L’insostenibile molteplicità della ragione

La ragione, così cara all’uomo moderno occidentale, è percepita da alcuni come “nemica dell’anima”. Eppure, quando usata consapevolmente, diviene strumento importante di interazione con gli altri e di conoscenza di sé stessi. 

Il tema dell’incapacità della ragione dell’uomo di conciliare gli opposti e di ridurre la molteplicità all’unità è di grande importanza e attualità. Siamo in un’epoca molto particolare nella quale l’enfasi posta sulla razionalità, sulla libertà delle scelte individuali, sulla capacità di autodeterminarsi e di raggiungere qualsiasi obiettivo si voglia, si misura con una realtà molto diversa, fatta di conformismo, di indifferenza al cambiamento e di un’acritica accettazione delle opinioni offerte dai mass-media.

Vorremmo anche essere in armonia con tutti e con tutto ma non ci riusciamo: spinte irrazionali ci inducono ad indulgere al protagonismo e all’individualismo. Ci impegniamo perché il mondo sia bello e buono, ma scopriamo quanto costi fatica e di come sia più facile pensare solo ai propri interessi; ci sforziamo di essere felici e di stare sempre bene ma le paure e la malattia sono sempre accanto a noi: insomma un mondo pieno di contraddizioni che oscilla da un opposto all’altro.

Non risulta quindi strano che in un’epoca di apparente benessere, di ricchezza di informazione e di libertà di pensiero stia aumentando sempre più nella nostra vita il senso di irrealtà, di scollamento e di separazione. Tutto va bene, tutto è possibile, non ci sono risposte sicure e non ci sono verità onnicomprensive. Non riusciamo in definitiva a sentirci coerentemente parte del tutto, del cosmo e dei sui fini. Abbiamo l’impressione di essere vittime di un inganno ma senza che la ragione ci aiuti a comprendere qual è e dove è.

Continuiamo a cercare una “via”, una “filosofia”, una “religione”, qualcosa che ci dia una certezza ragionevole per dare un senso a questa vita così piena di contrasti. C’è stato chi, disperato, si è rivolto alla magia, all’occultismo, alle droghe; chi al futurismo e alle sue tecnologie e chi si è convertito all’Oriente, all’interiorità, all’ascesi spirituale e all’abbandono del mondo in una totale trascendenza, disposti a tutto pur di trovare un mondo pieno di senso e dove la ragione possa finalmente acquietarsi.

Ma queste alternative sono semplicistiche; trascurano la nostra storia, il modo in cui si è formato il nostro pensiero e, inoltre, sollecitano a rifuggire l’avversità invece che ad approfondirla, comprendendo il retroterra culturale su cui poggia in nostro inquieto modo di vivere per opposti.

Cominciamo questo breve viaggio alla scoperta delle radici di questa vita così contraddittoria ponendo l’attenzione proprio sul nostro modo di ragionare, perché assurdamente siamo quasi del tutto inconsapevoli di come il nostro pensiero, e la sua struttura logica, condizioni il modo con cui ci poniamo di fronte alla conoscenza dei misteri della nostra interiorità e dei misteri del mondo.

Le radici storiche del nostro pensiero

La tendenza a pensare per opposti non è una “malattia” recente: è talmente radicata nel pensiero occidentale, a partire dai presocratici, da Aristotele e dal neoplatonismo, attraverso la scolastica, fino a Kant, a Hegel e alla teoria dell’informazione, che è quasi del tutto impossibile sfuggire alla sua influenza.

È l’ambito culturale nel quale siamo nati, che ci ha formati, il terreno che ha nutrito la nostra mente e visto che non possiamo sfuggirvi, l’unica soluzione è imparare a conoscerlo. Ricostruiamo quindi brevemente il modo in cui l’uomo-filosofo greco ha cercato, circa tre millenni, fa di avvicinarsi ai misteri della mente e di come le sue ultime risposte hanno condizionato profondamente il nostro attuale approccio a questo tema.

Dioniso, dio degli estremi e degli opposti

La vita appare come continua ricerca di conoscenza e in questo la vita è un fremito che oscilla continuamente, nella percezione dell’uomo, tra estremi opposti, contraddittori, oscuri. La mitologia greca attribuisce questo slancio insondabile a Dionisio, dio della contraddizione, dell’impossibile, dell’assurdo che si dimostra vero con la sua presenza. Dionisio è vita e morte, gioia e dolore, estasi e spasimo, benevolenza e crudeltà, cacciatore e preda, maschio e femmina, desiderio e distacco, giuoco e violenza: la vita nel suo manifestarsi contraddittoriamente e simultaneamente, fuori e al contempo dentro l’uomo.

Il culto orgiastico di Dionisio è stato per molto tempo indicato esclusivamente come una forma di liberazione degli impulsi bestiali; sappiamo invece che nell’orgiasmo dionisiaco possono essere individuati caratteri che si giustificano nella prospettiva di una ricerca di conoscenza: accanto alla liberazione incontrollata dell’impulso vitale troviamo infatti la rottura contemplativa, artistica, visionaria, di un distacco conoscitivo. L’uscir fuori da sé, ossia l’estasi nel significato letterale della parola, libera un sovrappiù di conoscenza; in altre parole solo rompendo l’individualità è possibile “vedere” quello che i non iniziati non possono vedere.

Questa liberazione dai vincoli dell’individuo sociale, dalle condizioni della sua esistenza quotidiana portano l’uomo ad un nuovo stato, la mania, la follia. Ovviamente la follia del saggio e non quella del malato di mente, ossia di colui che volontariamente rompe la sua “normale” e quotidiana coscienza del mondo. L’esperienza dell’anima e del suo misterioso mondo è incomunicabile, in quanto non può esprimersi direttamente, e trova nella poesia e nell’arte un’espressione sostitutiva, compensativa. La parola che non può comunicare le visioni estatiche, può però prepararle, alludervi e forse suscitarle.

L’uomo vuole spiegare

Nello stesso periodo emerge il bisogno di “spiegare” ciò che colgono i nostri sensi e quale sia il rapporto tra uomo, il mondo fisico, l’anima e il divino. Nasce la Filosofia (VII sec. a.C.), il tentativo cioè di cogliere e spiegare l’intero, ossia la totalità delle cose, o almeno come problematica della totalità, attraverso l’intelletto e una delle sue funzioni: la ragione.

Per contrastare il dilagare delle concezioni dei fisici e soprattutto dei sofisti, Socrate elabora una nuova “via” di conoscenza, creando una filosofia che si distingue dalla scienza naturale e dalla ricerca di dio degli orfici e dei pitagorici. Egli, secondo un conosciuto detto di Cicerone, “portò la filosofia dal cielo giù sulla terra”.

Socrate non scrisse nulla, perché la filosofia, come lui la intendeva, non si poteva limitare a qualcosa di scritto, visto che nessuno scritto può stimolare alla ricerca, ma può solo comunicare una dottrina. In altri termini, la filosofia era vista da Socrate come un dialogo continuo, un esame incessante di sé e degli altri e non un insieme di teorie preconfezionate.

E lo scopo della filosofia è quello di aiutare l’uomo a venire in chiaro a sé stesso, portarlo al riconoscimento dei suoi limiti e renderlo giusto. Perciò Socrate prese come suo motto ciò che era scritto sul frontone del tempio di Apollo a Delfi: “conosci te stesso”. E “conosci te stesso” e “aver cura di sé stessi” non vuol dire conoscere il proprio nome né il proprio corpo, ma esaminarsi interiormente e conoscere la propria anima, così come curare sé stessi vuol dire, non già curare il proprio corpo, bensì la propria anima.

“… e invece della intelligenza e della verità e della tua anima, perché ella diventi quanto è possibile ottima, non ti dai affatto né pensiero né cura? … voi giovani e vecchi, non del corpo dovete aver cura né delle ricchezze né di alcun’altra cosa prima e più che dell’anima, sì che ella diventi ottima e virtuosissima”. (Platone, Apologia di Socrate, 29d – 30b).

La cura dell’anima si attua così attraverso il dialogo, ossia con la ragione che, procedendo per domanda e risposta, coinvolge fattivamente maestro e discepolo in un’esperienza spirituale unica di ricerca in comune della verità. Il motto delfico vorrà allora dire, per Socrate, “conosci la tua anima”, “conosci la tua psyche”, giacché l’uomo, nella sua essenza più profonda, non è altro che la sua anima. Socrate non elaborò una logica a livello teoretico, ma fu un formidabile ingegno e nella sua dialettica si trovano i germi che porteranno a future importanti scoperte logiche.

Un tentativo di mediazione

Platone, da buon discepolo di Socrate, nutrì una marcata sfiducia nel libro scritto, perché questo, una volta composto, diventa cosa morta, incapace di comunicare il suo messaggio in modo autentico, e capace di produrre piuttosto l’illusione del sapere che non il vero sapere. Per questo nei suoi scritti cerca di riprodurre il dialogo socratico, imitandone la peculiarità, e facendo di Socrate il personaggio protagonista per bocca del quale parla la stessa filosofia.

Platone ha il grande merito di aver ripensato l’intera filosofia greca unificandone in superiore sintesi tutte le istanze. Egli rivoluziona le categorie del pensiero filosofico, con lui l’opposizione tra sensibile e soprasensibile acquistò una luce tutta diversa e cambiò il problema della conoscenza; in altre parole creò la categoria dell’immateriale nel quale, secondo i filosofi successivi, poteva infine essere pensato correttamente il concetto di divino.

Per quel che ci riguarda, abbiamo visto come lentamente la ragione tende ad affrancarsi dal mondo dell’anima e dal mito, e addirittura lo stesso Socrate condanna le discussioni sui miti perché essi mancano di coerenza con la ragione.

Tutto può essere pensato

Arriviamo così ad Aristotele, plaudito maestro di filosofia per le future generazioni dei razionalisti. Fu certamente allievo di Platone e nei suoi scritti giovanili se ne vede l’influsso, successivamente però, nel tentativo di superare le contraddizioni del maestro, configurò una sua unità di carattere filosofico e dottrinario.

Preoccupazione principale di Aristotele fu quella di trovare degli strumenti mentali necessari per affrontare qualsiasi tipo di indagine. Con lui prende forma la logica, cioè la forma che deve avere qualsiasi tipo di discorso che pretenda di dimostrare qualcosa e, in genere, che voglia essere probante. La logica mostra, quindi, come proceda il pensiero quando pensa, quale sia la struttura del ragionamento, quali gli elementi di esso, come sia possibile fornirne dimostrazione, quali tipi e modi di dimostrazioni esistano, di che cosa siano possibili e quando.

Le conseguenze

Cosa succede quindi con Aristotele? Con il pensiero, educato dalla logica, ci si può occupare delle realtà sia fisiche (il mondo in cui viviamo) sia di quelle che stanno al di sopra di quelle fisiche (metafisiche). Quali però le conseguenze di questo sistema? La logica aristotelica diverrà, nei paesi “occidentali”, il fondamento delle nuove logiche dell’età moderna e con essa si stabiliranno anche le basi dei sistemi di insegnamento della scuola (vedi la scolastica di S. Tommaso).

Non ce ne rendiamo facilmente conto, proprio perché siamo nati, cresciuti e siamo stati educati all’interno di questo sistema di pensiero, ma proprio grazie a questa scelta educativa oggi è possibile vivere e comunicare con le persone che ci circondano.

Ad esempio, quello che è stato scritto in questo articolo, risulta a voi comprensibile proprio perché condividiamo la stessa struttura logica del pensiero; un cinese, educato ad un altro sistema di pensiero, incontrerebbe delle difficoltà enormi a comprendere il significato di certi concetti e dell’uso che ne facciamo. Nel bene e nel male, quindi, siamo figli di Aristotele e dobbiamo accettare il fatto che il suo modo di concepire il mistero della vita e dell’uomo ci ha indotto a pensare che questo sia conoscibile grazie alla ragione.

La necessità della ragione

Ma perché l’umanità, e in particolare l’uomo greco, sente il bisogno di delegare esclusivamente alla ragione il nostro modo di percepire il mondo? Leggiamo cosa dice Nietzsche a questo proposito nel Crepuscolo degli Idoli: “Se si sente la necessità di fare della ragione un tiranno… non deve essere piccolo il pericolo che qualche altra cosa si metta a tiranneggiare. A quel tempo si indovinò nella razionalità la salvatrice… Il fanatismo con lui tutto il pensiero greco si getta sulla razionalità tradisce una condizione penosa; si era in pericolo, non c’era una scelta; o andare in rovina o… essere assurdamente razionali […] Ragione = virtù = felicità significa solamente: si deve imitare Socrate e stabilire in permanenza contro gli oscuri appetiti una luce diurna, la luce diurna della ragione. Si deve essere saggi, perspicui, chiari a ogni costo; ogni cedimento agli istinti, all’inconscio, porta a fondo…”

Quindi il pericolo viene dalle passioni, dagli istinti, dall’assenza di riferimento, dal mistero insondabile della vita, dal caos. Non è più importante cercare la verità, ma attestare il dominio del sapere sulle passioni e della ragione sugli istinti, ragionare equivale a proteggersi, conquistare un territorio, un orizzonte, un confine un luogo dove sentirsi sicuri e tenere lontano da noi tutto il resto. Ecco dove nasce l’opposizione, la duplicità, la contrapposizione.

Cosa possiamo concludere a questo punto? Certamente si sbaglia a condannare la ragione, ad identificarla come la nemica che ci impedisce di raggiungere la serenità e l’armonia. Da ciò che abbiamo detto, dovremmo comprendere come la sua funzione sia quella di proteggerci dal caos che vive dentro e fuori di noi, da quella follia che ben conoscono gli artisti ispirati e gli illuminati.

C’è veramente il rischio di perdersi e in molte vie spirituali ed è proprio questa la prima iniziazione: trasmettere la consapevolezza che l’individualità non è essenzialmente unità ma duplicità, persino doppiezza. Pertanto conoscere come funziona la nostra mente ci può aiutare a smuovere un po’ le opposizioni e le contraddizioni che ci appartengono, in modo da essere meno prigionieri e più capaci di usarle ai nostri fini di ricerca e di comprensione della vita e dei suoi misteri..

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Lascia un commento con Facebook

Torna in alto