L’arte sciamanica dell’unione dei tre cuori

Nella tradizione maya, un Tolteca – termine che identifica un essere umano di conoscenza, un ricercatore, un saggio –, per navigare le tormente del cambiamento che si stanno abbattendo sul pianeta, si dedica a interiorizzare le mappe del risveglio della coscienza e a recuperare l’origine da cui proviene. Il suo primo compito, suggerito dalla cosmovisione a cui fa riferimento, è unire e allineare i tre cuori dell’universo… Un articolo estratto dal libro L’alba della Terra a cura di Alessandra Comneno

 

Viaggiare tra i mondi, come insegnano le tradizioni dei popoli della Terra, è un’arte, e chi ne fa uso, o ne eredita le mappe, è un artista. Negli ultimi decenni, migliaia di individui, come cellule affamate di verità, sono partiti alla ricerca del senso della vita per placare l’ansia di tanti insoluti «perché». Sono persone spinte da una chiamata, da un sogno, dalla curiosità, da un vuoto esistenziale insopportabile o da nessuna ragione apparente.

Il male di vivere che ha caratterizzato l’epoca moderna dell’umanità si radica nell’esilio a cui essa si è condannata allontanandosi dalla Madre Terra, dai suoi cicli naturali e dal senso di appartenenza a un progetto ben più ampio e inclusivo della singola e breve vita di un essere umano… 

In una realtà fatta di vane certezze e sicurezze materiali, l’individuo si è ritrovato a vagabondare in un mondo illusivo. Ha investito energia, creatività e talenti nel realizzare un’esistenza slegata dal suo naturale lignaggio che lo sognò ponte tra il cielo e la terra, collegamento affettivo con l’intero creato.

Appare ovvio che, in un susseguirsi di scenari di emergenze sociali e di conseguenti stati di precarietà e insicurezza come quelli a cui oggi stiamo assistendo, la percezione di aver perso le radici e di sentirsi soli nell’affrontare un probabile futuro alienante e distopico dilaghi e intimorisca.

Nel vuoto spirituale che caratterizza i nostri odierni paesaggi esistenziali, lo sciamanesimo – che per i popoli della Terra non è altro che la via naturale – ritorna come un cammino di guarigione che cura l’oblio di se stessi, mantiene viva la memoria e ancora l’anima al petto. Esso ci ricorda l’arte di guardare il mondo con gli occhi del cuore, ci insegna nuovamente a osservare e a provare affetto per ciò che ci circonda, a riconoscerci in relazione con ogni forma di vita.

Ci rammenta che tutto è vivo, interdipendente e collegato da una ragnatela energetica di fili invisibili che, come una trama luminosa, abbraccia e attraversa ogni forma recando stabilità ed equilibrio all’intero disegno.

Purtroppo la maggior parte degli esseri umani è ben distante da una visione cosmocentrica dell’esistenza, da quella filosofia antica che trovò le risposte al senso della vita nei fenomeni della natura, la reale sorgente dell’ordine e dell’armonia. Infatti per i greci la parola natura era l’opposto della parola caos. Proprio quel caos in cui oggi ci troviamo, ben lontani dalla natura.

Nella tradizione maya, un Tolteca – termine che identifica un essere umano di conoscenza, un ricercatore, un saggio –, per navigare le tormente del cambiamento che si stanno abbattendo sul pianeta, si dedica a interiorizzare le mappe del risveglio della coscienza e a recuperare l’origine da cui proviene.

Il suo primo compito, suggerito dalla cosmovisione a cui fa riferimento, è unire e allineare i tre cuori dell’universo.

Il primo cuore è il cuore del cielo, la fonte, il pulsare del cosmo che respira nelle potenzialità umane, il campo illimitato dell’immaginazione, la percezione aperta come lo spazio che ci circonda, sostanza creativa di manifestazione.

Aprirsi al cuore del cielo è spiegare le vele della mente per viaggiare lungo nuove frontiere del pensiero – modellarle e dissolverle a proprio piacimento – per poi soffiarle come il vento le nuvole e riconoscersi un cielo terso e incontaminato. Includersi nel cuore del cielo è esplorare il principio della libertà che sostiene la vita. Una libertà partecipativa che nutre la coscienza.

Affidarsi al cuore del cielo è diluire le antiche credenze che ci descrivono imprigionandoci in un’immagine monotona e ripetitiva benché apparentemente confortante e consolatoria perché conosciuta. Come spazio di serena trasparenza, esso ci raccomanda di attraversare gli eventi della vita come siamo soliti adattarci ai climi di ogni stagione che seguono la ruota inesorabile degli equinozi e dei solstizi, scandendo momenti di sonno e momenti di risveglio, di fresco e di calore, di luce e di oscurità.

Ci restituisce la consapevolezza, la decisione e la responsabilità di rimanere ancorati con la mente alle nostre vicissitudini – doloranti o felici che siano – oppure di accomiatarcene a tempo debito, ringraziando per le esperienze, per proseguire leggeri sui nostri passi.

Il cuore del cielo è il tempio della mente, un mistero seducente e affascinante, l’atemporalità dell’energia della vita racchiusa nella forma-pensiero che tutto genera, modella e trasforma. Noi siamo i nostri pensieri.

Il secondo cuore è il cuore della Terra, l’abbraccio amoroso che la natura offre aprendo ai nostri sensi infiniti scenari di bellezza, nutrimento, equilibrio e ciclicità. Il cuore della Terra ha la generosità di una madre che ospita i suoi figli senza chiedere nulla in cambio. Non conosce giudizio perché non contempla distanza mentre si specchia tra le forme di vita che la circondano; non possiede pareti di separazione, si respira come un unico corpo, proprio come una madre gravida dei suoi frutti.

La sua qualità è l’abbondanza che si esprime nella diversità che custodisce, nella ricchezza del mondo minerale, vegetale e animale che convivono in pace, armonia e rispetto al suo interno. Essendo un cuore tessuto nell’amore, nell’accudimento, generando incessantemente vita, non riconosce il senso della mancanza in quanto non ne fa esperienza.

Il cuore della Terra sostiene il pianeta con alimenti, suoni e colori: è la fonte della manifestazione fisica dell’esistenza, è affetto e accoglienza per ogni cosa. Il cuore della Terra è uno spazio che non conosce confine e si dedica a ricamare il ritmo della vita accordandolo alla danza dell’eterno ritorno.

Il terzo cuore è il cuore di tutto ciò che ha un cuore. Batte nel petto degli esseri umani come in ogni forma di vita.

Quando è aperto, canta all’unisono con tutto ciò con cui entra in risonanza, si schiude come un fiore all’alba e si raccoglie all’imbrunire per esplorare l’immensità che lo abita. È un trasformatore di energia accumulata. È un campo di percezione illimitato attraversato da miriadi di impressioni, emozioni e sentimenti. Riflette nel mondo ma non si afferra a nessuna immagine per non esserne catturato. È uno specchio forato. S’interroga su ciò che osserva senza ossessione di risposta per non cristallizzare la sua attenzione su nulla che possa impedire la sua naturale attitudine di contenere la totalità del mondo che esplora. Contempla, silenziosamente, il mistero che incarna e si rallegra di farne parte.

Il cuore di tutto ciò che ha un cuore naviga nell’enigma del tempo che ha incantato la vita sul piano terrestre per ritornare alla sorgente del cuore del cielo.

Praticare l’arte di unire i tre cuori allevia il peso dell’esistenza e, paradossalmente, ci invita a riflettere su quanto sia proprio l’infinito, la mancanza di confini, di pareti, di apparente sicurezza, a restituire il valore e la sensazione di essere a casa, al sicuro.

Collegare lo spazio del cuore del cielo, la libertà, alla sostanza amorosa che non conosce giudizio del cuore della Terra, consente al cuore di tutto ciò che ha un cuore di allinearsi all’intento dell’universo e di manifestare la sua presenza e il suo scopo nel qui e ora.

In altre parole, la pratica di unire i tre cuori è il segreto del nuovo tempo e il segreto di tutti i tempi.

 

Alessandra Comneno

Estratto dal libro L’alba della Terra

 


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