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69. LA CHIMICA DELLA PAURA

 

Carissime tutte e tutti,

vi riporto qui sotto l’intervista che mi ha fatto Natascia Bandecchi sul sito Mutamenti.ch

A cura di Natascia Bandecchi

Ho pensato a cosa avrei potuto fare di utile in questo momento storico in stato d’emergenza. Mi sono detta che veicolare informazioni è uno dei miei compiti e quindi ho deciso di raccogliere il punto di vista della Dottoressa Erica Francesca Poli, medico psichiatra e psicoterapeuta.

“Niente se ne va, prima di averci insegnato ciò che dobbiamo imparare” così dice il Buddha. Pensiero che, di questi tempi di pandemia globale, sarebbe cosa buona e giusta maneggiare con cautela per non urtare sensibilità che viaggiano su piani diametralmente opposti. Questo virus invisibile sta bussando violentemente alla porta della paura dell’intera specie umana e sta stravolgendo punti fermi che sino a oggi sembravano inamovibili.

 

– A proposito di paura, cosa succede al nostro organismo quando proviamo paura ?

Esiste una chimica della paura. La si nota molto bene negli animali. Ricordo un particolare quando studiavo medicina e lavoravo presso i laboratori di neurofisiologia – all’epoca studiavo biochimica del settore nervoso. Purtroppo in quegli anni si praticavano ancora esperimenti sui ratti. A volte venivano sacrificati perché facevano parte di un protocollo per testare il loro sistema nervoso. Era risaputo che, il giorno dell’esperimento, quando veniva prelevato il primo gruppo di cavie, immediatamente l’intero stabulario si attivava in “modalità allarme”. Meccanismo che si attiva anche tra gli animali negli allevamenti prima di essere macellati. Questa dinamica si nota negli studi etologici nella Savana: se una gazzella si spaventa perché percepisce il predatore nei dintorni, l’intero branco – anche se non in prossimità della gazzella che per prima si è allertata – si spaventa e fugge.

La paura quindi ha una chimica, e di riflesso una chimica di comunicazione tra esseri umani, ed è velocissima nel propagarsi. Perché? Per una semplice e atavica ragione di sopravvivenza. Se c’è un pericolo, se la paura si attiva in fretta e viene comunicata velocemente tra gli individui della stessa specie, li protegge. È chiaro che, come si attiva la paura, si attivano una serie di meccanismi di sopravvivenza che a livello cellulare sono quelli mediati da due ormoni principali dello stress: l’adrenalina e il cortisolo.

L’adrenalina risponde a uno stress acuto che si muove tra l’asse ipotalamo, ipofisi e surrene. Quindi si attiva la risposta di attacco-fuga e stato di allerta. Quando questo stato d’allerta perdura l’adrenalina si depaupera. Le scorte di adrenalina di riflesso si riducono e contemporaneamente si attiva il cortisolo (l’ormone dello stress cronico). Cortisolo che modifica l’organismo e ha un impatto sul sistema immunitario e su tutti i meccanismi viscerali, ormonali, persino umorali: può aumentare l’irritabilità, l’aggressività, riducendo quindi il tono dell’umore. C’è una chimica quindi che cambia il nostro organismo e che, da un certo punto di vista, lo predispone alla fuga, ma naturalmente altera tutte le capacità relazionali e sociali e incide sul sistema immunitario. Ragione per cui in questi frangenti è importante riuscire a mantenere un equilibrio tra la paura da una parte, ma anche la capacità di regolare questa paura.

In questo momento di stato d’emergenza da Coronavirus, non stiamo fuggendo da un predatore che ci insegue, ma dobbiamo vivere in un campo per un tempo che oggi non siamo in grado di quantificare. È fondamentale quindi preservare il nostro equilibrio.

– Il Covid-19 sta facendo emergere in maniera violenta la paura dello sconosciuto, dell’ignoto. Sta scardinando sicurezze che, fino all’altro giorno, sembravano irremovibili e profondamente solide.

Il Coronavirus incarna i fantasmi, gli archetipi universali che per tutti gli esseri umani fanno capolino nell’inconscio: l’angoscia di morte, il pericolo invisibile. Incarna i demoni della psiche che albergano in noi, come in realtà nell’inconscio collettivo. Per dirla alla maniera junghiana, incarna l’ombra quindi il lato oscuro della forza. Lato oscuro che un virus assume benissimo, perché? Perché non si vede, non è il Tirannosauro Rex che è lì. Un virus è ovunque, viaggia nell’invisibile, non ha frontiere, non ha barriere, non paga il biglietto del treno, non lo fermano alla dogana. La storia umana del resto è costellata da pandemie, epidemie.

– La peste nera del ‘300, la spagnola nel 1918-1920, poi l’influenza asiatica (1957-1960). C’è un insegnamento da queste pandemie che l’essere umano non ha ancora imparato ?

Bella domanda! La considerazione amara è sul fatto che nella storia si denota come ci siano sempre stati cicli e controcicli. L’essere umano solitamente non impara molto dalla storia, e se impara, impara molto meno di quello che potrebbe o forse è la storia naturale di questa dimensione: essere ciclica. È innegabile però che gli eventi si ripetono. Se si osserva in maniera diacronica gli avvenimenti dell’umanità si basa tutto sul ritornare su avvenimenti già accaduti. Qui nasce la domanda: è così che dev’essere – forse sì, in senso filosofico e metafisico. Oppure c’è qualcosa che dovremmo imparare ? È difficile pronunciarsi sul passato ma sul presente possiamo esprimere cosa dovremmo imparare dal Coronavirus o forse cosa ci vuole mostrare, qualcosa che non ha funzionato. Quel qualcosa che non ha funzionato – e non lo dico solo io, ma lo dicevano già in passato epidemiologi, ecologisti, sociologi – è la globalizzazione, quella che esiste oggi ci dimostra tutte le sue lacune. Certo, ha portato innumerevoli vantaggi: circolazione di persone, idee, merci, cultura, però al tempo stesso infiniti rischi, forse poco gestiti o non guardati con lungimiranza. Se c’è qualcosa da imparare oggi, secondo me è farsi carico di cosa significa veramente la globalizzazione e farsi due domande su come gestiamo il pianeta e le risorse.

In termini evoluzionistici la natura, se vogliamo vederla in senso darwiniano, seleziona. Ci sono poi i discorsi sul fatto che non esista solo un’evoluzione per selezione naturale, ci sono anche altre forme di evoluzioni. Indubbiamente la natura seleziona o scarta in base anche a come la specie si inserisce nel suo ecosistema. La selezione darwiniana sostiene: vieni selezionato perché sei il più forte, ma oggi ci sono altri filoni dell’ecologia che dicono: vieni selezionato perché tu sei quello che garantisce l’equilibrio dell’ecosistema meglio di un’altra specie. In quest’ottica l’essere umano rischia di essere scartato dalla natura perché, se c’è una specie che non garantisce l’equilibrio dell’ecosistema, siamo noi. Forse dovremmo farci la domanda: ma noi come stiamo vivendo, cosa stiamo facendo al pianeta? Questa è una grande domanda.

L’altro aspetto, che mi compete anche di più, perché psicologico, è il fatto che in questi giorni di forzata restrizione e isolamento – alcune persone – si sono interrogate sul come vivevano prima. Pazienti miei con cui sto parlando: persone inserite nel mondo del lavoro, avvocati, manager, etc… che mi dicono: “In fondo in questi giorni ho riscoperto il senso di fermarmi, leggere un libro, telefonare a un amico, bere un caffè seduto e non di corsa al bancone.” Persone che si chiedono dove stavano andando prima del Coronavirus, perché forse questi flagelli arrivano per dirci: fermati un attimo, guarda il senso di come stai vivendo, sei ancora in tempo per cambiare.

 

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