Asana, Pranayama e Pratyahara sono collegati. Con l’azione combinata dei tre, si riesce a rivolgere i sensi verso l’interno, così che la mente, non più distratta da fattori esterni, non avrà difficoltà a mantenere i sensi sotto controllo, e aumenterà la sua capacità di concentrazione… Articolo di Rino Siniscalchi
Pratyahara è lo snodo cruciale del percorso dell’Ashtanga yoga di Patanjali, nel senso che è il fulcro intorno a cui ruota tutta la pratica yoga, e va compreso e studiato a fondo, nonché tenuto sempre presente, per non rendere l’approccio allo yoga nient’altro che una sequela di comandi, comprendenti posizioni, esercizi, atteggiamenti, respirazioni. Se non si sviluppa a fondo Pratyahara, il livello successivo, Dharana, sarà molto scadente, e sarà impossibile completare il percorso verso gli stadi più elevati dell’Ashtanga, ossia Dhyana e Samadhi.
In Pranayama, nella parte attinente al respiro, quest’ultimo è studiato come attività fisiologica, manifestazione esterna, in cui si approfondiscono le azioni dei vari organi preposti a quell’attività, diaframma, muscoli inspiratori, espiratori, polmoni. Ma quando si arriva a Pratyahara, Pranayama beneficia di una trasformazione qualitativa: in questa fase, infatti, non si considera più il respiro come un movimento biomeccanico, rivolto in fuori, bensì si punta a percepirne la qualità interna, il fenomeno straordinario che ha luogo dentro il corpo.
In sintesi, si vuole fare esperienza del respiro, cioè arrivare al suo mistero, a quella forza miracolosa che interviene potente secondo necessità impellente. Basti pensare a persone in fin di vita, nelle quali non funziona più nulla, l’organismo è devastato, la mente non reagisce, eppure l’ordine di respirare parte comunque, l’impulso nervoso che mette in movimento il diaframma, che crea depressione e dilata i polmoni, scatta. In Pratyahara si vuole arrivare a sentire quell’istante infinitesimo e gigantesco in cui avviene il miracolo della vita.
A partire da Pratyahara, lo yoga imbocca un percorso qualitativamente più sottile, perché introduce senza esitazioni nel mondo interiore, con il quale si raggiunge il Divino, o comunque il Sé. I primi quattro livelli descritti nello Yogasutra, Yama, Niyama, Asana e Pranayama, sono esterni, cioè Bahir yoga. Attraverso Pratyahara si passa ai livelli interni, ovvero Antar yoga: Dharana, Dhyana e Samadhi. Si può dire che i primi quattro anga preparano la mente a entrare nell’ambito di Pratyahara, che costituisce il fulcro di tutto l’impianto dello Yogasutra di Patanjali.
In Pratyahara si trovano due tecniche fondamentali per stabilire l’unione con se stessi: Yoga Nidra e Antar Mouna.
Yoga Nidra (nidra = sonno) è una forma di rilassamento completo, eseguito in Shavasana, ma è possibile anche in Sukhasana, in cui si giunge a un sonno profondo di corpo, sensi, mente, ma la coscienza rimane sveglia.
Antar Mouna (Silenzio interiore) si esegue rimanendo in Sukhasana, o anche in Shavasana, e consiste nell’attivare i sensi verso l’esterno in maniera molto accentuata, per poi gradualmente ritirarli verso l’interno. Prevede diversi stadi di avanzamento.
Il meccanismo della percezione avviene attraverso gli organi di senso che, attratti da oggetti esterni, guidano la mente verso una determinata esperienza. Questo significa che, in Pratyhara, si deve allenare la mente a resistere a questi richiami verso il mondo esterno. Sarà al contrario proprio la mente a rivolgere gli organi di senso verso l’obiettivo deciso dalla mente stessa. Se la mente rifiuta di assecondare gli organi sensoriali nell’esperienza della percezione, tale esperienza non ha luogo.
È evidente che basta chiudere gli occhi e l’esperienza visiva si annulla, lo stesso accade con il gusto e il tatto, cioè sospendendo temporaneamente l’attività di quegli organi. Ma non si possono bloccare udito e olfatto, perché vibrazioni sonore ed effluvi di ogni genere arrivano comunque. In questo caso, l’unica operazione possibile è non respingere quelle stimolazioni, ma accettarle, limitandosi a prendere atto della loro esistenza, così che in maniera lenta e graduale la mente si abitui e integri quelle incursioni, riducendone l’aspetto invasivo.
[…] Asana, Pranayama e Pratyahara sono collegati, e dalla collaborazione fra questi tre anga deriva un Dharana di qualità, che costituisce a sua volta la via corretta verso Dhyana. Infatti, con l’azione combinata dei tre si riesce a rivolgere i sensi verso l’interno, così che la mente, non più distratta da fattori esterni, non avrà difficoltà a mantenere i sensi sotto controllo, e aumenterà la sua capacità di concentrazione.
È risaputo che non è possibile mantenere la mente fissa su un punto oltre un determinato periodo di tempo, ecco allora che giunge in aiuto la pratica yogica, poiché mantenendo la mente occupata nella costruzione di asana e nella conseguente percezione del respiro, si raggiunge l’obiettivo di impegnare tutta la capacità cerebrale nell’ascolto dell’insieme corpo-mente, poiché la mente diventa tutt’uno con l’oggetto di osservazione e ascolto.
Tale stadio sarà utile quale che sia il tipo di meditazione che si segue, in quanto la fase preparatoria, di svuotamento della mente, è pressoché comune a tutti gli indirizzi, poiché tutti rientranti nella specificità di Pratyahara, dove si stabiliscono i criteri per invertire il corso dell’attenzione da fuori a dentro. Dopo questa fase, lo sviluppo di questa differisce da scuola a scuola, con una varietà di tecniche e intenti.
Rino Siniscalchi
Estratto dal libro Trattato Ragionato di Yoga
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