Un approccio spirituale alla guarigione e al benessere

Stare “bene” non significa semplicemente “non essere ammalati”, ma soprattutto realizzare potenzialità cognitive, creative e spirituali che appartengono alla natura umana. In questo senso, il “guaritore” è soprattutto un facilitatore di coscienza…

l nostro corpo biologico è il più completo laboratorio di alchimia esistente. L’essere umano è in grado di sintetizzare, attraverso il proprio corpo, migliaia di sostanze. Ogni elemento corrisponde ad un preciso processo che coinvolge aspetti fisici, emotivi, sottili e spirituali.
Esiste una complessa relazione tra gli organi fisici, le energie vitali, i sensi e le differenti essenze che compongono la nostra anima. Ogni parte dell’essere umano non può prescindere dalle altre ed ognuna è al centro di una complessa rete di corrispondenze fisiche, mentali e spirituali.
Capiamo quindi che non solo possiamo idealmente essere il Maestro di noi stessi, ma anche il Guaritore di noi stessi e del nostro corpo.
Le medicine naturali difatti, al fine di ristabilire quegli equilibri indispensabili per la conservazione della salute e del benessere, considerano l’individuo nel suo insieme e nel suo ambiente, come un risultato superiore rispetto alla singola somma delle sue componenti. È l’approccio definito “olistico”.

Secondo la concezione tradizionale, la malattia origina sempre da un disequilibrio energetico causato da diversi fattori: tale scompenso si ripercuote sulla sfera psichica, nervosa ed infine su quella fisica.
Dal punto di vista spirituale – ma anche psicologico – una limitata e confusa consapevolezza di noi stessi e del nostro corpo è già una sorta di “malattia”.
Il corpo e lo spirito sono parti della medesima realtà. Quindi la malattia – in linea generale e non considerando ora gravi o particolari circostanze di carattere straordinario – va vista idealmente come un segno di disequilibrio, una mancanza di armonia dentro di noi.
Possiamo pure pensare alla malattia come alla voce sincronica di un “maestro interiore” che induce alla riflessione su noi stessi, sulla nostra vita e sui nostri valori: il processo di vera guarigione corrisponderebbe dunque ad un processo di comprensione e di crescita personale.

È ovvio che sto descrivendo concetti generali, nella loro idealità, senza fare i conti con “i casi della vita” (sebbene anche qui ci sarebbe molto da disquisire) e le mille situazioni collettive e personali che possono riguardare tutti quanti noi in un ambiente talvolta così malsano (ambiente, educazione, cultura, società, inquinamento, stili di vita e così via).

Secondo le tradizioni della “guarigione spirituale” e per la mia esperienza, attraverso la “canalizzazione di prana”, ad esempio, è possibile ristabilire gli equilibri indispensabili per la conservazione della salute e del benessere.
Secondo le tradizioni spirituali, il prana giunge direttamente dal cosmo, dalle sorgenti della vita: è l’archetipo del benessere, la matrice della salute. Corrisponde allo stato di equilibrio vitale, intelligente e dinamico, che possiamo semplicemente identificare con i concetti ideali di ‘benessere’ e di ‘star bene’, senza limitare questo concetto alla semplice assenza di malattia, ma per riferirci ad un più completo stato di realizzazione.
Stare “bene” infatti non significa semplicemente “non essere ammalati”, ma soprattutto realizzare potenzialità cognitive, creative e spirituali che appartengono alla natura umana.

Il prana è un’energia di cui il guaritore si fa portatore “indifferente”, ovvero senza interferire con le proprie congetture, la propria mente o la propria capacità terapeutica personale, vera o presunta. In questo caso il concetto di “benessere” – e il relativo intervento – è legato piuttosto a quello di prevenzione che di terapia: l’attenzione è tutta sulla persona, sulla vita, sull’espansione del benessere e non sulla malattia, la quale però, una volta manifestatasi, necessiterà del provvedimento terapeutico adeguato, che sia il meno invasivo possibile, tenendo certamente presente la tipologia, l’urgenza e la gravità di ogni singolo caso e i mezzi a disposizione.

Personalmente sono quindi per l’intelligente integrazione dei rimedi.
Da un certo punto di vista il mio atteggiamento appare senz’altro estremo quando talvolta affermo che la chirurgia sia il fallimento della medicina e che la medicina sia il fallimento della prevenzione, senza per questo non considerare i casi specifici e le situazioni di particolare gravità e urgenza, con estremo buon senso, e senza voler essere irrispettoso nei confronti della scienza e della classe medica.
Del resto è anche vero che il “guaritore” nella veste di “terapeuta”, che non gli è propria, non può che eventualmente affiancarsi al medico, senza turbarne minimamente l’operato, in modo tale che il processo di guarigione possa perfezionarsi per via di quell’intervento a monte affinchè il disagio non rischi di riproporsi per vie e problematiche diverse, mai veramente risolte.
Ma il guaritore – per come la vedo io – non deve essere un terapeuta ma piuttosto il “facilitatore” di un risveglio di coscienza: il ritrovato benessere non può che essere una conseguenza naturale di questo processo più radicale.

Mi piacerebbe, quando si parla di pranoterapia, veder spostare il baricentro su questi aspetti più che verso una sorta di scimmiottamento della prassi diagnostica e medica convenzionale, a distinguersi dalla quale sono solo la forma e gli strumenti usati, ma non la concezione, che ancora punta sull’organo, sul sintomo, sulla malattia, ribadendo pertanto un approccio e un intervento terapeutico fondamentalmente fisico (sebbene operato con strumenti bio-psico-energetici) più che olistico.
Il pranoterapeuta con tutti i suoi diplomi e attestati appesi, camice bianco e linguaggio da pseudo-scienziato, tutto intento a valutare cartelle mediche, magari a elargire, illegalmente, diagnosi e implicite prescrizioni e a somministrare quindi energie come fossero pillole, seguendo bizzare tabelle di organi, colori e manovre, non è certamente il mio modello.

Il “guaritore” – in senso sciamanico e stando al mio ragionamento – è soprattutto un portatore di Coscienza, a sua volta coinvolto in un cammino di crescita personale, di conseguenza in grado di aiutare altri a ritrovare uno stato di armonia e a conservarlo. Agisce su un piano spirituale, energetico e sottile, prima di tutto a scopo preventivo ed eventualmente integrativo, complementare e in perfetta armonia con la prassi terapeutica convenzionale, nella quale non entra nel merito, né per fare diagnosi, né per commentare le disposizioni del medico, né per porsi lo scopo di curare specificamente la malattia, cosa che se mai sarà la conseguenza naturale di un processo più ampio: se così deve essere.

Questo tipo di “guaritore” – usiamo questo termine sebbene spesso ambiguo – non trasmette la propria energia vitale, bensì canalizza l’energia universale, per favorire un processo di Coscienza: il risveglio consapevole nella persona delle sue proprie energie, del suo senso di responsabilità, del suo “guaritore interiore”. Si tratta di un processo di comprensione di sé che è vera crescita e benessere del corpo, della mente e dello spirito.
Per la mia esperienza personale essere “guaritori” consiste nel diventare canali di energia vitale (prana) per favorire in sé stessi e negli altri armonia, vigore e salute. Viene richiamata e proiettata l’energia “pranica”, ovvero un modello ideale di equilibrio universale e di benessere globale.

Il termine sanscrito Pranaa significa letteralmente vita, e in seconda istanza viene inteso come respiro. Io amo definirlo come l’archetipo della salute, o meglio, dell’equilibrio e dell’armonia esistenziale. La canalizzazione del prana pertanto non prevede diagnosi e non consiste in una terapia specifica, bensì è il fluire di energia vitale, affinché, per risonanza, possano mantenersi (o ristabilirsi) quegli equilibri esistenziali che “a monte” presiedono al benessere e all’evoluzione del corpo, della mente e dello spirito.
Lo scopo è preventivo più che curativo, sebbene le applicazioni di prana possano eventualmente armonizzarsi con qualsiasi prassi terapeutica. In tal caso l’obbiettivo è quello di “risvegliare il guaritore” che ognuno ha dentro di sé, e favorire un processo olistico di comprensione e di miglioramento della propria vita nel rapporto con sé stessi, con la realtà circostante e con gli altri.
Idealmente la persona può rendersi autonoma ed imparare a divenire a sua volta canale al prana adottando alcune tecniche meditative e respiratorie.

Nelle tradizioni dei nativi il medicine-man sostiene e trasmette il suo “potere” attraverso l’esaltazione del suo personale carisma così come mediante suggestioni ed espedienti: io stesso, in Africa, ho assistito a metodologie molto bizzarre, presso una tribù del Camerun; eppure, in fin dei conti, una volta finita la messa in scena, lo stregone mi ha confidato la sua reale opinione sul fenomeno della guarigione come fenomeno della coscienza ed esprimendosi in maniera affatto simile a come mi sono espresso io in questo paragrafo: “La vera guarigione il guaritore la vive sempre dentro di sé, caso per caso, e di riflesso innesca un processo di comprensione nel malato: questo è ciò che deve veramente accadere, tutto il resto è teatro”.

Ancora più interessante, dal punto di vista della nostra metafisica, è il concetto di “riconnessione” […] applicato alla terapia: rimuovendo le cause che stanno a monte del disagio la persona si sposta su di una linea di realtà nuova, sana, che modifica anche il suo passato: in tal modo non è che “guarisce” ma non è mai stata ammalata.

Tratto dal libro Anima e Realtá di Carlo Dorofatti (Nexus Edizioni, 2011)
Fonte: www.animaeventi.com

Carlo Dorofatti è moderatore del convegno Guarire: oltre la cura che si tiene a Milano Sabato 12 Novembre 2011 presso la Libreria Esoterica (Gall. Unione 1 – ang. Piazza Missori)

 

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