimento è possibile ricominciare. A volte, invece di un vero e proprio fallimento, si tratta di un aggiustamento o di portare maggiore comprensione ad una certa situazione.
Ricapitolando, lo schema generale che porta all’emersione della rabbia segue queste fasi: rigidità nel modello, conseguente delusione, mancata accettazione di quest’ultima, e rabbia. Ma il processo non finisce qui, può anche portare ad ammalarsi gravemente, perché si riversa sul piano del corpo, quasi come se, sviluppando una malattia dopo un lungo periodo di scontri e delusioni, una donna volesse punire il marito, farlo sentire colpevole o richiedere comunque la sua attenzione.
– Lei si è spesso interessata al ruolo della donna in questa società, cosa vuole dire alle donne di oggi?
Se una donna prende coscienza della sua forza, vitalità, intelligenza, e della sua funzione, delle sue possibilità che trovano espressione anche facendo la madre o la casalinga, allora dà automaticamente valore a quello che fa, ed è diverso se, ad esempio, pensa inconsciamente di essere solo una cameriera.
Quello che conta è come noi valutiamo quello che stiamo facendo, quello che conta è in che modo diamo valore a noi stessi allora gli altri ci riconosceranno lo stesso valore, perché tutto parte da noi. Si può ricoprire un qualunque ruolo,quello che fa la differenza è il senso che abbiamo della nostra persona, il modo in cui esplichiamo i nostri valori e le nostre scelte.
La società moderna è in crisi perché nessuno dà valore alla maternità, come ho accennato nel mio articolo sull’aborto (5 milioni di aborti: lettera aperta); la maternità è stata praticamente inventata “l’altro ieri” perché fino a poco tempo fa le donne partorivano figli per obbligo famigliare…
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