Per mediare con l’altro occorre innanzitutto mediare con se stessi… Articolo di Alberto Giasanti, estratto dal suo libro Carcere: luci e ombre – Le forme della mediazione
Fare mediazione significa situarsi in un nuovo “spazio”, promuovere un incontro, colmare il vuoto, l’isolamento e la separazione tra gli individui, ascoltando e mettendo a nudo le proprie emozioni, gli affetti e i sentimenti violati, al fine di risvegliare la consapevolezza di sé e dell’altro attraverso la conoscenza di noi stessi.
Per entrare in relazione con l’altro bisogna scavare negli abissi della propria anima, cercando di comprendere cosa e chi si nasconde nel profondo di ognuno di noi, con lo scopo di riconoscersi e avviare un percorso di trasformazione interiore, volto ad accogliere luci e ombre, ovvero i vissuti dolorosi e spiacevoli, ma anche gli istinti sani, gli impulsi creativi e le buone qualità.
Il momento culminante del processo di mediazione con se stessi risiede nella capacità dell’essere umano di «retrouver son autonomie, dans sa capacité de transformation pour se guérir lui même. Tasformation qui peut devenir porteuse de résolution du vrai conflit» e di avviare un incontro con le proprie contraddizioni, paure e dilemmi.
Per capire “chi siamo” è necessario transitare da un luogo di condivisione sicuro, all’interno del quale si innesca un cambiamento continuo che illumina la poliedricità dell’essere più profondo, attraverso la capacità di saper cogliere e ascoltare le emozioni dei protagonisti senza giudicare, l’abilità, come dice Morineau, nel «donner la parole au sens chachè des mots», ovvero nel saper leggere tra le righe e, infine, attraverso l’interazione tra le parti confliggenti, così da prendere coscienza e ripartire.
Raggiungere quest’ultimo obiettivo risulta tutt’altro che facile, lineare e privo di dolore, in quanto il conflitto sempre «isola ciascuno nel proprio vissuto».
Il dolore porta a interrogarsi, a parlare con il proprio io, a creare un legame sofferto e inevitabile con le varie sfaccettature della propria persona e con le sue istanze più profonde.
L’essere umano resta in una relazione continua, in un legame permanente e misterioso con un altro mondo dove lo sforzo della perfezione si accompagna alla necessità di risposta dell’ignoto dove tutto può ricominciare a vivere. È ciò che si affronta in un conflitto o in un incontro personale che si riflette talvolta in un sentito fisico: «Par le ventre je sens, c’est à lui que nous pouvons accedrè à cette experience de l’autre» […]
Per mediare con l’altro occorre innanzitutto mediare con se stessi, motivo per cui l’io costituisce il centro del capitolo. In questo modo si scava nel proprio profondo e ci si mette a nudo, facendo emergere tutta la fragilità umana e creando uno spazio in cui esprimersi liberamente, confrontarsi e incontrarsi, ricercando le parole più adatte per parlare di sé e per dare sfogo a quel grido che ci portiamo dentro.
Alberto Giasanti
Estratto dal libro Carcere: luci e ombre – Le forme della mediazione
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