samekh-yod-teth
Io guardo da dietro lo scudo, dal muro della fortezza
Dal 31 marzo al 5 aprile
Per chi crede ingenuamente nella reincarnazione, lo strano carattere dei Seyita’el ha una sola spiegazione possibile: sono anime rimaste legate a una loro vita di soldati risalente ad almeno duecento, trecento anni fa, e nella nostra epoca si sentono a disagio. Avrebbero bisogno di disciplina ferrea, di ordini precisi a cui obbedire immancabilmente, di capi autentici da ammirare, e soprattutto di battaglie, di onesti scontri, possibilmente all’arma bianca, in cui resti spazio soltanto per il valore personale: e ai giorni nostri non è facile trovare qualcosa del genere. Perciò sono spesso così cinici e chiusi in se stessi, delusi da tutto o quasi; ed è anche come se si crogiolassero nelle loro delusioni. Perciò possono detestare le autorità: perché le trovano troppo poco autorevoli! E soffrono acutamente quando qualche loro amico manca alla parola data (non si usava, ai tempi loro!). E in un modo o nell’altro finiscono sempre per trovarsi una professione o un hobby che abbia a che fare con il metallo: chirurghi, dentisti, parrucchieri, collezionisti d’armi, appassionati d’arti marziali… o con apparecchi che colgano un bersaglio: macchine fotografiche, microscopi, strumentazioni nucleari e via dicendo. Come se davvero dovessero esprimere, anche negli oggetti d’uso, una profonda nostalgia per la guerra. Oppurerealizzano, nel lavoro, il connubio tra obbedienza e voglia di trovarsi in prima linea: e diventano politici al tempo stesso tradizionalisti e audaci (Bismarck, De Gasperi), o sindacalisti, o funzionari dell’ufficio reclami, o vigili, poliziotti, o sacerdoti. Ma i loro superiori facciano attenzione: un Seyita’el è sempre pronto a piantarli in asso sbattendo la porta, se noterà in loro troppe incertezze, o pigrizie, o un’eccessiva tendenza al compromesso. E magari prima di andarsene farà anche qualche memorabile scenata, con il tono magari del Seyita’el Emile Zola, quando scrivevaJ’accuse!
C’entri o no qualche loro antico karma militare, sta di fatto che i Seyita’el non sanno proprio rassegnarsi alle delicate mezze misure della normale vita civile. Alle mezze obbedienze preferiscono la totale anarchia, il disadattamento addirittura, o l’eroismo: Seyita’el, tra gli attori, sono Toshiro Mifune, con tutti i suoi ruoli di magnifico samurai sempre fuori dal coro; e altri tipici outsider, come il Marlon Brando di Fronte del porto, Bulli e pupe, Gli Ammutinati del Bounty; e Bette Davis, Eddie Murphy, il Gregory Peck di Moby Dick, lo Spencer Tracy di Capitani coraggiosi e de Il vecchio e il mare. Tra i letterati, Giacomo Casanova è un Seyita’el celeberrimo, con i suoi tanti talenti e le ancor più numerose tecniche d’assedio (di fortezze femminili, nel suo caso) eppure senza mai fissa dimora, come se gli fosse seccato mettere radici nel suo tempo. Mentre quando in loro prevale la tenerezza, o un barlume di speranza di felicità, corrono fatalmente il rischio di assomigliare alla Sirenetta di Andersen – un Seyita’el anche lui – che sulla terraferma si sentiva talmente disadattata da morirne.
Che fare? La maggior parte dei Seyita’el decide di elevare contro la vita quotidiana una barriera fatta di riserbo e di una discreta dose di bugie protettive. Si trincerano, tengono per sé soli le loro segrete nostalgie di un altrove più bello, e – come agenti segreti in missione – imparano a non dire nemmeno una parola che lasci intuire i loro stati d’animo. Altri si ribellano e cercano di produrre loro stessi quel che non trovano intorno: vogliono diventare capi, almeno in una cerchia ristretta (nella famiglia, per esempio, o in ufficio) per imporre lì i loro valori. Ma i risultati sono quasi sempre scoraggianti: Bismarck vi riuscì come cancelliere di Prussia, perché aveva sopra di sé il Kaiser, e dalla sua le tradizioni e le aspirazioni di un intero popolo storicamente nostalgico, ma i Seyita’el che tentano di diventare leader fai-da-te reggono difficilmente alla tensione, reagiscono malissimo a qualsiasi critica, non hanno la pazienza di indagare i sentimenti altrui, di chiedere ascolto, di adattarsi alle necessità e ai limiti di chi dovrebbe obbedirli. Una linea di condotta molto più saggia e produttiva consisterebbe nell’andare semplicemente fieri della propria diversità: nel guardare più attentamente quel mondo contemporaneo a cui si sentono estranei, e nel dire ciò che vi vedono, mettendo a disposizione di tutti il loro punto di vista così originale. Ogni gruppo umano, piccolo o grande, ha talmente bisogno di punti di vista differenti da quelli soliti! Un Seyita’el è nato apposta per criticare, per scalfire certezze collettive, per richiamare arditamente l’attenzione su valori fondamentali che si sono persi con il tempo: se avrà il coraggio e la generosità di farlo, qualunque sia la sua posizione nella società attuale, non potrà che essere utile a molti, e ne avrà in cambio la loro stima e gratitudine.
Testo per gentile concessione di Igor Sibaldi, estratto dal Libro degli Angeli
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