Spegnere l’inferno e bruciare il paradiso – II

La complessità del male, lottare contro di esso, debellare le sue forme… è davvero possibile? Eppure sarebbe come voler annullare l’ombra e permettere solo l’esistenza della luce, laddove è nella natura dell’universo fare esperienza di entrambe… Forse, l’unica lotta realmente possibile è quella contro la propria visione dualistica. Seconda ed ultima parte.

Dunque, l’argomento “la complessità del male” è forse meglio espresso con “la complessità della relazione dell’uomo con il male”. Con ciò desidero sottolineare quanto il “male” sia assai meno oggettivo di quanto comunemente inteso. I parametri positivo e negativo sono alquanto soggettivi e dipendono dall’esperienza personale, unica ed irripetibile, così come dalle influenze culturali e religiose del luogo ove essa si svolge.

Anche un argomento “spinoso” come il male, infine, ci pone di fronte alla differenza tra la realtà e ciò che di essa pensiamo.

Un pensiero improntato ad una visione duale ci vede necessariamente suddividere la realtà in un estremo positivo (tutto ciò che a vario titolo è ritenuto buono, bello, desiderabile, piacevole ed é ricercato) ed un estremo negativo (tutto ciò che, per contro, è stimato cattivo, brutto, indesiderabile, spiacevole ed è sistematicamente fuggito). È utile osservare che un tale pensiero ci spinge a dividere l’intero Universo in due parti uguali ed a negare insistentemente quella ritenuta indesiderabile. Un pensiero autenticamente olistico, al contrario, induce alla visione della realtà come di una perfetta unità d’opposti, egualmente utili e necessari, in continua danza armonica che costituisce l’essenza della manifestazione della realtà stessa.

Al fine di portare un poco di chiarezza, propongo di sostituire i termini positivo e negativo con un unico termine: utilità. So che ciò provocherà molti, ma sono ben lungi dall’introdurre un criterio “utilitaristico” (che potrebbe, giustamente, suscitare reazioni d’ordine etico); intendo “utile” nel senso etimologicamente preciso della parola.

Questo pensiero può aiutare ad uscire dal vortice della percezione dualistica; moltissimi concorderanno, infatti, che spesso proprio le esperienze definite negative (e quindi indesiderabili) sono quelle che c’insegnano di più. Non è allora forse vero che anche e soprattutto quelle sono utili? “Vedere” la realtà attraverso il pensiero utile o non-utile, consente di alleggerire il carico emotivo del giudizio positivo-negativo dell’esperienza e del relativo stress, nonché di avviarsi ad una comprensione migliore della realtà stessa, sentiero preferenziale per l’autentica accettazione ed infine per la consapevolezza.

In ultima analisi, significa uscire dal giudizio della mente ed entrare in autentico contatto con la realtà stessa, compresa l’idea del male.

Io penso alla realtà di questa esperienza incarnata come ad un luogo ove mi è consentito sperimentare proprio ciò che mi occorre per evolvere. Uno studente universitario prepara il proprio piano di studi scegliendo quali materie ed esami inserirvi, salvo poi imprecare quando si trova a tentare per la seconda o la terza volta un esame particolarmente difficile; nondimeno, quell’esame gli è utile quanto gli altri al fine della laurea e della preparazione professionale che ha scelto.

Ciò consente d’introdurre un’altra utile considerazione. Molti saranno concordi nell’osservare che talune esperienze ritornano più volte nella vita, finché non se ne sia colto il senso, finché non si è “imparata la lezione”; quando finalmente la lezione è appresa, come d’incanto quell’esperienza non si propone più, lasciando spazio al nuovo.

La visione dualistica positivo / negativo (o, se si preferisce, bene / male) è precisamente ciò che suscita in noi la sofferenza ed il rifiuto di quell’esperienza che, pur poco piacevole, è certamente utile alla nostra evoluzione, alla comprensione di chi sono e cosa voglio essere (non è forse questo il senso dell’essere qui?). Per contro, una visione utile / non utile agevola grandemente l’accoglimento d’ogni esperienza, tanto di quelle facili e piacevoli quanto di quelle difficili e spiacevoli, proprio perché tutte sono, infine, motivo di comprensione e consapevolezza.

Anche i cinque sentimenti di base (Rabbia, Tristezza, Paura, Gioia e Vergogna), nell’ottica del utile / non utile, assumono un significato del tutto nuovo. La paura, ad esempio, è un sentimento disprezzato e temuto; eppure, che ne sarebbe di noi, nell’incontro con un leone nella savana, senza la paura? Finiremmo per fargli le carezze come ad un gattino, perché abbiamo scelto la sola gioia? Credo che finirebbe in un grande … gnamm!

Lo stesso vale per la Rabbia, la Tristezza e la Vergogna; quando accettati e non repressi, questi sentimenti sono utili, anzi essenziali per affrontare specifiche situazioni della vita. Secondo l’insegnamento di Amana Virani (2), questi sentimenti sono, ciascuno, uno specifico potere che ci occorre per la realizzazione nella vita. Quando sono rifiutati e repressi, proprio in ragione del nostro potente preconcetto, mancano di offrirci il loro sostegno quando necessari e, accumulati, finiscono per esprimersi nella loro versione distorta ed eccessiva al minimo pretesto.

Invocando la luce, evochiamo inesorabilmente anche le tenebre; giungono insieme, come una perfetta coppia duale, ed è bene che sia così. Fuggire le tenebre per inseguire la luce è un’illusione terribilmente faticosa; ciò che ci sfianca non è il dolore, bensì la fuga da esso. Esiste una profonda differenza tra dolore e sofferenza, ma questo è materiale per un altro “incontro”.

Trasformare le tenebre in luce è un’altra illusione destinata inesorabilmente a divenire una delusione e, conseguentemente, una depressione. Le tenebre sono lì, proprio come la luce; lottare per sconfiggerle si rivela un’opportunità perduta (perché hanno qualcosa da insegnarci) ed una battaglia persa (perché significa voler cambiare la struttura dell’Universo).

L’unica, autentica e profonda trasformazione cui siamo chiamati è in noi stessi, nel nostro modo di pensare e “vedere” le cose. Non è questo il motivo per cui siamo qui?

Note
(1) “Conversazioni con Dio – vol.1” di Neale Donald Walsh, ed. Sperling & Kupfer, pag. 39.
(2) Amana Virani, insegnante spirituale e Maestro di un lignaggio sciamanico di discendenza Maya.
(3) “L’essenza del reale” Jalal ‘uddin Rumi, ed. Libreria Editrice Psiche.


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