Chi ha ideato per primo i Tarocchi? Quando? Cosa sono e a cosa servono? Articolo di Carla Maria De Bortoli, estratto dal suo libro Enneagramma, Tarocchi e Cristalli (Anima Edizioni).
Chi ha ideato per primo i Tarocchi? Quando? Cosa sono e a cosa servono? Queste sono le parole con cui lo studioso ed esoterista francese Eliphas Lévi, vissuto nell’Ottocento, descrive i Tarocchi:
Quella dei Tarocchi è un’opera monumentale e singolare, semplice e forte come l’architettura delle piramidi e, di conseguenza, duratura quanto le piramidi stesse; un libro che riassume tutte le scienze e le cui infinite combinazioni possono risolvere tutti i problemi; un libro che parla e fa pensare; ispiratore e regolatore di tutte le concezioni possibili; forse il capolavoro dello spirito umano e, senza alcun dubbio, una delle cose più belle che ci ha lasciato l’antichità. È un’autentica macchina filosofica che impedisce allo spirito di smarrirsi, pur lasciandogli l’iniziativa e la libertà; è la matematica applicata all’assoluto, è l’alleanza del positivo all’ideale; è, forse, infine, quanto il genio umano ha mai concepito di più semplice e insieme di più grande.[1]
Gli interrogativi posti all’inizio del capitolo sono stati oggetto di discussione per numerosi studiosi e ricercatori. Qualcuno fa risalire i Tarocchi addirittura alla mitica Atlantide. Uno studioso francese, Antoine Court de Gébelin, li attribuì all’Egitto dei faraoni. Secondo questo intellettuale, il dio Thot – rappresentante della scienza, della scrittura e della magia – avrebbe indicato nei Tarocchi il cammino iniziatico degli adepti. Credenze popolari dicono che sarebbero stati gli zingari – gitani provenienti dalla Spagna – i primi a utilizzare i Tarocchi a scopo divinatorio.
Nelle cronache europee del XIII secolo si parla dell’uso di carte da gioco. Il mazzo più famoso è quello dipinto per la famiglia Visconti Sforza intorno al 1430.
Da Milano ci spostiamo nel Sud della Francia, a Marsiglia, dove […] troviamo un’antica citazione (XIV secolo) presso l’abbazia di San Vittore, nella quale viene menzionato il divieto ai monaci di dedicarsi al gioco delle carte. Interessante immaginare che monaci e i religiosi possano essere stati i custodi delle misteriose carte. Eliphas Lévi ipotizzò la relazione tra Tarocchi e Kabbalah ebraica e ispirò Oswald Wirth, un esoterista interessato allo studio dei simboli. Wirth fu l’autore della più famosa e completa opera dedicata ai Tarocchi: un’opera intrisa di mistero – sicuramente ispirata – che gli ha consentito di ridisegnare i Tarocchi, provando a risalire alle autentiche lame della tradizione. Molto prima di lui, il grande filosofo e maestro illuminato Giordano Bruno ha citato i Tarocchi in una sua commedia intitolata Il Candelaio: si tratta di una commedia ambientata a Napoli nel 1500 circa, in cui fa riferimento al gioco dei Tarocchi e all’ars mnemonica di cui il filosofo era un grande esperto.
Aver trovato uno scritto di Giordano Bruno, che considero uno dei più grandi maestri nella storia per il risveglio e la crescita dell’essere umano, in cui cita i Tarocchi è cosa straordinaria. Probabilmente i Tarocchi erano considerati un grande gioco di memoria che racchiudeva le meraviglie del mondo visibile e invisibile; con le loro immagini ricche di simboli e di allegorie, erano come un grande dipinto da adattare all’arte della memoria.
Anche Carl Gustav Jung era molto interessato alla simbologia dei Tarocchi e li definì come “immagini psicologiche, simboli con cui si gioca […] e le differenti combinazioni corrispondono al giocoso sviluppo degli eventi nella storia dell’umanità”.
Secondo Jung, i Tarocchi ci aiutano ad aprire una strada verso l’inconscio […] allo scopo di innalzarci verso un nuovo livello di consapevolezza. L’Arcano dei Tarocchi che ci appare durante una lettura parla, quindi, alla nostra anima, al nostro sé profondo.
Ancora, il filosofo russo Ouspensky, che studiò i Tarocchi, sostiene che, se una persona fosse in grado di leggere correttamente il significato degli Arcani, in pochi anni potrebbe acquisire la “conoscenza universale”. Ouspensky è l’autore di Frammenti di un insegnamento sconosciuto, in cui descrive l’incontro con Gurdjieff e i lavori di ricerca che facevano con il loro gruppo iniziatico[2].
[…] Vi rimando alla lettura de Il codice dei Tarocchi di Carlo Bozzelli (il mio insegnante), che con competenza e cura scrive della storia, della struttura dei codici e delle leggi che governano i Tarocchi. Come dice Bozzelli[3]:
I Tarocchi non sono affatto un semplice gioco ideato per il divertimento di un duca rinascimentale. […] I Tarocchi, difatti, possono consentire all’individuo di sperimentare una Saggezza che può istruirlo tanto su questioni quotidiane quanto su temi di rilevanza esistenziale. Al contempo, rappresentano un Cammino Iniziatico composto di precise tappe che presenta la possibilità, a chiunque ne avverta l’urgenza interiore, di avanzare verso la piena realizzazione e il contatto con il proprio sé superiore.
I Tarocchi sono un insieme di 78 carte, definite Arcani. Le 78 carte o lame dei Tarocchi sono divise in 22 Arcani Maggiori e 56 Arcani Minori. Si chiamano anche al singolare Tarot (sostantivo singolare di origine francese), poiché costituiscono un’unità, un’unica intelligenza, un Uno.
[…] I Tarocchi non sono tanto un mezzo per predire il futuro quanto uno strumento per preparare il nostro futuro. Sono uno strumento che ci aiuterà a dare un senso alla nostra vita. Basta volerlo!
Carla Maria De Bortoli
Estratto dal libro Enneagramma, Tarocchi e Cristalli
Note:
[1]. Tratto dalla rivista L’Eterno Ulisse, anno 3, n. 9, pag. 46
[2]. P.D. Ouspensky. Frammenti di un insegnamento sconosciuto. Roma, Astrolabio, 1976.
[3]. C. Bozzelli. Il codice dei Tarocchi. Milano, Anima edizioni, 2012.
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