ayin-shin-lamed
Io conosco le vie che dal basso conducono in alto
Dal 13 al 17 novembre
L’esitazione è il punto di partenza e l’unico vero nemico dei protetti di quest’Angelo delle Virtù. Gli ‘Ashaliyah imparano presto, infatti, a conoscere la forza di gravità che la maggioranza esercita su ogni individuo: la fittissima rete di frustrazioni, di rassegnazione, di attese (spesso infinite!) in cui i più accettano di vivere – e che nel Nome dell’Angelo è raffigurata nella lettera ayin, il geroglifico del cedimento, delle traiettorie che si inclinano verso il basso. Fin dall’adolescenza gli ‘Ashaliyah sentono non soltanto di essere diversi da tutto ciò, ma di doverlo essere nel modo più evidente, perché il maggior numero possibile di persone sappia che esistono altre traiettorie, audaci, sfrontate, dritte verso l’alto. Perciò ogni volta che un giovane ‘Ashaliyah si accontenta di mezze misure avverte un senso d’angoscia, e le opinioni altrui lo annoiano dopo pochi secondi; quando viene criticato – non importa se a ragione o no – i suoi occhi sfavillano di collera o di disprezzo, che soltanto con enorme sforzo riesce a nascondere. L’impazienza gli brucia in petto, il suo viso e i suoi muscoli sono quelli di un atleta che aspetta lo start: e se ancora non scatta in avanti, è soltanto perché la sua mente – vasta, profonda, limpida – non ha ancora individuato una meta abbastanza alta per lui, tra le caligini e le nuvole basse della banalità che vede attorno a sé.
Così si sentono, in gioventù. Può avvenire che aspettino a lungo, anche dieci, quindici anni, che per loro sono una tormentosa eternità. Può avvenire, nei casi più cupi, che il segnale di partenza li colga quando si sono già lasciati imbrigliare in un matrimonio opprimente o in un impiego inadatto a loro: e smuoversi, allora, è come strappar via un lembo della propria carne. Ma quando il momento arriva, non possono, non devono esitare. D’un tratto (le donne soprattutto) si lanciano vertiginosamente in qualche carriera brillante, e affrontano e superano rischi, sbaragliano ostacoli e avversari con un’energia che cresce in misura direttamente proporzionale ai successi ottenuti. A quel punto, come in un missile che esca dall’atmosfera, manca loro soltanto un ultimo stadio: ammettere dinanzi a se stessi la loro qualità più speciale, che è l’aver sempre ragione – un fulmineo, precisissimo istinto che permette loro di distinguere in ogni circostanza o persona il vero dal falso, il giusto dal perfido – e rifiutare da allora in avanti non soltanto le critiche ma persino i consigli di amici ed esperti, e non prendendo più in alcuna considerazione neppure le esigenze delle persone care o dei soci in affari, se contrastano con le loro. Allora nessuno li ferma più, e costruiscono imperi.
A volte sbagliano, certo, ma per loro non è un problema: sanno che nessuno sbaglia tanto bene come loro, che cioè anche nei loro errori vi sarà sempre qualcosa di provvidenziale, il germe di qualche nuova intuizione da decifrare, o magari una prova che li fortifichi, o l’occasione per una pausa durante la quale raccogliere le forze e chiarirsi le idee per ripartire più risoluti. Sanno, soprattutto, che nessun errore deve scuotere la loro fiducia in se stessi: perché in tal caso la loro traitettoria verso l’alto si incurverebbe (l’ayin!) e ricomincerebbe l’angoscia, e l’angoscia, appannando la loro visuale, causerebbe altri errori, poi altri ancora, e il missile della loro energia perderebbe la rotta e si infrangerebbe al suolo. È dunque il loro istinto di conservazione (e non l’orgoglio, come credono i più, guardandoli) a convincerli che non sbagliano mai.
Tutto ciò li rende personalità tanto affascinanti quanto impossibili a sopportarsi. È come se parlando con loro si percepisse di continuo il rombo di un motore in corsa. I famigliari, gli amanti, gli amici, devono tener loro dietro per non vederli svanire in una nube di gas di scarico, e poiché quasi nessuno ci riuscirebbe, gli ‘Ashaliyah riescono a conservare i rapporti con le persone care soltanto prendendole come equipaggio. Si addossano cioè le spese del loro mantenimento, o se le tengono intorno come farebbe un patriarca: riservando a se stessi tutte le decisioni, e pretendendo assoluta obbedienza e, possibilmente, adorazione. Né si dà mai il caso che possano cambiare atteggiamento: chi protesta viene semplicemente lasciato indietro e dimenticato, quando gli ‘Ashaliyah sono magnanimi, oppure sbrigativamente punito prima dell’abbandono, con memorabili accessi di furia.
Non ha senso biasimarli per questo: sono forze esplosive della natura, non hanno altra scelta se non essere se stessi, in tutto e per tutto, o andare in mille pezzi se tentano di limitarsi. Devono naturalmente scegliersi professioni tiranniche: nemmeno dirigenti, ma fondatori e proprietari di aziende o società, o primari di cliniche, o baroni universitari, psichiatri, direttori di teatri, registi famosi (molti questi ultimi: sono ‘Ashaliyah Alberto Lattuada, Mario Soldati, Francesco Rosi, Martin Scorsese, Danny DeVito, Carlo Verdone), scienziati che puntino verso gli estremi confini della conoscenza (come Herschel, che scoprì il pianeta Urano). Tra gli uomini politici contemporanei, ‘Ashaliyah celebri sono Gheddafi e l’assai più timido, intralciato Carlo d’Inghilterra, che la sorte ha condannato ad attendere tanto a lungo. Oppure è la lontananza geografica ad attrarli, come avvenne per Robert Louis Stevenson, l’autore de L’isola del tesoro e dell’ashalianissimo Lo strano caso del dottor Jekyll e mister Hyde, che andò ad abitare, in qualità di proprietario terriero, in un’isola dell’arcipelago di Samoa, e divenne ben presto un leader politico e spirituale per i nativi. Altri viaggi a loro congeniali sono quelli nell’invisibile, nella mistica, nella magia soprattutto, sempre in cerca di superiori conoscenze ma, ancor di più, di poteri da adoperare per la loro personale affermazione, assolutamente realistica, nel mondo terreno.
Testo per gentile concessione di Igor Sibaldi, estratto dal Libro degli Angeli