La dignità è una grande coerenza con sé stessi, che non può prescindere dall’andare incontro all’altro, con amore e partecipazione. Insegnare il senso di dignità è possibile, tramite l’esempio autentico e la disponibilità del cuore. Ce ne parla Manuela Racci, insegnante ed educatrice, in questa interessante intervista.
– Vivere con dignità la vita, ascoltare i valori più profondi… cosa è per lei la dignità e cosa l’umiltà?
In un certo senso, e tengo a ribadirlo, il mio vessillo è che essere educatori oggi è una grande responsabilità, perchébisogna comunicare qualcosa che prima di tutto ti attraversi. Qualcosa cioè che sia passato attraverso la tua carne e la tua esperienza, sennò non puoi essere credibile. Usando un loro gergo, si può dire che i ragazzi di oggi sono molto “sgamati”, per cui si rendono perfettamente conto quando, davanti a loro, affermi altro rispetto a quello che poi in realtà sei. Questa è la mia esperienza in generale di essere umano ma soprattutto di educatrice e insegnante, questo è l’educere straordinario, l’insegnamento, fruendo della grande lezione morale dei classici di cui parlavo l’altro giorno anche con i miei ragazzi, e in particolare di Dante che, secondo me, è proprio specimen di questo movimento dell’anima.
La dignità è oggigiorno più che mai fondamentale: si pensi alla società odierna centrata sull’apparenza, sulla visibilità a tutti i costi, sul viatico della chiacchiera… La dignità è una grande coerenza con sé stessi, cosa molto difficile, è il “conosci te stesso” di Socrate. E non mi riferisco allademinutio, il doversi sminuire a tutti i costi, l’autosvalutazione, per umiltà si intende innanzitutto il volere bene a sé stessi e, poi, un atteggiamento nei confronti della vita di grande disponibilità verso gli altri, verso l’incontro con il volto dell’altro. Secondo la mia esperienza, la dignità è in questo, è incontrare il mondo straordinario delle persone.
Allora la dignità è proprio quella coerenza difficile e a volte dolente verso sé stessi, all’insegna di ideali che, lontano da ogni moralismo, hanno a che fare comunque con l’amore. Sull’amore, Sant’Agostino affermava: “ama et fac quod vis” cioè nel momento in cui ami, e ami nel modo giusto, puoi fare tutto quello che vuoi e in questo sei… grande, in questo è la tua dignità. L’umiltà non è svilirsi, fustigarsi, ma è un canto alla vita, un aprirsi agli altri con amore, volendosi bene. Io l’ho imparato sulla mia pelle: se non voglio bene a me stessa, non riesco a comunicare amore agli altri, non posso dare, e non riesco a farlo nel modo giusto. Occorre quindi tralucere, fare luce.
– Questo senso di dignità e di umiltà, si può insegnare? In che modo?
In effetti, alla parola insegnare preferisco educare. Come ho già spiegato altre volte, la parola “educazione” viene da quella latina educere che vuol dire “tirare fuori e condurre verso qualcosa”. Insegnare qualcosa ai ragazzi in modo aprioristico è molto difficile, insegnare non significa che devi aprire una testa, metterci dentro delle cose e richiuderla. L’insegnamento è invece educazione laddove educazione vuol dire effettuare un cammino insieme. E anche in questo c’è grande umiltà, perché comunque devi camminare insieme agli altri e non da solo. L’insegnante non è colui che si sente superiore, uno sdegnoso scienziato che va da solo per la sua strada. Infatti, io sono un “compagno di strada” dei miei alunni, o comunque delle persone che amo e con cui voglio interagire. Educare vuol dire testimoniare, l’ha detto un grande filosofo… testimoniare vuol dire proprio dare testimonianza con la propria vita, con gli eventi, e quindi amare. Educare è testimoniare e amare.
Allora sì, è possibile insegnare in quanto ai ragazzi giunge l’esempio… non si tratta di nulla di virtuoso, io infatti sono fallibilissima e piena di errori, ma quando si crede in quello che si propone e si fa, in quello vi è la grande educazione, si diventa una specie di faro. Per questo, l’insegnamento non può essere aprioristico, comminatorio, impositivo… ma, dicevo, costruito sull’esempio che si deve dare all’insegna dell’amore e della disponibilità. Solo così può giungere la tua testimonianza, solo così tu educhi, testimoni l’amore.
Nell’incontro che ho avuto con Roberto Benigni su Dante, è emersa una chiave di lettura della Divina Commedia che mi appartiene da quando ho fatto la tesi: la grandezza dell’uomo di Dante è nella consapevolezza che siamo miseri e grandi, e nella nostra miseria a un certo punto chiediamo davvero a qualcuno di aiutarci. Chiedere aiuto è quell’umiltà che si può insegnare, è un camminare insieme. L’insegnamento è straordinario per questo, comunicare agli altri ha questo grande potere salvifico e, ripeto, non si tratta di un esempio moralistico.
Socrate diceva che se sei veramente uomo, allora il tuo essere umano è un esercizio costante e quotidiano di umanità. Vuol dire che devi interagire con gli altri, devi ascoltarli, devi camminare con loro. E se sei un insegnante, devi far partorire la loro verità. Quest’immagine dell’educatore è bellissima e i miei ragazzi mi chiamano l’ostetrica.. la madre di Socrate era un’ostetrica, faceva partorire: la maieutica, ecco, ti fa partorire, ti tira fuori la verità che hai dentro e che magari non sai di avere. Questa è la grande forza e la grande umiltà dell’insegnamento. Almeno, così dovrebbe essere.
– Secondo lei, perché nella società moderna l’umiltà appare come un valore poco importante?
Si vive l’umiltà come un depotenziamento, un qualcosa che non ti fa apparire e non è all’insegna del “mito” della pienezza, della visibilità a tutti i costi, dei riflettori. L’umiltà viene percepita in questo modo e non viene compresa, e in questo si vede il potere delle parole… Secondo me, umiltà significa davvero avere la disponibilità all’amore in tutte le sue sfaccettature, un’espansione di vita verso gli altri. Questo appare come un valore perdente perché non ti porta a far denaro, ad avere successo nel senso di stare al centro della scena, non ti porta in televisione etc… Molti ragazzi mi dicono: “Prof, ma chi glielo fa fare, l’insegnante è un fallito, non guadagna quasi niente e tutti gli anni sta qui a ripetere le stesse cose” e allora cerchi di far capire loro che, in questo lavoro che non dà notorietà né ti assicura una carriera, la ricchezza è altro.
– E come convince i suoi alunni?
Non c’è altro modo, come dicevo, che l’esempio. Nel momento in cui i tuoi ragazzi riscontrano che tu sei lì con loro tutti i giorni, nonostante il loro scoramento, la loro rabbia, il nichilismo, e distribuisci le perle che hai e le pillole della tua saggezza con un sorriso, con amore, comprensione e passione allora, ecco, pian piano arrivi al centro del loro cuore. Tanto che alcuni, alla fine, vogliono studiare lettere, divenire insegnanti o, magari, rimangono semplicemente ammirati e arrivano ad affermare: “Prof, lei è fortunata perché ama ciò che fa…” perché si rendono conto che il successo è altro, che dovrebbe essere altro. Tutto questo, con l’esempio. Non si può farlo solo a parole, anche se sarebbe facile fare demagogia su tante belle cose, usare il potere occulto della parola per costruire solo una vacua retorica a buon mercato, che risuona come cembal vuoto. Eppure percepiscono che sono convinta, che mentre spiego mi emoziono, e qualcuno che è già molto “in là” mi chiede: “Ma lei canalizza quando spiega? Sembra come guidata, gli occhi le brillano come se non fosse neanche qui..” ed io rispondo: “Ragazzi, questa è la passione”, è l’educazione del cuore. Ecco il potere dell’esempio, e non si tratta di essere dei modelli di perfezione, tutt’altro.
– Quindi un modello di autenticità?
Io sono un libro aperto, se ho dei problemi, delle tensioni, trapelano, gli alunni sentono le mie lacrime interiori, vedono che anch’io sono fragile e che ho bisogno di loro e di una parola di conforto. Tutto questo è apprezzato perché si instaura una specie di circuito d’amore. L’ho notato anche durante le conferenze pubbliche, ci sono persone che non mi hanno mai incontrato prima ma che mi cercano e chiedono aiuto. Si crea cioè un magico circuito di interazione e di amore..
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