Verso un’Architettura Quantica

È arrivato il momento di creare un’Architettura quantica che basi le sue fondamenta scientifiche sulla Fisica Quantistica e quindi sull’evoluzione spontanea dei linguaggi: dove incida la realtà, il genius loci, il sociale, il fruitore, l’osservatore e dove il tempo non sia lineare…

 

L’Architettura e il salto quantico

Le discipline scientifiche e filosofiche hanno avviato negli ultimi anni un processo di revisione epistemologico. Anche l’Architettura dovrebbe fare una riflessione su se stessa, con una modalità che vada oltre quella prettamente linguistico–filosofica autoreferenziale, alla quale ci hanno abituato i critici contemporanei tra i quali J. Derrida (Derrida, 2008), ma con una modalità nuova, attraverso l’osservazione di un terzo soggetto.

Quello che sta accadendo al progetto d’Architettura è paragonabile a quello che è successo al paradigma della Fisica classica negli ultimi decenni. Entrambe le discipline hanno subito un salto quantico. Si è verificata l’entrata in gioco nell’ipotetico tavolo da biliardo (con relative palline e birilli), dell’osservatore, ovvero di colui che osservando influenza il progetto. La lettura dell’evento architettonico in ottica quantistica prevede la presenza di un terzo attore, “l’osservatore” che influenza con l’osservazione l’evento architettonico. Gli attori dell’“evento architettonico” sono sempre stati il “progettista” e il “committente” (fruitore).

Cosa si intende per “quantico”

La “Fisica classica”, a partire da Newton fino a Einstein, ha avuto un successo strabiliante nello spiegare i fenomeni di larga scala che vediamo, come i movimenti dei pianeti e delle galassie. Tuttavia all’inizio del XX secolo i progressi della scienza hanno rivelato un frangente naturale in cui le leggi di Newton sembravano essere del tutto inapplicabili: il minuscolo mondo dell’atomo. Sia nell’infinitamente piccolo che nell’infinitamente grande, gli scienziati hanno cominciato a osservare fenomeni ritenuti inspiegabili dalla Fisica tradizionale. È nata quindi la necessità di sviluppare un nuovo tipo di Fisica, con regole capaci di spiegare le eccezioni alla nostra realtà quotidiana: i fenomeni che accadono nel regno della Fisica Quantistica.

Quantum significa “una quantità discreta di energia elettromagnetica”, si tratta quindi della sostanza di cui è fatto il mondo, ridotta all’essenza. I fisici quantistici hanno scoperto che ciò che percepiamo come materia solida in realtà non lo è affatto. Essi ritengono che per esempio ciò che vediamo come una figura di triplo axel nel pattinaggio artistico durante un programma sportivo, in realtà è costituito, in termini quantistici, da una serie di eventi singoli e ravvicinati che si svolgono molto velocemente. La vita si manifesta sulla base di brevi e minuscole esplosioni di luce, denominate “quanti”.

I quanti della vita quotidiana pulsano con tale rapidità che il nostro cervello si limita a calibrare le pulsazioni in modo tale da crearci l’impressione di un’azione continuativa.

La nostra scienza, al momento, ritiene quindi che la Fisica Quantistica riguardi il modo in cui piccole particelle interagiscono tra loro. Queste particelle sono piccolissime; sono particelle di luce, molecole di DNA e altri prodotti della teoria onda/particella, e sono talmente piccole che per vederle occorre un microscopio elettronico. Questa è quella che viene definita Meccanica Quantistica e viene osservata solo nel molto piccolo.

E qui c’è già un rebus. Sapevate che la luce e altre materie passano regolarmente da onde a particelle? Sapevate che la luce si trasforma in particella quando viene osservata da un essere umano? Ora, come fa un sistema matematico a “percepire” che viene osservato?

Sapete già che l’energia quantica potrebbe essere ben diversa da qualsiasi cosa abbiate in mente. E se non fosse affatto fisica? E se l’energia quantica fosse “l’impronta digitale del creatore”? Sarebbe fisica e avrebbe anche una coscienza. Ma allora, forse, sarebbe troppo strano.

La Fisica Quantistica ha avuto un grande successo nel descrivere il comportamento di cose più piccole dell’atomo, un successo tale da permettere la creazione di un set di “regole”. Sebbene queste regole siano poche e semplici, descrivono esattamene il comportamento delle particelle a livello subatomico.

  • Le “leggi” della Fisica non sono universali, perché su scala ridotta le cose si comportano diversamente rispetto alla scala del mondo quotidiano.
  • L’energia può esprimersi sia in termini di onde che di particelle e talvolta può assumere entrambe le forme.
  • La coscienza dell’osservatore determina il comportamento dell’energia.

È importante però ricordare che le equazioni della Fisica Quantistica non descrivono la reale esistenza di particelle. Descrivono solo il potenziale di esistenza delle stesse, cioè dove potrebbero essere, come potrebbero comportarsi e quali proprietà potrebbero avere.

Inoltre tutte queste caratteristiche si evolvono e si modificano col tempo. Il mondo, la vita, e il corpo fisico di ognuno di noi esistono sotto queste spoglie perché sono stati scelti così prendendoli dal mondo delle possibilità quantistiche.

Quale fra le molte possibilità diventa reale sembra essere determinata dalla coscienza e dall’atto di osservazione. L’oggetto della nostra attenzione diventa realtà nel nostro mondo. Questa è un’area della teoria quantistica che Einstein stesso trovò problematica, quando affermò: “Ritengo che una particella debba avere una realtà separata indipendente dalle misurazioni” (Seelig, 1956). In questo contesto, “le misurazioni” equivalgono all’osservatore, cioè noi.

Il mistero del perché servano due blocchi di regole per descrivere il mondo può essere fatto risalire a un esperimento svolto per la prima volta nel 1909 dal fisico britannico Geoffrey Ingram Taylor. È conosciuto come l’esperimento della doppia fenditura (double – slit experiment), esso consiste nel proiettare particelle quantistiche attraverso una barriera che contiene due piccole fessure al fine di misurare come vengono rilevate all’uscita.

Le prove hanno dimostrato che in un dato momento, tra il punto di partenza e quello di arrivo, alle particelle accade qualcosa di straordinario: gli scienziati hanno scoperto che quando un elettrone passa attraverso la barriera in presenza di una sola apertura, si comporta esattamente secondo le attese, comincia e finisce il viaggio come particella. In tal caso non presentando sorprese. Al contrario, utilizzando due aperture, quello stesso elettrone fa qualcosa di apparentemente impossibile. Sebbene inizi con certezza il suo percorso in quanto corpuscolo, strada facendo accade un evento misterioso: l’elettrone passa attraverso le fessure simultaneamente, come soltanto un’onda di energia può fare, imprimendo sul punto di arrivo finale il tipo di schema energetico che solo un’onda è in grado di produrre.

La sola spiegazione possibile è che la seconda apertura ha in qualche modo costretto l’elettrone a viaggiare come se fosse un’onda, pur giungendo a destinazione con la medesima forma di partenza, ovvero particella. Si giunge quindi a una conclusione: in qualche modo la conoscenza che l’elettrone ha di due possibili strade da percorrere è nella mente dell’osservatore, ed è proprio la coscienza di chi osserva a determinare come viaggia l’elettrone.

La base dell’esperimento è che talvolta gli elettroni si comportano secondo le attese. Quando ciò accade le regole del mondo ordinario in cui le cose sono distinte e separate sembrano essere valide. Tuttavia in altre occasioni gli elettroni sorprendentemente si comportano come onde. Quando questo accade occorrono regole quantistiche per spiegare tale comportamento.

Storicamente gli scienziati si rivolgono verso una tra le tre teorie principali per spiegare l’esperimento della doppia fenditura:

  • L’interpretazione di Copenhagen.
  • L’interpretazione degli universi paralleli.
  • L’interpretazione di Penrose.

L’interpretazione di Copenhagen

Nel 1927, i fisici Neils Böhr e Werner Heisemberg dell’Istituto di Fisica Teoretica di Copenhagen hanno cercato di dare un senso alla quantistica weirdness che le nuove teorie stavano rivelando. I risultati del loro lavoro vanno sotto il nome di “interpretazione di Copenhagen”. Questa resta ancora oggi la spiegazione più ampiamente riconosciuta rispetto al motivo per cui le particelle quantistiche agiscono in un dato modo.

Secondo Böhr e Heisemberg l’universo esiste in quanto numero infinito di possibilità sovrapposte. Esse sono tutte presenti, in una specie di zuppa quantistica, e non hanno né una collocazione spaziale né uno stato di esistenza preciso, finché qualcosa non accade per fissare al suo posto una delle possibilità. Quel “qualcosa” è una persona che osserva, il semplice atto di osservare. Come prova l’esperimento del 1909 del fisico britannico Geoffrey Ingram Taylor, quando guardiamo qualcosa, come un elettrone che viaggia attraverso la fenditura di una barriera, l’atto stesso di osservare è ciò che sembra trasformare in realtà una delle possibilità quantistiche. A quel punto, tutto ciò che vediamo è la versione su cui ci siamo focalizzati semplicemente osservando o ponendo il primo mattone di un’Architettura che abbiamo progettato.

La teoria degli universi paralleli

In effetti, dopo l’interpretazione di Copenhagen, l’interpretazione più nota per il comportamento bizzarro delle particelle quantistiche è proprio quella degli universi paralleli. Il primo a proporla nel 1957 è stato un fisico dell’università di Princeton, Hugh Everett III. In modo simile all’interpretazione di Copenhagen, lo scienziato sostiene che in ogni dato momento si realizza un numero infinito di possibilità e che tutte esistono già e accadono simultaneamente.

La differenza fra questa teoria e la precedente è che nel caso dell’interpretazione degli universi paralleli ciascuna possibilità accade nel proprio spazio e non può essere vista dagli altri. Si parla di spazi unici denominati universi alternativi.

In apparenza si viaggia lungo una linea temporale relativa a una unica possibilità localizzata in un dato universo e ogni tanto facciamo un salto quantico in un’altra possibilità situata in un universo differente. L’interpretazione di Everett sostiene che noi esistiamo già in ognuno di questi universi paralleli.

Viene percepita solo la possibilità sulla quale l’osservatore si focalizza. In realtà siamo in presenza di un multiverso. (Braden, La matrix divina, 2008). Risulta evidente come esistano realtà parallele, quantiche, dove i percorsi progettuali si manifestano su binari separati che non si intersecano ma esistono contemporaneamente creando realtà architettoniche differenti.

L’interpretazione Penrose

In maniera simile alle altre interpretazioni, negli anni più recenti è stata proposta una terza teoria che ha preso il nome dal suo autore Sir Roger Penrose (Penrose, 2004), docente di matematica presso l’università di Oxford. Penrose conferma che a livello quantistico esistono molte possibilità o probabilità. La sua teoria però si discosta dalle altre rispetto all’agente del “fissaggio” di una determinata possibilità della realtà.

Penrose ipotizza, come vedremo più avanti nella trattazione, che le possibilità quantistiche delle altre dimensioni siano una forma di materia. Poiché tutta la materia crea gravità, ogni possibilità ha il proprio campo gravitazionale. Ma per mantenerlo occorre energia; e più energia una probabilità richiede, più è instabile. Dato che è impossibile sostenere abbastanza energia per mantenerle tutte in essere per sempre, alla fine collassano in un unico stato, quello più stabile tra tutte, che percepiamo in termini di “realtà”.

Non entro nel merito della validità di una teoria rispetto all’altra, piuttosto risulta interessante dimostrare come l’Architettura Quantica tragga origine, in termini di concezione progettuale, da queste stesse teorie.

Verso un’Architettura Quantica

“… non abbiamo il diritto di logorare la nostra forza, la nostra salute e il nostro coraggio per colpa di un cattivo strumento; lo si butta via, lo si sostituisce con uno nuovo” (Corbusier, 1984).

In una realtà quantica, i riferimenti progettuali, dunque, non sembrano essere più gli stessi. La teoria architettonica per sua natura è sempre stata legata all’evoluzione della Fisica classica e gli stilemi architettonici contemporanei, razionalisti, funzionalisti, decostruttivisti, sono ancora “figli” della Fisica meccanicistica che per centinaia di anni ha dato una spiegazione scientifica dell’ordine e della natura dell’universo, basandosi sul costrutto che tutto fosse prevedibile e facilmente spiegato. Renè Descartes sviluppò una visione secondo cui l’universo opererebbe come una specie di automa secondo principi conoscibili.

È arrivato il momento di creare un’Architettura Quantica che basi le sue fondamenta scientifiche sulla Fisica Quantistica, su quelli che sono i principi generali di questa nuova Fisica e quindi sull’evoluzione spontanea dei linguaggi: dove incida la realtà, il genius loci, il sociale, il fruitore, l’osservatore e dove il tempo non sia lineare.

Dal libro Architettura Quantica di Maurizio Cinà, Anima Edizioni.

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