La meditazione agisce davvero sul cervello

La meditazione agisce davvero sul cervello

Sono ormai numerosi gli studi che dimostrano come le tecniche meditative provocano effetti positivi sul cervello, contribuendo a risolvere stati di ansia e depressione, oltre a potenziare la guarigione da varie patologie.

Meditare significa produrre effetti duraturi sul proprio cervello. Lo dice una ricerca del Massachusetts General Hospital e della Boston University pubblicata su Frontiers in Human Neuroscience.
Stando ai test effettuati su due diverse tipologie di meditazione, l’effetto prodotto andrebbe oltre la pratica stessa e si proietterebbe anche a distanza di tempo.

I ricercatori hanno verificato l’efficacia della meditazione compassionevole e della meditazione da attenzione consapevole. Gli effetti sono stati registrati attraverso risonanza magnetica cerebrale.
Stando ai risultati, la prima ha aumentato la reazione dell’amigdala nei confronti degli stimoli negativi, aumentando in tal modo la capacità di provare compassione per gli altri. Nel secondo caso, la pratica ha mostrato una riduzione dell’amigdala destra in risposta a stimoli negativi e positivi, suggerendo l’idea che la meditazione possa aumentare l’equilibrio emotivo e allontanare lo stress.

Meditare quindi rappresenta un vero toccasana per la salute psicofisica. Lo dimostra anche una ricerca dell’Università di Sidney pubblicata sulla rivista Evidence-Based Complementary and Alternative Medicine. I ricercatori, guidati da Ramesh Manoch, hanno utilizzato i dati provenienti dal programma federale National Health and Wellbeing Survey e li hanno comparati con i risultati ottenuti dalla valutazione di circa 350 australiani che erano dediti alla meditazione da almeno due anni, scoprendo che “lo stato di salute e di benessere delle persone che hanno meditato per almeno due anni era significativamente più alto nella maggior parte delle categorie salute e benessere rispetto alla popolazione australiana”.

Nell’ambito della salute mentale, è emerso che i soggetti che utilizzavano la meditazione da un tempo più lungo presentavano una condizione psicofisica migliore del 10 per cento rispetto alla popolazione generale. I meditatori vivevano l’esperienza del silenzio mentale più volte in una giornata e per più di qualche minuto alla volta. Secondo gli studiosi, esisteva una correlazione forte tra frequenza della meditazione e la condizione di salute mentale.

Sono ormai numerosi gli studi pubblicati, recentemente riassunti da un editoriale di JAMA, la rivista dei medici americani, che documentano l’efficacia delle tecniche antistress e meditative per combattere l’ipertensione, l’ischemia del miocardio, il dolore cronico, la malattia infiammatoria intestinale, le infezioni, le dipendenze da droga e da cibo. In queste e in altre condizioni gli studi attestano il valore aggiunto della meditazione: infatti quando essa viene affiancata alla terapia standard, i pazienti hanno un miglioramento superiore alla norma.

Per esempio, una recente ricerca sistematica del gruppo di E. Ernst ha dimostrato che in persone con depressione ricorrente e ansia cronica, l’affiancamento della meditazione alla normale psicoterapia e psicofarmacologia favorisce il recupero nei due terzi dei pazienti, percentuale non raggiungibile con il solo trattamento standard.

Anche in Italia cominciamo ad avere esperienze al riguardo. Uno studio, presentato al recente Congresso della Società italiana di Psiconeuroendocrinoimmunologia (SIPNEI) da Francesco Bottaccioli, presidente onorario della società scientifica, da Antonia Carosella, insegnante di tecniche meditative, dalle psicoterapeute Raffaella Cardone e Monica Mambelli, dalla psicologa esperta in statistica Marisa Cemin, ha preso in esame oltre 70 partecipanti ai corsi di “Meditazione a indirizzo Pnei” condotti da Carosella e Bottaccioli.

I partecipanti ai corsi sono stati studiati con il Symptom Rating Test, uno strumento scientifico che consente la valutazione del cambiamento sintomatologico. All’inizio del corso il punteggio totale della sintomatologia era di 18,9. Il test alla fine del corso (retest) ha registrato 5,8, con una riduzione dei sintomi di più di tre volte rispetto all’inizio del corso. Il Symptom Rating Test è un questionario sintomatologico validato fin dal 1974 che contiene quattro scale per misurare ansia, depressione, somatizzazione e inadeguatezza.

In generale anche la comune esperienza insegna che le persone che sono abituate a pregare, a prendersi spazi di silenzio e di riflessione, a ritagliarsi del tempo di rilassamento da dedicare a sé, sono più calme, serene e tranquille e, spesso, hanno una predisposizione migliore nei confronti della vita e degli eventi che in essa possono accadere.

Andrea Sperelli per www.italiasalute.it.

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