Le conseguenze di uno stile comunicativo giudicante

Da bambino sei stato tanto giudicato? Ti venivano spesso rivolte frasi volte a puntare il dito contro i tuoi comportamenti? “Ma cosa hai fatto?”, “Pasticcione!”, “Non si fa così, guarda bene come devi fare!” “Dovresti essere meno dirompente e più educato”, “Ma stai attenta! Non vedi che così non va bene!” Se questo stile comunicativo ti è familiare, vorrei parlarti di alcuni atteggiamenti psicologici che un po’ alla volta nascono e poi si radicano in noi, come conseguenza di questa forma di comunicazione fortemente disfunzionale. Essere stati a lungo e duramente criticati proprio da chi avrebbe dovuto accompagnarci nella nostra crescita, dà vita a quella che oggi possiamo chiamare estrema suscettibilità ai giudizi altrui.

Cominciamo con una piccola ma importante premessa: essere molto suscettibili a ciò che gli altri ci dicono, non è qualcosa per cui dovremmo sentirci in colpa o inferiori. Tutt’altro! Questa suscettibilità è, come dicevamo, la diretta conseguenza di uno stile comunicativo erroneo dal quale – e di questo ora dobbiamo divenirne consapevoli – quando eravamo piccoli a un certo punto abbiamo dovuto trovare il modo di difenderci, innalzando delle difese.

Ma cosa ha provocato in noi questa suscettibilità così elevata? Ci ha reso persone avvezze a sentire che gli altri sono dei potenziali nemici da cui dobbiamo difenderci perché pronti a ferirci. Tuttavia questa non è la realtà oggettiva che c’è dinanzi a noi, ma è lo sguardo condizionato – nato dai continui attacchi verbali ricevuti – attraverso cui abbiamo imparato a percepire gli altri.

Non sarebbe corretto a questo punto dire che in realtà intorno a noi c’è solo accettazione e che noi però non la vediamo. Non possiamo pensarla così. Certamente ci sarà qualcuno intorno a noi che sarà avvezzo a criticarci e ciò accade perché l’altro è anch’egli influenzato dalla sua storia e anche la sua percezione, così come la nostra, è condizionata dal suo passato.

Pertanto in colui che critica vi saranno forze interiori che lo spingono ad attaccarci, ma non perché noi siamo effettivamente sbagliati, ma perché queste forze interiori disegnano la sua personalità rendendola critica. Che possa esserci di aiuto ricordare che chi è tanto critico ha tendenzialmente un rapporto molto rigido in primis con se stesso e non può accettare l’errore nell’altro perché in prima istanza non può contemplare in se stesso la possibilità di fare errori.

Tuttavia, ciò che dovrebbe maggiormente interessarci è che assolutamente non tutti hanno realmente un atteggiamento critico nei nostri confronti. Non tutti sono dei potenziali nemici così come il nostro sistema percettivo ci fa credere: stiamo guardando il mondo con gli occhiali scuri della critica.

Per liberarci da queste credenze disfunzionali che si sono appiccicate al nostro corpo e che influenzano il nostro sguardo, ci può risultare estremamente utile verbalizzare le seguenti parole utilizzando i nomi delle persone del nostro contesto più prossimo: “Maria non è una nemica”, oppure “il mio capo non è un nemico”, “Angelo non è pronto a giudicarmi”, “Luca non ha il dito puntato contro di me” e ripetercelo come un mantra per dare a tutto il nostro sistema percettivo la possibilità di ripulirsi dal nostro sguardo condizionato e ormai automatico.

Il secondo atteggiamento psicologico che nasce in noi come conseguenza della valanga di critiche che ci sono state rivolte, riguarda lo sviluppo di tutta una serie di difese che portiamo in giro per il mondo ogni volta che ci relazioniamo con qualcuno. Queste difese sono come le mura alte di un castello che sì ci permettono di restare ben protetti al suo interno ma che allo stesso tempo ci impediscono di interagire con l’esterno e di accogliere ciò che di buono ha da offrirci.

Interagire con l’esterno significa infatti anche poter cogliere ciò che di utile l’altro porta verso di noi. Ma se le nostre difese sono alte – perché consciamente o inconsciamente crediamo che l’altro ci giudicherà allora anziché riuscire a cogliere il contributo che l’altro potrebbe effettivamente offrirci, saremmo costretti a fermarci prima, lì dove si ergono le nostre difese, che come alte mura delimitano il nostro raggio di ricezione verso l’esterno.

Questa strutturazione interna estremamente difensiva non ci permetterà inoltre di poter riconoscere le effettive mancanze che umanamente abbiamo nei confronti dell’altro. Crescere e maturare infatti significa accorgersi che io non sono il buono e l’altro il cattivo, ma che in ognuno di noi esistono degli aspetti funzionali e altri che non lo sono. Ma questo la nostra estrema sensibilità alle critiche altrui non ci permette di vederlo.

Che fare dunque? Riduttivo esprimerlo in poche parole.

C’è innanzitutto una nostra parte estremamente addolorata che ha bisogno che tu vada da lei e le offra la tua comprensione e compassione. È quella parte che è stata duramente e ingiustamente criticata. Delle modalità amorevoli attraverso cui approcciarci alle nostre parti fragili e bisognose di aiuto, ne parlo approfonditamente nel mio libro La vita dentro.

All’interno troverete anche esercizi di attenzione consapevole che ci permettono, nel momento in cui interagiamo con gli altri, di riconoscere il nostro tipo di percezione e ci guidano nel ricordarci e poi nell’esperire che la realtà oggettiva è un’altra rispetto a quella che crediamo di vedere.

Un caro saluto e al prossimo articolo,

Wilma Riolo

Autrice del libro La vita dentro – Il viaggio interiore in gravidanza

La vita dentro

 


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