Scegli di non soffrire

 

Beatrice Bianco ci parla del suo libro Scegli di non soffrire, che trovi in libreria o tramite web a questo link.

 

“Scegliere” è decidere di fare qualcosa, prendere inizative in favore del benessere. In realtà ognuno di noi ha la possibilità di scegliere, anche scegliere di chiedere aiuto.

Il “dispiacere” e gli eventi negativi fanno parte della vita. La “sofferenza” è diversa, perché è una condizione tormentata provocata dall’assiduità del dispiacere.

Gli animali, quando vivono un evento negativo, poi se lo lasciano alle spalle. Noi invece cominciamo a interrogarci a oltranza sul perché ci è accaduto quel certo evento.

In base alle risposte che ci diamo e ai pensieri che facciamo, possiamo aiutarci a elaborare il dispiacere o, viceversa, restare a oltranza nella sofferenza.

Il metodo “Beatrice Bianco” è un metodo che aiuta a liberarsi dalla confusione e fare chiarezza, perché è dalla confusione che nasce il malessere.

Come distinguere tra dispiacere e sofferenza?

Il dispiacere ha una dimensione spazio-temporale definita. Una volta, durante un lutto, ci si vestiva di nero, per nove mesi, alla fine dei quali si rientrava nella “vita”. La sofferenza invece può perdurare indefinitivamente.

Il dispiacere è una energia che può fluire. Possiano parlarne con qualcuno che ci comprenda e far scorrere questo dolore. La sofferenza invece non fluisce, ma crea blocchi. Nella sofferenza i nostri pensieri sono bloccati in una dimensione interrogativa, con un pensiero che diventa ossessivo.

Nicola Dutto è un motociclista che a causa di un incidente perde le gambe, ma poi si rimette in sella. Non ha permesso al suo dolore di trasformarsi in sofferenza psicologica.

Il dispiacere può diventare l’occasione per scoprire cosa per noi ha davvero valore; può diventare maestro di vita, se glielo permettiamo, altrimenti non sarà servito a nulla.

Ci sono cinque forme nell’approcciarsi al dispiacere.

Prima forma: la resistenza. Ci opponiamo, continuiamo a dirci che quella cosa non sarebbe dovuta accadere.

Seconda forma: la ripetizione del trauma. Tendiamo a ripercorrere il trauma e diventiamo noi stessi coloro che feriscono gli altri.

Terza forma: l’anticipazione. Tendiamo ad anticipare gli eventi, ma in modo negativo, immaginando il peggio.

Quarta forma: ricaduta nel dolore fisico. Quando non riusciamo a mettere parole alla sofferenza, può accadere che un organo bersaglio si faccia carico di esprimere la sofferenza attraverso dei sintomi.

Quinta forma: l’interpretazione errata di ciò che è accaduto. È quando ci chiudiamo nel giudizio, restando in un’ottica ristretta, dove classifichiamo le cose solo come giuste o ingiuste.

il dispiacere coinvolge sensazioni, sentimenti e pensieri. Una persona che viene licenziata avrà un certo disagio, agitazione e tachicardia, poi avrà certi sentimenti di rabbia e rancore, e i suoi pensieri saranno inizialmente dominati dalla preoccupazione.

Nella sofferenza, la persona invece non sa neanche più perché sta male. Si alza al mattino e si sente sconsolata. Trova tanti motivi per lamentarsi ma non sono mai i veri motivi della sua sofferenza, che è un dolore non elaborato.

La sofferenza può manifestarsi come sacrificio, che è una delle maschere più diffuse. Ci sono persone che vivono all’insegna del dovere e della sottomissione.

Un conto è il sacrificio dove rinunci a delle cose, ma perché stai costruendo la vita che desideri e ti muovi verso l’autorealizzazione; un altro è il sacrificio dove rinunci a te stesso e ti mortifichi, per accontentare gli altri, sennò non sei una “brava” persona.

Come fai a capire se sei incastrato in un copione scelto da altri? Se, su tre cose che fai, due le fai mal volentieri, questo è un indizio!

Il senso di colpa è un’altra manifestazione della sofferenza. Ci sono persone che si sentono continuamente sbagliate, per un senso di colpa che nasce da un rigido moralismo che porta a reprimersi sempre di più.

Chi induce il senso di colpa fa una violenza indiretta, un atto di sopraffazione in maniera manipolatoria.

Un’altra forma di sofferenza è il voler “raggiungere l’irraggiungibile”: prendiamo a riferimento un io ideale perfetto, rispetto al quale saremmo sempre dei falliti, e pensiamo che non saremo mai degni di amore.

Un’altra maniera per esprimere la sofferenza è il dolore fisico. Il corpo esprime ciò che noi non riusciamo a dire ed è il suo modo di farsi ascoltare.

Per liberarci della sofferenza è importante renderci conto che siamo immersi in un copione, sennò siamo come pesci che non si accorgono dell’acqua. La conseguenza è che rischiamo di diventare vittime del nostro stesso dolore, che infine si cristallizzerà in sofferenza.

È importante che ci assumiamo la responsabilità delle scelte che abbiamo fatto, anche nel passato. A questo punto possiamo riconoscere i nostri errori, per accettarli e poi andare oltre.

 


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