Il Giudice Interiore

Il Giudice Interiore guida la nostra vita creando un sottofondo di giudizi, valutazioni e ammonizioni costantemente presenti e col quale dobbiamo misurare noi stessi e le nostre azioni in ogni aspetto della realtà quotidiana…

 

Cos’è questa presenza dentro di noi di cui siamo a volte vagamente, a volte acutamente, consapevoli e che chiamiamo Giudice Interiore?

Il nome che Freud dà al Giudice, “Superego”, ben esprime il suo ruolo: il Giudice è sopra l’ego, più in alto dell’ego, e il suo nome richiama immagini di controllo e di dominio, immagini di genitori sovrastanti il bambino, immagini del triangolo con l’occhio di Dio che scruta e giudica i peccatori sulla terra.

Sandra Maitri, un’insegnante del sistema conosciuto come Ennegramma, scrive:

Come implica il nome usato originariamente da Freud in tedesco – Uber Ich – la sua funzione è di supervisore dell’Ich, il nostro senso dell’“Io”. Esso mantiene e difende lo status quo della personalità attraverso le sue ingiunzioni e ammonizioni, dicendoci cosa fare e come essere, cosa è accettabile in noi e cosa non lo è. Il Superego valuta la nostra esperienza in termini di buono e cattivo, giusto e sbagliato, da accettare e condannare, e così via. (Sandra Maitri, The Spiritual Dimension of the Enneagram, Tarcher & Putnam, New York 2000, p.37)

Ma da dove viene? Come si è formato? Perché abbiamo un giudice dentro?

Origine e formazione del Superego

Soprattutto nei primi anni la sopravvivenza di un infante è completamente dipendente dalla madre e, secondariamente, dal padre. La madre svolge una funzione insostituibile nel provvedere al nutrimento e alla regolazione energetica del bambino intervenendo laddove il suo sistema non riesce a regolare se stesso spontaneamente. Per esempio, la madre deve intervenire per aiutare il piccolo a liberarsi di qualcosa d’indigeribile o a lasciare andare aria bloccata nella pancia e naturalmente deve pulirlo dalle feci e asciugarlo quando se la fa addosso, cullarlo per aiutarlo a dormire o a tranquillizzarsi. Ma soprattutto, la madre è colei che crea, un momento dopo l’altro, l’atmosfera dell’ambiente dove vive l’infante. Il modo in cui la madre lo culla, lo sostiene, lo tocca, lo guarda, lo stringe al seno, lo nutre, lasciano un’impronta indelebile nella psiche e nel corpo del bambino.

La presenza della madre, la qualità di questa presenza, la sua assenza, la sua emozionalità, la sua salute fisica, generano variazioni spesso significative di quello che viene chiamato “l’ambiente di sostegno” per ogni bebè.

A.H. Almaas, fondatore del Diamond Approach e studioso attento dello sviluppo infantile e delle sue conseguenze nella formazione della personalità e la conseguente capacità dell’individuo di manifestare la propria individualità e potenzialità, scrive a proposito dell’ambiente di sostegno”:

… l’ambiente di sostegno è l’ambiente, più o meno, del primo anno di vita, cioè del periodo dell’infanzia che precede lo sviluppo nel bebè di un senso separato di sé. Inizialmente, l’ambiente è l’utero, più avanti, sono le braccia che sostengono, il grembo materno, a volte il padre e altra gente, la culla, la tua stanza, la tua casa – tutta la situazione. Quindi l’“ambiente di sostegno” include la totalità di ciò che circonda l’infante e la sensazione generale che ne deriva negli anni della formazione. La madre è al centro di tale ambiente ma esso non si limita a lei soltanto. (A.H.Almaas, Facets of Unity, Diamond Books, Berkley (CA) 1998, p.38)

Il bebè risponde in maniera diretta e immediata (non concettuale) alle variazioni dell’ambiente di sostegno e delle condizioni fisiche, psichiche ed emozionali della madre.

Per Almaas:

Se l’ambiente è un buon ambiente di sostegno allora senti che si prendono cura di te, ti senti protetto, capito, amato e sostenuto in un modo che aiuta la tua coscienza – che inizialmente è informe, fluida e in continuo cambiamento – a crescere spontaneamente e naturalmente per conto proprio. L’anima è come un seme. Un seme ha bisogno di un particolare ambiente di sostegno per crescere e divenire un albero: il giusto terreno, acqua sufficiente, il giusto nutrimento, il giusto ammontare di luce e d’ombra. Se il seme non ha un ambiente di sostegno appropriato non crescerà con continuità e salute e potrebbe addirittura non crescere proprio. (Ibidem, p.39)

Vediamo allora come l’armonia e la sostanziale continuità affettiva dell’ambiente di sostegno siano fondamentali per una crescita non traumatica e per lo sviluppo del bambino. La cosa importante da notare è che la mancanza di continuità o armonia nell’ambiente di sostegno e la carica di emozioni negative della madre, si riflettono nel bambino immediatamente come pericoli a livello di sopravvivenza. La paura di morire non è psicologica o emozionale ma è un’esperienza soprattutto e fondamentalmente nel corpo a livello cellulare ed energetico: la mancanza di calore, contatto, attenzione, una voce alterata, uno sguardo freddo, disgustato o distante, tutto ciò raggiunge il bambino come una minaccia alla sopravvivenza.

Più avanti nel tempo, con l’inizio della sensazione di un sé separato, la percezione di oggetti esterni e quindi della capacità di autoriflessione (basata sulla distinzione tra soggetto e oggetto), il bebè comincerà ad associare specifici comportamenti con le variazioni della quantità di amore, cura e affetto che riceve. Per esempio si potrebbe creare nell’infante un’associazione tra pianto “eccessivo” e reazione di distacco e insofferenza nella madre, oppure una in cui il controllo delle feci è gratificato da sorrisi e calore, o un’altra per cui il non gridare viene associato a un tono di voce calmo e rassicurante e il gridare a uno secco e sferzante, e così via. Cominciano a delinearsi comportamenti “negativi” dolorosi in quanto implicano una diminuzione o scomparsa della affettività e comportamenti “positivi” che vengono premiati con certe quantità di amore, cura e affetto.

La naturale tendenza del bambino verso la sopravvivenza e lo sviluppo lo porterà a cercare e trovare modi per ristabilire un senso di armonia e bilanciamento nell’ambiente di sostegno attraverso reazioni che gli permettano di ovviare alla disfunzione affettiva.

Ancora Almaas:

Se non c’è sostegno o se non si può contare su di esso, la bambina proverà a manipolare se stessa, i genitori e/o l’ambiente per produrre quel sostegno. La bimba potrebbe per esempio sviluppare svariati modi per accontentare i genitori facendo cose per loro, divertendoli o nascondendo i propri bisogni. O d’altro lato potrebbe tentare di distrarli dai loro problemi, avere crisi isteriche per catturare la loro attenzione, o manipolare o addirittura mentire in modo che il sostegno ritorni… Meno sostegno c’è nell’ambiente, più lo sviluppo del bambino sarà basato su questa reattività, che è essenzialmente un tentativo di fare i conti con un ambiente inconsistente e discontinuo. (Ibidem, pp.43/44)

Condizione necessaria al funzionamento delle strategie reattive teise a ristabilire continuità nell’ambiente di sostegno è la repressione nell’inconscio dei comportamenti giudicati “inaccettabili” dai genitori o altre figure d’autorità presenti nell’ ambiente famigliare. I comportamenti, gli impulsi, le idee e le azioni indesiderabili saranno quindi inizialmente rifiutati e soppressi e, successivamente, repressi, diventando non più disponibili alla consapevolezza.

La soppressione non è indolore

Questo processo non è indolore. Di fatto il bambino è obbligato a rifiutare e nascondere delle parti di sé e dei suoi comportamenti prima ancora di avere la capacità di sperimentarli, conoscerli e capirli in maniera personale. Sulla base di convinzioni, pregiudizi e valori esterni imposti dai genitori, egli deve o accettare e soccombere o rischiare la punizione, l’umiliazione e l’isolamento.

Un esempio che può calzare: quasi ogni famiglia ha a che fare con la sessualità. Ogni bambino è naturalmente sessuale e innocentemente curioso e, se sostenuto e guidato consapevolmente, può crescere scoprendo in maniera non problematica la propria sessualità. Di fatto ogni bambino ha a che fare fin dall’inizio con le paure, i pregiudizi, i tabù, le convenzioni, i giudizi morali e religiosi, le perversioni e deviazioni, le menzogne e i silenzi dei propri genitori e dell’ambiente in cui cresce. Indottrinamento e condizionamento prendono il posto della scoperta e della comprensione. Quale scelta ha allora il bambino se non accettare (per sopravvivere) quell’indottrinamento prima ancora di avere la possibilità di farsi una idea propria di quella specifica parte della propria esperienza e di se stesso? E naturalmente nascondere a se stesso e agli altri quel conflitto interno tra istinto e controllo? È a questo punto che il bambino svilupperà un meccanismo coercitivo interno che, rappresentando i valori imposti, mantenga il controllo facendo sì che i comportamenti inaccettabili rimangano nell’inconscio e quelli accettabili vengano attualizzati ed espressi in modo da ricevere attenzione e riconoscimento.

I tuoi genitori ti hanno ripetuto: “Tu ti sbagli, questo non è giusto, non avresti mai dovuto farlo”, e l’hanno ripetuto mille e una volta. E allora tu hai raccolto un messaggio: che non sei stato accettato per ciò che sei e amato semplicemente per il fatto di essere. Se soddisfi i loro desideri ti amano; il loro amore è un affare. Se li segui come un’ombra allora ti apprezzano e ti approvano. Se solo diventi un po’ libero e cerchi di essere un individuo, sono contro di te –i loro occhi, il loro comportamento, tutto cambia. E ogni bambino è così indifeso, solo per sopravvivere deve diventare politico e accettare tutto ciò che i genitori gli dicono. […] La società è completamente politica. All’esterno ha posto la polizia e il magistrato, all’interno ha posto la coscienza condizionata. Essa è il poliziotto e il magistrato interiore (Osho, The Discipline of Transcendence, Rajneesh Foundation, Pune, India 1978, Vol. I, cap.6)

Una spina con molti nomi…

Quello che Osho chiama coscienza, Freud chiama Superego. Altri nomi usati sono il Giudice Interiore, il Critico Interiore, e i maestri Zen lo chiamano il Cane che Abbaia. Il Superego è l’interiorizzazione di tutte le figure di autorità rilevanti nei primi anni di vita, soprattutto i genitori, e dei loro valori, giudizi, pregiudizi, ammonizioni e comandamenti. Il Giudice guida la nostra vita creando un sottofondo di giudizi, valutazioni e ammonizioni costantemente presenti e col quale dobbiamo misurare noi stessi e le nostre azioni in ogni aspetto della vita quotidiana. Questo sottofondo si manifesta a tutti i livelli della nostra esperienza attraverso pensieri, emozioni e sensazioni fisiche.

A livello subconscio siamo costantemente impegnati in un dialogo interiore tra una parte di noi che dà consigli, ammonisce, ci spinge o manipola affinché ci si comporti in un certo modo, e un’altra parte che reagisce alle ammonizioni. La dinamica di questo dialogo interiore è molto simile a quella tra genitori e bambino: il Giudice ci tratta come se fossimo ancora quei bambini completamente dipendenti, incapaci di sopravvivere e bisognosi costantemente di guida.

Perché abbiamo bisogno di un Superego?

È importante a questo punto dire, e con chiarezza, che è un fatto positivo avere un Superego ben strutturato. Infatti, questa parte della psiche ci permette di navigare nella vita quotidiana con una relativa facilità fornendoci criteri di comportamento sociale che, pur obbligandoci alla conformità e ad una fondamentale mancanza di contatto con la nostra vera natura, ci permettono di sopravvivere. Naturalmente gli imperativi, le ammonizioni, i pregiudizi e tutto il resto limitano in maniera radicale la nostra possibilità di vivere, amare e crescere. Di fatto è come se all’età che abbiamo, venti, trenta, quaranta o più anni, ci vestissimo ancora con gli abiti che vestivamo a sette, otto anni; inevitabilmente ci vanno stretti, inevitabilmente ci portiamo appresso un grosso senso di insoddisfazione e la sensazione di non essere “veri.

Nella dinamica interna di dialogo, di conflitto e reazione, di volta in volta ci schieriamo o col Superego o con il bambino che reagisce; questo schierarsi chiamiamo identificazione. Identificazione vuol dire che lo schierarsi avviene in maniera automatica e l’ego alternativamente diviene il genitore che comanda e manipola e il bambino che reagisce. L’avvenuta identificazione si manifesta internamente con una divisione del Sé in due parti (almeno): una parte che attacca e un’altra che si difende e una relazione tra i due.

Attraverso l’interiorizzazione dei genitori e l’identificazione con essi il bambino assolve storicamente due funzioni essenziali:

1. crea una struttura di guida e controllo che gli permette di mantenere nell’inconscio i comportamenti inaccettabili (Superego);

2. si garantisce la costante presenza interiore dei genitori e delle dinamiche affettive che hanno caratterizzato il rapporto con loro. Dal momento della formazione del Superego, l’ego non sarà mai più solo.

A questo proposito Almaas dice:

Col tempo, le agenzie coercitive esterne (genitori etc.) vengono interiorizzate. Ciò avviene attraverso i processi di interiorizzazione e identificazione, per cui le agenzie coercitive divengono parte della struttura interna dell’infante. In altre parole, il bambino porta dentro le richieste dei genitori facendole proprie. Dobbiamo ricordare qui che questi processi sono meccanismi di difesa indirizzati, in questo caso, a evitare la perdita o la presunta perdita del genitore o del suo amore. Diventare come il genitore è un modo per possederlo. È quindi una difesa contro la possibilità di perderlo; e, allo stesso tempo, queste difese vengono anche usate per guadagnarsi l’amore e l’approvazione dei genitori. (A.H.Almaas, Work on the Superego, Diamond Books, Berkley CA USA, 1992. p.3)

Indifferentemente che si siano accolti e abbracciati i valori dei genitori o che ci si sia ribellati lottando contro di essi, la nostra dipendenza resta sostanzialmente immutata dal momento della formazione del Superego. La dinamica affettiva ed energetica che caratterizzava il nostro rapporto con i genitori continua a manifestarsi internamente nel nostro dialogo interiore, nel modo in cui valutiamo noi stessi e i nostri comportamenti, nei giudizi che abbiamo del mondo che ci circonda e nel modo in cui ci relazioniamo agli altri. Il nostro processo di crescita è arrestato e rinchiuso dentro confini ripetitivi e abituali che inibiscono la nostra spontaneità e creatività.

Avikal Costantino

Integral Being Institute©

 

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