In questa intervista, Laura Villa ci parla delle ferite e dei bisogni che inducono una persona all’interno del circolo vizioso della dipendenza emotiva, aiutandoci a comprendere che nessun altro potrà mai veramente farci sentire “colmi” al di fuori di noi stessi.
– Laura, cosa puoi dirci sulle dipendenze emotive?
E’ una problematica molto diffusa. In generale, si può dire che alla base delle dipendenze emotive vi sia un conflitto personale irrisolto, una ferita profonda che ha creato un vuoto/bisogno e agisce dall’inconscio, quindi al di là della nostra consapevolezza ordinaria. Una ferita che ci spinge verso situazioni, comportamenti e incontri di un certo tipo… perché in realtà sta proprio cercando di guarire e “colmarsi”, ma allo stesso tempo, per mancanza di consapevolezza, innesca il meccanismo del gatto che si morde la coda.
– Se ho capito bene, ci stai dicendo che in qualche maniera andiamo a “ricercare” le dipendenze emotive proprio perché stiamo tentando di guarire dalle ferite originarie?
Sì assolutamente… ci si mette alla ricerca dell’occasione per imparare a uscirne, a guarire… da un punto di vista psicologico è il meccanismo della coazione a ripetere la stessa situazione.
– Potresti chiarire meglio questo punto?
La dipendenza emotiva nasce da una ferita che cerca di rimarginarsi, ma se non ci evolviamo nella comprensione di questo aspetto, la ferita stessa tenderà a ricrearsi e a fossilizzarci nello stato di bisogno, alimentando una voragine sempre più profonda e quindi in pratica creando situazioni sempre più deliranti.
Il fatto è che se man mano non si introduce qualche grado di consapevolezza, la coazione a ripetere – che nasce proprio dalla spinta verso la guarigione – diventa un automatismo da cui poi è difficile uscire.
– … E magari si “finisce” in relazioni dove il partner che abbiamo scelto è proprio una persona che più di altre tende ad amplificare il nostro stato di bisogno… facendoci soffrire per l’abbandono, o il distacco…
Oppure, si tratterà di un partner che agisce nei nostri confronti attraverso il non riconoscimento, anche fisico, o la negazione dell’amore…
– Cioè la dipendenze emotiva si innesca proprio con chi non ci “vede”?
E’ uno dei meccanismi, anche se naturalmente non è semplice generalizzare… in realtà vi sono numerose sfumature.
– Puoi fornirci degli esempi?
Consideriamo una persona con una ferita iniziale di non riconoscimento del proprio spazio fisico, del proprio spazio di esistenza, per cui ad esempio non è stata desiderata, accolta, rispettata… oppure una persona che nei suoi primi anni di vita, per varie situazioni indipendenti dalla volontà dei famigliari, come in caso di incidenti, traumi, emergenze ecc… non ha potuto avere un nutrimento adeguato, a livello anche di concreta attenzione ai bisogni corporei, non solo emotivi, ad esempio non ha potuto avere un proprio spazio dove sentire il diritto di esistere, di poter chiedere, di avere fame e quindi di poter essere nutrita, di piangere, essere toccata ecc… allora, molto probabilmente, da adulta svilupperà la tendenza ad avere dipendenze emotive da quegli individui che riflettono proprio la stessa dinamica.
Chi di noi non ha vissuto in prima persona o in modo indiretto quelle situazioni in cui “ci perdiamo” dietro a qualcuno, nell’anelito assoluto di ricevere amore e riconoscimento, e costui, in mille modi a volte anche molto “eleganti” e velati (o con il doppio messaggio dei suoi atteggiamenti, in cui sembra fare una cosa ma in realtà non la fa affatto), ci demolisce continuamente… ma noi continuiamo a stare lì, senza sosta, anzi, insistiamo, anche se in realtà rantoliamo nella sofferenza…
Il punto fondamentale non è nello “scollare” la dipendenza da questa persona, ma nel comprendere il proprio bisogno. Solo la consapevolezza del bisogno che ne è alla base, può far uscire dalla dipendenza emotiva. Ma so che non è facile…
– Immagino che siano coinvolti vari livelli: emotivo, mentale, spirituale…
… e materiale… in diversi aspetti, situazioni… Parlando di dipendenza emotiva si pensa in genere alla relazione di coppia, ma in realtà è una dimensione che coinvolge ogni aspetto dell’esistenza. Come un cristallo frantumato i cui frammenti si ritrovano ovunque e riflettono in tutte le direzioni, la dipendenza si presenta in ogni microscopico aspetto della nostra vita. Infatti, non si dipende dalla persona ma in realtà dalla situazione in sé.
La dipendenza emotiva nasce fondamentalmente da quello che non permettiamo né riconosciamo a noi stessi. E’ un continuo tornare al punto di partenza: se abbiamo questa voragine interiore, grande o piccola che sia, niente e nessuno potrà mai colmarla… quello che non abbiamo ricevuto, ledendo il nostro diritto di ricevere, sarà sempre qualcosa di mancante, a meno che riconosciamo e ci occupiamo del nostro bisogno, cominciando con il prendercene cura in prima persona.
– E’ un diventare più responsabile verso se stessi, un essere più attivi?
E’ un essere più amorevoli.. nel senso che non è qualcosa che si può fare ma è qualcosa verso cui aprirsi. Se accogliamo il nostro dolore, il nostro bisogno, scopriamo incredibilmente che abbiamo la capacità e la possibilità di affrontarlo… e di accudirlo. E più si entra in questa possibilità più ci si allontana dalla dipendenza, perché di conseguenza non si vive più nel bisogno dell’altro la cui presenza, a quel punto, si trasforma nell’occasione per vivere davvero un desiderio, un piacere, una condivisione…
Inoltre, anche l’altra persona – colui che ci nega il suo amore e il suo nutrimento – in realtà si trova nella stessa dipendenza. E questo è davvero interessante.
– Nella dipendenza, allora, non ci sentiamo visti dall’altro ma siamo noi invece a non vederci?
L’altro non ci vede e noi non vediamo l’altro. Noi abbiamo il filtro del nostro bisogno ma anche l’altro vive una dimensione di carattere difensivo che in realtà gli impedisce di ricevere a sua volta: ferendo allontana da sé le persone e tiene tutto sotto controllo, la sua paura è che se cederà diverrà vittima, può sentirsi forte solo manipolando l’altro.
– Stesso meccanismo di base con manifestazioni diverse…
E non è raro incontrare questo meccanismo nella stessa persona: non siamo sempre e solo vittime ma anche carnefici… chi non è mai stato “vittima” di qualcuno per poi “maltrattare” qualcun altro che, invece, ci idolatrava?
– Allora il carnefice fa da specchio alla vittima?
Esattamente. La modalità di base è la stessa. La realtà esterna è un magico gioco di rifrazioni, di riflessi, di opportunità per guardarsi dentro.
L’altro non è il cattivo ma asseconda la nostra proiezione… attenzione, però, a non trasformare tutto ciò nell’occasione per colpevolizzarsi, prendendo un binario interiore del tipo “se il cattivo non è l’altro, allora devo esserlo io”.
La colpa è il grande mattone che ci portiamo sulla testa dalle origini della nostra cultura… Comunque, la parola “cattivo” sta ad indicare in realtà “cap-tivo” cioè catturato, bloccato. Tutti i cattivi, compresa la nostra parte “oscura”, non sono altro che una parte bloccata, quella parte che “teniamo in cattività” non volendola guardare, negandola, o volendola cambiare… Nel momento in cui non la etichettiamo più come “cattiva” e la lasciamo libera di esprimersi e di sentire, si apre al cambiamento…
La vittima non è vittima, perché è attivamente artefice della propria dipendenza… La stessa energia impiegata nell’agire la dinamica del vittimismo può essere impiegata per accogliere e sviluppare la consapevolezza di sé. Quindi, invece di minare il nostro potere attraverso il senso di colpa e pensare di essere sbagliati, possiamo affermare: “mi posso occupare di questa cosa”, “posso guarirla”, “posso accoglierla”…
E’ doloroso, molto doloroso, ammettere che siamo noi ad agire nel vittimismo. Però vuol dire che ci stiamo guardando veramente in faccia, è un primo livello da cui cominciare.
– Immagino che, nella tua esperienza di guaritrice, avrai incontrato diverse persone con il problema della dipendenza emotiva. Quali strumenti hai usato con loro?
In genere lavoro individualmente con le persone attraverso il corpo, e poi instauro un dialogo sulla base delle risposte ottenute attraverso la percezione corporea.
Va detto che tutti noi, in verità, abbiamo delle dipendenze emotive. Certo, c’è poi chi le ha in modo eclatante tanto da arrivare ad avere problemi davvero pesanti nelle relazioni e nella vita. Ho avuto in trattamento una ragazza che aveva una pulsione verso l’anoressia – quindi verso la distruzione di sé – la quale si era messa insieme ad una persona che le diceva di vomitare così era più bella… e in questo caso la sua dipendenza emotiva era così straziante e profonda da arrivare a metterla in pericolo di vita. Questo è un esempio estremo, tuttavia ciascuno di noi ha le sue proprie modalità.
– Cosa puoi suggerire a chi vuole cominciare ad agire consapevolmente il proprio potere, ed uscire dalle dipendenze?
Una chiave importante che condivido a tutt’oggi, è quella di cominciare dalle piccole situazioni del momento. Ad esempio, quando ci sentiamo affondare in una specie di abisso, quando ci sentiamo sopraffatti, quando vorremmo ribellarci, dire “ma succede sempre a me”… ci si può fermare per un po’, se c’è una discussione magari interromperla e ricavare uno spazio tutto per noi, prendere una pausa dal contesto, e quindi provare a sentire la risposta alla domanda “Cosa sto facendo veramente? Perché mi sento davvero così? Cosa mi manca?” – diamo davvero di matto perché l’altro ci ha detto che stasera “non lava i piatti” oppure c’è qualcos’altro che non riusciamo a reggere?
– Come arriva la risposta… e se invece non arriva?
La risposta risiede a livello della pancia, nel corpo…
Sentire niente in realtà vuol dire sentire qualcosa: vuol dire che stiamo sentendo che c’è una difficoltà nel permetterci di recepire e di sentire qualcosa di più definito. E’ comunque un messaggio che ci informa che in questo momento abbiamo chiuso il “contatto”.
Non bisogna spaventarsi di fronte a un caso del genere, anzi si tratta proprio di qualcosa di indicativo che ci permetterà di muoverci pian piano nella direzione giusta, e di smantellare l’apparato della dipendenza….
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