Quando cambiamo il nome alla condizione, e poi accettiamo che siamo noi che la stiamo facendo, che è un processo dentro di noi, che sta accadendo, allora cominciamo a rendere di nuovo fluido il corso delle informazioni dentro di noi.
La malattia smette di essere entità e diviene processo.
Da uno stato di allarme, passiamo a uno stato di ricerca, ascolto, osservazione, evoluzione.
Immaginate se un bambino venisse cresciuto, sin da piccolo, con la credenza che la malattia, ciò che viene chiamato con questo nome, sia un processo che corrisponde a una risposta della intelligenza del nostro corpo a un mutamento delle condizioni.
Come sarebbe la sua percezione della malattia? Come reagirebbe a un sintomo?
Conosco un’insegnante di scuola elementare che ha cominciato a spiegare ai suoi alunni che quando uno in classe starnutiva, e aveva il raffreddore, non era malato, ma il suo sistema immunitario stava già guarendo la condizione e ha riscontrato che molti meno bambini stavano a casa malati durante la stagione invernale.
Quando passiamo dalla condizione al processo, cominciamo anche a recuperare la libertà degli infiniti potenziali che si aprono davanti a noi: assumiamo una prospettiva quantistica nella quale osserviamo probabilità che possono o meno verificarsi.
Torniamo in un flusso liquido di coscienza, se così possiamo dire…
Se siamo noi a “fare” ciò che sta accadendo, si tratta di uno degli infiniti potenziali, e forse potremmo cominciare a fare altro.
Famosa la frase di una delle prime pazienti seguita con il suo metodo ipnotico da Carl Simonton che disse: “Se io ho fatto e sto facendo questo tumore, allora io posso non farlo”.
Fu una dei casi che risposero straordinariamente alla terapia ipnotica con una remissione importante.
Una volta che siamo entrati in questa dimensione del processo, siamo pronti per iniziare a interagire con il processo stesso.
Entriamo nel flusso nel quale possiamo dialogare con ciò che accade.
Allora cominciano le domande, allora siamo curiosi: ci interessano il significato della condizione, il piano simbolico della condizione.
Riappropriandoci del nome della condizione e transitando nel concetto di processo, siamo transitati dal piano oggettivo a quello soggettivo di realtà, nel quale valgono le nostre libere associazioni, i nostri vissuti, la nostra originale individualità, i nostri significati.
E da questo piano giungiamo al piano simbolico, nel quale il soggetto attraversa una fase che fa evolvere la sua coscienza attraverso l’attribuzione di un senso.
È la coscienza, la sua elevazione, il suo lavoro alchemico, che può orchestrare, in alto come in basso, la trasformazione che è insita sempre nella guarigione, a ogni livello, somatico o psichico.
Allora la fase simbolica apre la strada a un ampliamento della coscienza che è funzionale al processo di guarigione.
Questo ci permette di comprendere in che modo il sintomo possa anche essere non solo l’espressione di un conflitto o di una ferita irrisolta, ma anche il trasferimento di un altro problema mediato nel corpo.
L’inconscio cerca di dirci qualcosa attraverso il suo linguaggio, che nella fase simbolica di autoguarigione può essere dunque decodificato. È molto importante sottolineare che non si stabilisce qua una equazione tra sintomo e significato come spesso l’ho sentito spiegare. Non si tratta di trovare per ogni sintomo il significato corrispondente, del genere “ogni sintomo-un messaggio”, bensì di attivare nella persona un movimento di simbolizzazione che espande la coscienza, che mobilita nuove reti neurali, e da nuove reti neurali possono emergere nuove soluzioni creative allo squilibrio che ha originato quello che chiamiamo malattia.
Comprendete allora come la simbolizzazione non vada usata in modo meccanico; mi permetto di dire che nulla mai, o mai più, andrebbe usato in modo meccanico.
La simbolizzazione non significa che una volta che hai trovato il significato del sintomo allora guarirai necessariamente.
Significa che comincerai ad agire sulla neuroplasticità e sull’epigenetica.
Ricercando i significati, la coscienza muta, mutano i network cerebrali che vengono attivati, la ricerca ci spiega come il DNA sia una antenna che risponde alle parole e alle emozioni.
Allora la fase simbolica è di fatto uno strumento neuroplastico ed epigenetico.
Può darsi che già questo conduca alla guarigione del sintomo stesso ma questo è da considerarsi come un effetto collaterale dell’ampliamento di coscienza che agisce come fattore neuroplastico ed epigenetico e dunque catalizza il salto quantico, l’attivazione di un nuovo programma, il mutamento dell’energia.
I casi dei guariti attraverso il processo simbolico dovrebbero essere attentamente studiati dalla medicina convenzionale evidence based, per individuare i fattori coscienziali che hanno influenzato DNA e reti neurali a tal punto da far accadere la trasformazione.
Vediamo alcuni esempi di cosa intendiamo per piano simbolico del sintomo.
Una mia paziente giungeva per un’emicrania.
Nel corso della psicoterapia, dopo un primo parziale breakthrough di rabbia nei confronti della figlia, cominciò ad avere attacchi di prurito violentissimo, che le causavano anche delle vere e proprie lesioni da grattamento.
Mi diceva: “Quando mi vengono questi attacchi di prurito mi strapperei la pelle di dosso”.
Alcune sedute dopo, durante un breakthrough nei confronti della sorella, che era sempre stata ritenuta migliore di lei e che l’aveva umiliata in molti modi, immaginò di scuoiarla, di strapparle appunto la pelle di dosso.
Il sintomo comparso con la mobilizzazione emotiva parlava di un’immagine inconscia che stava per venire alla luce.
Il comparto somatico a volte ci dice in modo localmente preciso qual è il conflitto che vi sta sotto.
Altre volte è l’espressione di un conflitto, ma anche il tentativo di soluzione.
Altre volte ancora il sintomo è un errore di apprendimento, come potrebbe accadere ad esempio nelle fobie e in senso traslato e metaforico anche nelle allergie.
Quando si viene a manifestare una fobia, assistiamo a un inconscio spostamento da uno stimolo che genera un conflitto, come ad esempio la sessualità associata a qualcosa di sporco, a un oggetto in realtà slegato dal conflitto, oppure legato a esso per via di una libera associazione, come un animale: il ragno, ad esempio.
Anche un’intolleranza potrebbe scaturire in un certo qual modo da un’erronea associazione del sistema immunitario di un pericolo a un antigene prima tollerato.
Il sintomo può essere anche un vantaggio, o essere la fonte di un vantaggio o il mezzo per evitare qualcosa di sgradevole […].
Infine può essere anche l’espressione di un debito transgenerazionale.
I cambiamenti epigenetici, infatti, una volta comparsi in una generazione, possono essere trasmessi alle successive: Moshe Szyf, ricercatore della McGill University di Montreal in Canada, studia le interazioni tra madri e piccoli dei ratti.
Alcune madri, nell’esperimento di Szyf, passavano molto più tempo delle altre a coccolare i piccoli, leccandoli e lisciandoli, e questi mostravano da adulti notevoli differenze rispetto agli altri: erano meno paurosi e meglio adattabili e, a loro volta, tendevano a ripetere verso la loro prole gli stessi atteggiamenti ricevuti, come se vi fosse una vera e propria trasmissione di quei caratteri relazionali.
Lo potremmo immaginare come una sorta di DNA emotivo.
Nel piano simbolico abbiamo l’opportunità di decifrare tutti questi codici, e comprendere profondamente come noi esseri umani ragioniamo per simboli e agiamo per archetipi.
Quando siamo nel piano simbolico, ci stiamo avvicinando al mondo archetipico, che, come è ben noto, è il mondo dell’anima, ma anche, e questo forse è meno noto, il mondo della coscienza quantica.
Che siano ereditati per via transgenerazionale, o che si formino nell’infanzia, questi caratteri costituiscono le matrici emotive che guideranno i percorsi dell’energia, le vulnerabilità negli organi target e le memorie che negli organi si adageranno come ricordi biologici e cellulari.
Le fasi dal concepimento alla prima infanzia sono sempre in gioco e i “binari”, le memorie si tracciano lì.
Lo stress infantile gioca infatti un ruolo significativo nelle patologie adulte, come ha dimostrato lo studio ACE (Adverse Childhood Experience) svolto presso l’Università di San Diego.
Si ritiene che possa giocare un ruolo decisivo proprio nelle recidive, le quali sarebbero dunque espressione di una matrice che, dal punto di vista quantico, continua a informare il campo energetico che sottende la biologia di quella persona.
Ecco perché ha senso occuparsi delle emozioni, dei blocchi, delle ferite irrisolte: non per trovare le cause, ma per poter trasformare le matrici, effettuare uno spostamento, come lo chiama la mia paziente Anna C., un cambiamento di posizione che trova nella consapevolezza la sua fonte.
Per raggiungere questo piano non dobbiamo fare altro che chiedere all’inconscio che abita nel corpo. La tecnica Embodying, che ho creato proprio per favorire la capacità di calarsi totalmente nel corpo, si è rivelata molto utile proprio nel far emergere dall’intelligenza corporea, raggiunta attraverso la percezione, la memoria immagazzinata nel soma.
Quando giungiamo in questa fase cominciamo a considerare anche l’influenza del contesto, il che è decisamente un fatto quantistico.
Si tratta di considerare quanto l’energia del campo in cui siamo immersi possa influenzare tutte le nostre risposte.
Il campo può fare la differenza, come spiega molto bene Anita Moorjani nel suo libro Dying to be me: lei, che aveva praticato medicina ayurvedica e attuato pratiche non convenzionali integrate, aveva notato una netta differenza di risultati quando si trovava in India per un periodo e quando faceva ritorno a Singapore dove abitava e si relazionava con persone che non credevano nell’efficacia di quelle tecniche.
Quando era in India era facile che la credenza collettiva fosse allineata con le medicine che stava seguendo e che incontrasse medici aperti da questo punto di vista.
Questo aveva sortito un incremento dell’efficacia delle cure, che invece perdevano di efficacia quando rientrava a Singapore.
Rapportarsi al campo e regolarlo può essere davvero fondamentale: addirittura in alcuni casi il fatto di avere un campo attorno non allineato è stato leva per catalizzare un salto quantico, laddove anziché provare rabbia, la persona è diventata creativa.
Quando gli altri premono, è quello il momento in cui abbiamo la possibilità di trasmutare l’avversità in energia di ricerca.
Una volta che la coscienza ha intrapreso la strada dell’espansione si comincia a palesare nella sua essenza più profonda, quella di essere in fondo soprattutto una spinta evolutiva.
Erica F. Poli
Estratto dal libro Anatomia della Coscienza Quantica
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