La “Maschera Sociale”: il caso di Jonathan Noel

Ognuno di noi indossa una maschera che può coprire il nostro vero volto anche per tutta la vita, se non fosse che piccoli e grandi episodi d’un tratto ci fanno mettere in discussione il percorso stereotipato che abbiamo intrapreso…

Dal libro di Suskind, Il Piccione, sbuca Jhohnatal Noel, un personaggio fatto apposta per farci riflettere su una nozione: la maschera che ognuno di noi si abitua a portare per tutta la vita soffoca un’autenticità che forse non potrà mai esprimersi. Dobbiamo a C.G. Jung, psicologo svizzero, la scoperta di quanto sia fondamentale per sentirsi appagati e maturi, la possibilità che gli aspetti più peculiari di noi, l’espressione diretta della nostra natura, trovino spazio nella nostra coscienza e nel comportamento manifesto.

Jonathan, conduce una grigia esistenza come guardia giurata presso una banca. Ormai da 30 anni ha organizzato la propria vita in modo asettico: non è più sposato, non ha amici, abita in una stanza a pensione e svolge il suo lavoro con meticolosità indossando la sua divisa (metafora della maschera). Ha orrore del sudiciume e del disordine. Ha ricacciato nella parte più recondita della sua anima il ricordo dei terribili avvenimenti della sua infanzia: la guerra, la deportazione dei genitori, l’abbandono di sua moglie. Per non crearsi motivi di sofferenza bandisce dalla sua vita le emozioni costruendosi di giorno in giorno una maschera con la quale presentarsi al mondo esterno fatta di modi cortesi, di massima adesione alle regole e comportamenti irreprensibili con cui ripararsi dai sommovimenti dell’anima.

L’incanto viene interrotto una mattina da un piccione che Jonathan trova sulla soglia della sua camera. E’ la giornata che sconvolgerà i suoi fragili equilibri e lo indurrà a guardarsi dentro. Arriverà all’idea del suicidio ma la strada che sceglierà è quella di abbandonare la sua maschera per vivere finalmente la propria autenticità.

Il personaggio esprime in forma di caricatura la tendenza dell’uomo medio a identificarsi con una maschera. Un nome, un’appartenenza sociale, dei ruoli. Crescendo impariamo a conformarci a regole e convenzioni per parlare un linguaggio comune. E in questo percorso, in verità indispensabile per non vivere come disadattati, cominciamo a soffocare più di quanto dovremmo, la nostra individualità fatta anche di creatività, curiosità, emozioni.

Sotto la spinta delle mode ognuno di noi si sente canalizzare sempre più verso una forma di  stereotipata. Assomigliamo sempre più al collettivo, anzi, ne diventiamo un segmento. E non ce ne accorgiamo se non in occasioni fortuite, come per Jonathan, o di grave malessere che si protrae nel tempo. Scoprire e recuperare il nostro Sé profondo significa arricchire la nostra vita. Anche a beneficio di chi ci sta intorno..

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