Il codice dell’Anima

Il contributo del grande studioso contemporaneo James Hillman ad una psicologia estetica, che fonda i suoi presupposti sull’attività immaginativa dell’Anima.

L’incontro con Hillman* e la lettura dei suoi testi non può non lasciare il segno in chiunque si occupi di psicologia, dal semplice curioso allo psicoterapeuta esperto. Di formazione junghiana ma da sempre interessato alla filosofia, Hillman ha saputo con autorevolezza e competenza criticare in modo costruttivo le idee che stanno alla base della psicologia contemporanea ad iniziare dalle teorie psicoanalitiche dell’inizio del ‘900.

La sua curiosità per quello che è l’immenso spazio della Psiche, dell’Anima, lo portano infatti ad avere una visione molto ampia, più da filosofo che da psicoterapeuta. Così, per lui, è l’Anima, dotata di esistenza autonoma e immaginazione, che si personifica e diventa personalità, è l’Anima che media gli eventi e determina le differenze tra noi stessi e tutto ciò che accade, è l’Anima, infine, che continuerà ad esistere anche quando il nostro lo e la nostra coscienza svaniranno.

L’incontro con Henry Corbin, un eccezionale studioso del platonismo e della sua influenza su alcune correnti religiose iraniane di epoca medioevale, lo incoraggiarono a rivedere la concezione moderna di psicoterapia, riportandola al suo antico significato e cioè ‘cura dell’Anima’ (Psiché-Anima, Therapeia – prendersi cura di), contrapponendosi così a tutti coloro che riducono la Psiche ad un insieme di processi e meccanismi biochimici, dove la vita di una persona è costruita e determinata dai ricordi del passato mediati dalla peculiare struttura del nostro corpo fisico. Oltretutto, in ciò, Hillman vede il pericoloso affermarsi dell’impero dell’Io e il conseguente impoverimento della vita interiore dell’uomo.

L’anestetizzazione delle coscienze

Questa moderna visione del mondo e dell’uomo ha, secondo Hillman, inibito e anestetizzato soprattutto l’immaginazione, lo strumento privilegiato dell’Anima per manifestarsi a noi e agli altri.

Non si pensi però alle immagini commerciali, alle patinate pubblicità dei rotocalchi o alle pellicole cinematografiche, ma all’immaginazione attiva o agente: quella facoltà della nostra mente capace di farci conoscere e mediare quella regione dell’Essere che non si può conoscere con la ragione, quell’universo mediano e mediatore tra il mondo fisico e il mondo dello Spirito.

Questo processo di anestetizzazione culturale procede da molti secoli e sta culminando in una diffusa e pericolosa paralisi delle coscienze, in un torpore innaturale che pian piano ci priva di funzioni vitali come quella dell’immaginazione e del suo uso per creare metafore e poesia, in una rinuncia che allontana dalla nostra vita il mistero e il senso di profondità dell’esistenza.

La re-visione della psicologia

Persino la psicoterapia, che nei miti e nelle immagini aveva trovato le radici per una prima comprensione della profondità e ricchezza della Psiche, si è lentamente adeguata e paralizzata scegliendo, nella sua prassi, o una sterile ossessione per il linguaggio e la comunicazione, oppure, al
contrario, l’espressione esorcizzante con grida e gesti delle nostre paure e patologie. L’obiettivo è, però, sempre lo stesso: far raggiungere all’Io la piena autonomia e padronanza. Un monoteismo dell’lo-psiche che porta alla negazione dell’esistenza di numerose personalità indipendenti in noi, quelle che chiamiamo i ‘ruoli’ e che spesso, nonostante il controllo dell’Io, si impadroniscono di noi senza che ce ne accorgiamo o che scopriamo attive e vitali attraverso i sogni: il padre, la madre, il bambino, la strega, il cavaliere, il salvatore, la prostituta, la vittima, l’omicida e così via. Gli “scienziati della psiche” ci dicono oggi che sono tratti secondari della personalità, per lo più patologici. Eppure, in passato essi erano i modi in cui le varie divinità o forze archetipiche, temute e venerate, si manifestavano in noi. Lo fanno ancora, perché sono in noi, perché sono la nostra Anima.

Un altro pericolo, forse più subdolo ma altrettanto grave, viene dalla visione trascendentale dell’uomo. Non sono poche, infatti, le psicoterapie o le pseudoterapie alternative, che animate da un nuovo umanesimo ritengono che le difficoltà psichiche dell’uomo possano essere superate accettandole e trasformandole in buone energie di crescita. Non dissimile è il messaggio religioso o filosofico orientale, mal inteso o trasformato ad uso e consumo degli occidentali, che induce acriticamente a pensare che alla fine tutto ciò che percepiamo e pensiamo sia illusione e che grazie alla meditazione e all’esecuzione di alcuni esercizi ginnici si possa arrivare al superamento anche delle nostre psicopatologie.

Spesso questo pensare di passare in un’altra realtà non è che un ulteriore gioco dell’Io che amplia il suo potere negando la ricchezza delle manifestazioni dell’Anima in questa realtà. Inoltre, il riferirsi a concetti ed immagini di altri popoli e culture non ci aiuta a ricordare la nostra storia immaginale occidentale, quelle immagini che sono attive nelle nostre anime, anzi esse ce ne allontanano ancor di più, frustrando la nostra tradizione immaginale.

Il politeismo dell’Anima 

È importante, invece, concepire la nostra coscienza come un fenomeno molteplice, quanto è molteplice il mondo, un microcosmo del macrocosmo, in cui il carattere di una persona non può essere contenuto dentro un unico nucleo centrale qual è il nostro lo. Questa visione molteplice della Psiche ci permette di acquisire la consapevolezza della pluralità delle nostre parti. Possiamo, in altre parole, immaginare il nostro mondo inferiore come gioco reciproco di tante caratteristiche: quale il fuori, tale il dentro, una “molteplicità qualitativa”.

Al “monoteismo della psiche” Hillman risponde con il “politeismo dell’Anima”; a teorie psicologiche che inquadrano le nostre menti suggerisce lo sviluppo di teorie che muovano le nostre menti. Di conseguenza, la validità di una teoria psicologica dovrebbe essere stabilita sulla sua capacità di aprire la mentecome fa una buona poesia o una voce che canta; dovrebbe inoltre sviluppare l’intuizione, lo strumento che può farci guardare attraverso lo specchio oscuro del mondo e cogliere la meravigliosa differenza di ogni cosa, ciascuna ombreggiata dalla peculiarità del proprio carattere in maniera irripetibile.

La cura dell’Anima

Buona parte delle teorie psicologiche non sollecitano a riconoscere che il mondo è popolato di immagini viventi, e che il nostro cuore è l’organo che le interpreta. Dobbiamo rivolgerci al cuore, perché è nel cuore che il mondo immaginale, e l’Anima, ci mostrano l’essenza della realtà.

L’andare con il cuore verso il mondo sposta la psicoterapia dal concepirsi come scienza, all’immaginarsi piuttosto come un’attività estetica, un’attività immaginativa dell’Anima che può aiutarci a considerare le immagini che si presentano alla nostra coscienza come i dati basilari della vita psichica, autonome, ricche di inventiva, spontanee, radicate alle arenai, le fantasie fondamentali, che per i filosofi greci animano tutto il vivente. Il lavoro terapeutico, allora, non consiste più in un processo di adattamento e rafforzamento dell’Io, ma può essere immaginato come un deanestetizzare, un risvegliare, un rimuovere l’intorpidimento psichico, che per Hillman è la malattia del nostro tempo.

“Occorre che la psicoterapia dia riconoscimento alle sofferenze del cuore, al suo disagio nel mondo delle cose (…) allora, grazie al riconoscimento che, sì, siamo malati nel cuore perché siamo malati nelle cose, la psicoterapia libererà le nostre reazioni da questo torpore anestetizzato, libererà le cose stesse dalla loro rimozione nella bruttezza, e potrà nuovamente muovere, come sempre dovrebbe fare, nella direzione indicata dai sìntomi, che oggi è quella verso il riconoscimento che il mondo è animato.”
(j. Hillman, L’anima del mondo e il pensiero del cuore, 2002, Adelphi).

* James Hillman
Nato nel 1926 ad Atlantic City (New Jersey), è filosofo, scrittore ed analista junghiano. Ha diretto lo Jung Institut di Zurigo, ed ha insegnato in diverse università americane. Ha fondato il Dallas Institute of Humanities and Culture ed ha diretto dal 1970 al 1987 la rivista Spring, che accoglie i maggiori contributi teorici alla psicologia archetipica, il più originale e fecondo sviluppo della psicoterapia di derivazione junghiana..

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