Muwmiyah

mem-waw-mem

Io avvolgo da ogni parte ogni mio interrogativo 

Dal 16 al 21 marzo                 

Muwmiyah, in ebraico, significa «mummia»: cioè un involucro magico intorno all’estrema forma di un uomo. Ed è questo, infatti, lo schema della particolarissima intelligenza che l’ultimo dei Settantadue Angeli dona ai suoi protetti. Ciò che appare rinchiuso e immobilizzato, sono le funzioni della mente razionale: il pensiero, la consapevolezza, il calcolo. Ciò che invece le avvolge da ogni parte, sono i poteri delle funzioni irrazionali, dell’intuizione, dell’ispirazione e di tutti gli altri slanci dello spirito che corrono troppo veloci perché la coscienza riesca a seguirne i processi. Ogni Muwmiyah adopererebbe soltanto questi ultimi, se dipendesse da lui: la lentezza dei ragionamenti logici somiglia, ai suoi occhi, a una paralisi mortale; la necessità che le altre persone hanno tanto spesso, di spiegare, giustificare e documentare le proprie ipotesi e opinioni, è per lui una tortura. All’intelletto dei Muwmiyah piace balzare avanti e, subito dopo, più avanti ancora, accumulando in brevissimo tempo tanti lampi di scoperte, e in talmente tante direzioni, che anche se volessero non riuscirebbero, fermandosi, a riepilogarli tutti. Potrebbero perciò diventare magnifici scienziati e filosofi, se la nostra scienza e filosofia attuali non fossero quanto di più lontano esista dalla straordinaria velocità mumiana; e fin da bambini sarebbero considerati dei genî, se le nostre scuole sapessero incoraggiare la multiformità del loro ingegno. Invece, a questi superdotati tocca spesso la sorte degli incompresi, degli incomprensibili anzi, e, per la loro incapacità di adattarsi ai limitatissimi ritmi di apprendimento e di ragionamento dei loro contemporanei, rischiano di finire ai margini – e lì di perdersi invano negli splendidi panorami interiori di cui loro soltanto conoscono le mappe.

Devono assolutamente impegnarsi perché questo non accada. Il loro compito è spalancare i confini della conoscenza; le loro energie naturali sono enormi; e hanno persino una considerevole dose di fortuna su cui potrebbero contare: occorre soltanto che trovino le adeguate connessioni tra la loro predominante parte irrazionale e le esigenze della razionalità. È una ricerca che si annuncia lunga e paziente, certo: e a tal fine è bene che scelgano una professione che li costringaalla pazienza, per quanto all’inizio ciò possa risultare tormentoso. Tengano duro. Tra l’altro, la più intensa tra le loro energie è la Yod: si troveranno dunque a loro agio in tutto ciò che riguardi la medicina e il palcoscenico, e dopo qualche anno di studi approfonditi potranno dar prova dei loro talenti quasi magici, come terapeuti geniali o come capolavori viventi. Rudolf Nureiev era un Muwmiyah, e più ancora Sergej Diaghilev, l’inventore dei Ballets Russes, che scoprì e lanciò Ni=inskij, Stravinskij, Picasso, rivoluzionando tutt’a un tratto la danza, la scenografia, la musica del Novecento. Inoltre in Diaghilev (la cui preparazione era stata assai paziente: aveva solide basi di critico e storico dell’arte e della musica, ed era collezionista e imprenditore famoso) si espresse appieno quel tratto distintivo dei Muwmiyah, che consiste nel trasformare la loro onnivora curiosità in un’inesauribile fonte di idee: come se la loro intuizione fosse capace di disperdersi, sì, tra mille correnti, ma per trarne, da un lato, un’immagine a trecentosessanta gradi di ciò che alla gente potrà, nell’immediato futuro, piacere più d’ogni altra cosa e, dall’altro, un’esatta cartografia di tutti i luoghi in cui si trovano quei potenziali successi.

Non per nulla tra i Muwmiyah si annoverano anche Ovidio (si dice infatti che sia nato il 20 marzo), che nelle sue Metamorfosi ispezionò come un cercatore d’oro tutte le correnti della mitologia; e David Livingstone, che a metà dell’Ottocento risaliva con successo i corsi dello Zambesi e del Niassa – e laggiù, da bravo Muwmiyah, si perse; e, per la caratteristica fortuna mumiana, venne recuperato sano e salvo dopo alcuni anni. I Muwmiyah possono avere grande successo anche nell’esplorare le scienze e la tecnologia, come fu per Rudolf Diesel, l’inventore dell’omonimo, rivoluzionario motore; o magari creando essi stessi territori di esplorazione, come Stéphane Mallarmé, che proprio con l’oscurità dei suoi versi appassionò la Francia colta della fin de siècle: «Ogni cosa sacra e che voglia rimanere tale si avvolge di mistero », scriveva in L’art pour tous, come se avesse appena esaminato il ritratto del suo Angelo. E ancora: «Le religioni si trincerano al riparo di arcani rivelati al solo predestinato: e anche l’arte ha i suoi». Sulle labbra di chiunque altro, sarebbe stata una dichiarazione di fallimento della comunicazione: lui ne ottenne, miracolosamente, l’esatto contrario, convincendo il pubblico che la bellezza consistesse appunto in ciò che alla mente ordinaria non può non sfuggire. Da qui a divenire un maestro di verità rivelate, un profeta, un medium eccelso, il passo è breve: e anche queste sarebbero carriere perfette per i Muwmiyah – purché, ripeto, si prendano prima il tempo di costruire un minimo di interfaccia tra i loro orizzonti sconfinati e le limitate visuali del loro prossimo.

Quanto alla possibilità, invece, di una via di mezzo, di un parttime che limiti al tempo libero l’uso di quelle loro facoltà più ampie, non è proprio il caso di pensarci: le esistenze ordinarie sono luoghi troppo stretti da abitare per individui simili. Vedrebbero troppo chiaramente i lati in ombra della gente normale che vive e lavora accanto a loro: gli incubi, gli orrori anche, nascosti nei silenzi e nelle sfumature delle conversazioni quotidiane – come seppe fare il Muwmiyah Henrik Ibsen nei suoi drammi. E facilmente comincerebbero a sentirsene soffocati, e a odiare quel loro prossimo, come fece il Muwmiyah Adolf Eichmann che, a capo delle SS, sterminava ebrei, gente normale per lui insopportabile.

 

 

Testo per gentile concessione di Igor Sibaldi, estratto dal Libro degli Angeli

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