La scienza dell’estasi

È uscito il nuovo libro di Marco Margnelli, il più autorevole studioso italiano di stati della coscienza.
Per l’autore, neurofisiologo e ricercatore sul campo, la coscienza è più ampia di ciò che si creda.

Fin dalla notte dei tempi l’uomo distingue il sogno dalla realtà, nel senso che riconosce il sogno perché ciò che vi accade non obbedisce alle leggi della realtà fisica nella quale vive durante il giorno, o meglio, nella quale vive mentre è sveglio. Il mondo onirico ha da sempre affascinato poeti e filosofi, artisti e scrittori, mistici e uomini di scienza, ma si è dovuto aspettare Sigmund Freud perché si sentisse il bisogno di studiarlo scientificamente e cioè si cominciasse a cercare di dare una risposta alle mille domande che esso suscita.

Perché sogniamo? A cosa serve sognare? Qual è il vero significato dei sogni? Perché nel sogno tutto è possibile? E’ vero che esistono sogni premonitori? Cosa succederebbe se qualcuno o qualcosa ci impedisse di sognare? E così via da millenni.

Per prima cosa Freud ha stabilito che i sogni servono principalmente a soddisfare desideri che non possono essere soddisfatti nella realtà o, addirittura, per soddisfare desideri che la mente sveglia censura ovvero non ammette di avere. Permettendo la realizzazione fantastica di tali desideri, il sogno scarica le tensioni e riesce a mantenere l’equilibrio psichico. Nei sogni la realizzazione dei desideri può avvenire anche in modo magico, nel senso che gli ostacoli che impediscono la loro soddisfazione nella realtà vengono superati infrangendo le regole del mondo fisico.

Questo aspetto del sogno è stato riconosciuto come una regressione a un modo di pensare infantile, perché i bambini fino a che, maturando, non imparano come funziona la realtà fisica “sembrano vivere nel mondo dei sogni” (e delle favole). Freud ha chiamato questo tipo di pensiero “pensiero primario” in contrapposizione a quello del cervello sveglio che invece ha chiamato “pensiero secondario”. Dunque, se il modo di pensare nel sogno è diverso da quello della veglia è proprio come se avessimo due menti: una per il giorno e una per la notte.

Questa constatazione, tuttavia, fa nascere un bel po’ di domande. Per esempio se è vero che il pensiero primario è il modo di pensare dell’infanzia e che crescere e sviluppare il pensiero secondario significa imparare come funziona il mondo reale, bisogna allora domandarsi non solo perché si nasca ignoranti ma anche perché nel sogno si ritorni bambini… Dietro questa ce n’è poi una ancora più vasta: “imparare a conoscere il mondo”, in realtà, vuol dire acquistare coscienza di leggi e regole che prima non c’erano, che valgono per tutti, vuol dire condividere con i nostri simili una “visione della realtà” precisa e inalterabile, tanto che ciò che non rientra in questi parametri viene etichettato come “impossibile” o/e spesso come “appartenente al modo dei sogni”. Insomma crescere significa imparare la coscienza.

Coscienza e rappresentazione

Ma allora cos’è la coscienza? Evidentemente non è solo la progressiva attribuzione di significato alle cose, agli oggetti, alle persone, ai pensieri o ai sentimenti, e così via. I bambini-lupo e cioè quelle povere creature rapite in giovanissima età da animali selvatici e da loro poi allevati, hanno dimostratoquanto la coscienza sia appresa e anche quanto sia importante l’ambiente nel quale la si impara: solo in ambiente umano si sviluppa una coscienza umana e i bambini lupo, da grandi, resteranno irrimediabilmente dei lupetti, incapaci di parlare e pensare in modo umano: tutti i tentativi per “recuperarli”, come ha dimostrato il caso del bambino lupo dell’Aveyron studiato da Jean Itard e portato sullo schermo cinematografico da Truffaut, potranno al massimo sviluppare un lupo ben addomesticato.

La coscienza della veglia, in realtà, è uno “strumento” che ci serve per adattarci a vivere nel mondo fisico/umano, nel mondo della materia/natura: essa contiene una “rappresentazione virtuale” del mondo mediante la qualericonosciamo i messaggi dei sensi e rispondiamo appropriatamente alle situazioni nelle quali ci veniamo a trovare. In questa rappresentazione un prato può essere solo verde o giallastro, mai violetto, una legnata in testa fa male, gli umani non possono volare e gli animali non parlano. Se vedessimo un prato blu, immediatamente avremmo la sensazione che ci sia qualcosa di sbagliato, se un cane ci rivolgesse la parola e ci accorgessimo di poter andare a fare la spesa volando, dubiteremmo di essere svegli e, forse, correremmo a consultare uno psichiatra.

La rappresentazione virtuale del mondo è un costrutto mnemonico, mentale, edificato mediante le sensazioni. Nei primissimi anni di vita dobbiamo imparare il buio e la luce, il liscio e il ruvido, il caldo e il freddo, il silenzio e il rumore, il peso e la leggerezza, dobbiamo imparare a parlare e a dare un nome alle cose, dobbiamo acquisire l’autocoscienza di noi stessi e dobbiamo sviluppare in modo poderoso il pensiero secondario, fino a che siamo pronti a inserirci nella realtà fìsica e sociale, fino a che siamo “maturi”.

La coscienza del sogno, invece, non contiene nessuna rappresentazione del mondo e accetta qualunque modello di realtà le si proponga, cosi che nel sogno è normale vedere dei prati violetti, è normale che il nostro cane ci parli, non suscita nessuna meraviglia il poter andare al supermercato del quartiere volando invece che camminando. Nondimeno questa coscienza pensa, pensa a modo suo, è vero, però è capace di affrontare problemi e suggerire come risolverli oppure è capace di soddisfare desideri indicibili (secondo Freud principalmente sessuali) purché non continuino ad angosciarci; in altre parole, deve avere – non può non avere un suo modello di realtà che però non può essersi formato attraverso il contatto con la realtà fisica e neppure con il contatto con la realtà onirica perché, come si è detto, nel sogno è possibile qualunque realtà. E allora qual è la forza plasmante, se pure ce ne fosse una, della coscienza del sogno?

Modello nirvana

II “modello di realtà” della coscienza onirica è l’assoluto benessere dell’utero. E’ la condizione “nirvanica” che viviamo per nove mesi prima di nascere. Per nove mesi galleggiamo senza peso nel caldo del liquido amniotico, nel silenzio e nel buio, nutriti ed amati, senza dover fare altro che “stare bene”. Giorno per giorno viviamo il formarsi del corpo, sentendo nascere e crescere gli organi, sentendoli entrare in funzione, sentendo l’energia vitale come una poderosa forza continuamente al lavoro per mantenere il completo benessere e sovrintendere alla nostra incarnazione: il programma operativo della coscienza onirica è “vivere”, “stare bene”, “sopravvivere”, “restare in vita”.

Ogni notte la nostra coscienza tenta di tornare in questo beato nulla, in questa “non realtà” estatica. La coscienza della veglia ha il lontano ricordo di questo “paradiso perduto” e sente poderosa la spinta a riguadagnarlo. E’ un tentativo che trova la sua realizzazione nell’estasi mistica ed è probabilmente per questa ragione che l’uomo nel corso della sua storia millenaria, a qualunque razza o cultura appartenesse, si è applicato a trovare tecniche per l’estasi: vuole/vorrebbe raggiungere lo stato primigenio da sveglio, senza doverlo sognare, perché ha, nebuloso ma incancellabile, il ricordo di averlo provato..

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