Perdonare è un atto che riguarda soprattutto noi stessi e la nostra capacità di guarire…
“Il perdono è l’unica vendetta approvata dall’universo” dice Silvia Schmidt, sottolineando quanto sia importante comprendere appieno il vero senso di questa pratica antichissima, di cui esistono tracce risalenti ad oltre 4000 anni fa, anche se normalmente lo si associa alla tradizione religiosa giudaico-cristiana o alle principali correnti filosofiche.
Prima esclusivo oggetto di studio da parte di religiosi, di mistici e ricercatori spirituali, oggi il Perdono ha attirato l’interesse della scienza che lo reputa uno dei mezzi più efficaci a disposizione dell’individuo, non solo per superare il senso di colpa, il risentimento e le emozioni negative, garantendo l’equilibrio e il benessere psichico, ma anche come vera e propria medicina per la cura del corpo.
Perdonare nel modo corretto regola la pressione, cura la depressione e riduce anche il rischio di sviluppare malattie cardiache. È dunque nata una vera e propria “scienza del perdono” di cui varie Università americane (tra cui quella del Wisconsin e la Luther University di Decorah) si sono fatte promotrici attraverso gli stupefacenti risultati dei loro studi scientifici. Perdonare conviene più che vendicarsi anche se in alcuni casi, come quelli di assassinio di un familiare, di violenza o di trauma, può apparire alquanto improbabile iniziare un processo di perdono.
Consapevoli che il desiderio di vendetta non è che una tappa lungo la via della riconciliazione, è necessario considerare ciò che la scienza ha dimostrato: il perdono è una chiave fondamentale per riequilibrarsi e per evitare alterazioni mentali e fisiche causate proprio dal ricordo ossessivo che ci ha fatto male.
Perché in alcuni casi è così difficile perdonare? Innanzitutto è bene chiarire che il perdono non si può ridurre a una semplice tecnica terapeutica, ma è un vero e proprio processo composto da quattro differenti fasi: accusa – responsabilità – gratitudine – amore. Se anche solo una di queste tappe non viene metabolizzata completamente, il perdono autentico non avviene e rimane sempre qualcosa di irrisolto ed insoluto. Le suddette fasi conducono a riconoscere i propri conflitti come opportunità per evolversi ed assumersi la piena responsabilità di ciò che si sente, che si prova e che si fa.
Una volta che l’essere umano ha ottenuto questi risultati, raggiungendo la centratura di sé, solo allora può scoprire come trasformare il dolore, l’odio e il rancore in gratitudine e amore così da diventare cosciente di come “le ombre dentro noi stessi sono solo il testimone della presenza della luce”. La risoluzione dei problemi di partenza si trasforma in un semplice effetto collaterale di una comprensione più grande.
Forse, in una società competitiva come la nostra, dove molte persone ragionano in termini di Mors tua, vita mea, non sarà così semplice far comprendere quanto sia conveniente perdonare e sostituire al rancore, all’odio e alla violenza, sentimenti come gratitudine, pace e amore. A perdonare ci vuole coraggio. Ghandi diceva che “solo chi è forte è capace di perdonare” e d’altronde la stessa parola “coraggio” deriva dal latino “cor habeo” che vuol dire “ho cuore”, e non è certo riferita solo alla capacità di essere sfrontati davanti al pericolo, bensì alla capacità di amare autenticamente, senza condizioni, l’altra persona, anche se si tratta di un nemico. Questa è una virtù.
Ti sei mai chiesto in base a cosa viene misurato il livello di evoluzione di una persona o di una nazione? Quando ho scoperto la risposta mi sono meravigliato: la tecnologia. Un paese è considerato più evoluto e potente di un’altro se ha la bomba atomica. Le capacità di attuare una politica di pace, di risolvere i problemi senza il denaro, senza guerre e spargimenti di sangue passano in secondo piano rispetto al livello tecnologico.
Lo stesso avviene per le persone: sei considerato più evoluto se al posto della clava hai l’i-phone, e non in base alle virtù interiori che possiedi e che sei riuscito a sviluppare, come la capacità di perdonare, di amare, la compassione, la sincerità, l’onestà. Il perdono è dunque una vera e propria provocazione per quei cuori che si sono raffreddati e hanno dimenticato qual è il vero coraggio, preferendo punire al posto di amare.
Il significato di perdonare è “dare per eccellenza”, “dare al massimo”, dare senza condizioni: per-donare. Cosa è dunque che si dona? Si dona il rancore, l’odio, la chiusura, la rabbia e tutto ciò che appesantisce il proprio cuore, affinché si crei lo spazio interiore capace di accettare emozioni più elevate. Perdonare è il superlativo di donazione e può avvenire solo come vero atto di amore, capace di creare dentro la persona una profonda esperienza di pace, leggerezza e ritrovata felicità.
Perché dunque perdonare? Per liberarsi dal dolore, per fare terapia, per recuperare una relazione, per stare bene fisicamente, per liberarsi dalle paure e dall’odio che ci avvelena la vita, o c’è qualcosa di realmente più profondo, di infinitamente più importante in questa pratica millenaria? I testi più antichi ci ricordano che “Perdonare è liberare un prigioniero e scoprire che quel prigioniero eri tu”.
San Tommaso scrisse: “Il perdono ristabilisce il legame perduto, la comunione turbata”. E se il legame di cui parlava non fosse quello con un’altra persona ma quello fra l’uomo e l’universo?
Daniel Lumera
22/10/2010
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