L’immenso potere della gentilezza

Come mai, sebbene sia noto che agire con gentilezza giovi molto al nostro benessere, le persone tendono comunque a non approfittare delle infinite possibilità che ogni giorno hanno di compiere buone azioni nei confronti degli altri? Stando a quanto è emerso dalle ricerche e dagli esperimenti condotti da Amit Kumar e Nicholas Epley, le persone tendono a sottovalutare l’impatto che i piccoli atti di gentilezza quotidiani possono avere. Il semplice fatto di essere parte di un’interazione positiva e prosociale ha in genere un forte significato per la persona, al di là di quanto o cosa riceve…

L’etimologia della parola “gentilezza” riporta al termine latino gentili, che significa “appartenente a una gens”, ossia un gruppo di famiglie patrizie le quali si riconoscevano discendenti da un comune capostipite. Gli appartenenti a una stessa gens avevano dei doveri di reciproca assistenza e difesa, nonché un codice di comportamento da rispettare, basato su valori come la benevolenza e la fratellanza. Il significato di gentilezza è stato per tanto tempo intrinseco al concetto di appartenenza a un’elevata classe sociale, poiché si riteneva che con la nobiltà si acquisissero per nascita qualità morali positive.

Con l’avvento del Cristianesimo in Europa, la gentilezza si identifica con la caritas, l’amore fraterno e incondizionato, la misericordia e la compassione. I cristiani proteggevano i più deboli, aiutavano gli orfani, le vedove e i poveri prendendosi cura degli emarginati e di chiunque venisse rifiutato dalla comunità. Vedevano nella gentilezza pura espressione della fede e mezzo per l’elevazione spirituale.

Nel Medioevo si fa spazio a un concetto di gentilezza più laico. I poeti della Scuola Siciliana e dello Stilnovismo decantavano le virtù dei cavalieri, con inni all’amore e alla bontà d’animo. Il gentiluomo per eccellenza metteva la sua vita al servizio degli altri, era leale al suo signore, umile e rispettoso nei confronti nemico e si inchinava al cospetto della donna amata.

Oggi sappiamo certamente cos’è la gentilezza: prendersi cura degli altri, trattarli con dolcezza, generosità e compassione, in nome dell’infinito amore, della solidarietà e dell’unione.

Ma come possiamo tradurre quest’immensa dote spirituale in realtà? Come possiamo essere gentili, concretamente, nella vita di tutti i giorni?

Pare un’impresa impossibile: in un mondo dove regnano la prevaricazione e la sopraffazione, sia dell’amico sia del nemico, non c’è spazio per l’indulgenza e la tenerezza. Essere altruisti ci sembra un torto a noi stessi, al nostro orgoglio e al nostro ego. Magari si vorrebbe anche lasciarsi andare alla gentilezza, ma si ha paura di non essere apprezzati, o peggio, rifiutati. Si teme di non essere e di non fare abbastanza. A cosa serve essere gentili, se non si può salvare il mondo? A cosa serve una piccola goccia di luce, in mezzo a un’oceano di macerie?

Quando ci sentiamo sconfortati, è facile pensare che niente di quello che facciamo ha valore. Ci sentiamo impotenti e ci accomuna un senso di malessere e sfiducia verso il mondo.

Eppure, come disse Esopo, “Nessun atto di gentilezza, per piccolo che sia, è mai sprecato“.

Le persone tendono a sottovalutare l’impatto che possono avere i piccoli atti di gentilezza quotidiani, nonostante siano benefici sia per chi li compie sia per chi li riceve.

Questo è quanto emerge da una ricerca, pubblicata di recente sul Journal of Experimental Psychology, condotta da Amit Kumar e Nicholas Epley, dal titolo “A little good goes an unexpectedly long way: Underestimating the positive impact of kindness on recipients”.

Kumar, professore di marketing e psicologia presso l’Università del Texas, ha riflettuto sul fatto che, sebbene sia noto che agire con gentilezza giovi molto al nostro benessere, le persone tendono comunque a non approfittare delle infinite possibilità che hanno ogni giorno di compiere delle buone azioni nei confronti degli altri. Insieme a Epley, scienziato comportamentale dell’Università di Chicago, si è dunque messo in moto trovare una possibile spiegazione.

Per le ricerche sono stati condotti esperimenti multipli che hanno coinvolto all’incirca un migliaio di persone. I partecipanti dovevano compiere un inaspettato atto di gentilezza, senza aspettarsi nulla in cambio, con la volontà di far stare bene qualcuno. Le azioni variavano dallo scrivere bigliettini ad amici e famigliari, al donare cupcake e cioccolate calde a degli sconosciuti. Sia all’esecutore sia al destinatario veniva chiesto successivamente di compilare un questionario riguardante la propria esperienza. In particolare, gli esecutori dovevano provare a indovinare, usando una scala di valori, quanto “grande” i destinatari percepissero il gesto. Infine, la percezione del destinatario e le predizioni sull’impatto dell’esecutore venivano comparate usando la stessa scala.

È emerso che sia ricettori sia esecutori erano di umore nettamente migliorato dopo l’esperimento. Tuttavia le persone che avevano agito con gentilezza sottovalutavano l’impatto delle proprie azioni: i destinatari si sentivano significativamente meglio rispetto alle loro aspettative, apprezzando notevolmente il bel gesto nei loro riguardi.

È esattamente questo il punto focale: non è il cupcake stesso a dare felicità, ma il dono. Quel che s’intende quando si dice “È il gesto che conta”.

“Le persone tendono a pensare che ciò che stanno dando sia poco, qualcosa di relativamente irrilevante”, ha detto il dottor Kumar, “ma è meno probabile che i destinatari la pensino in questo modo; considerano il gesto decisamente più significativo, perché pensano che qualcuno abbia fatto comunque qualcosa di carino per loro”.

L’azione benevola e incondizionata di uno sconosciuto ha la capacità di sorprendere e di meravigliare. È un’interazione calorosa, il concretizzarsi di un sentimento affettuoso.

“Il nostro lavoro suggerisce che il semplice fatto di essere parte di un’interazione positiva e prosociale ha un forte significato al di là di qualunque cosa una persona riceva”, ha aggiunto il dottore.

Il risultato degli esperimenti ci porta a riflettere sull’importanza del comprendere quanto grande sia il potere della bontà, perché non farlo può distogliere le persone dall’essere gentili nella vita quotidiana.

Eppure si tratta di un potere immenso: in un altro esperimento è stata dimostrata la contagiosità della gentilezza, capace di andare al di là del singolo destinatario. I ricercatori avevano chiesto ai partecipanti di distribuire denaro fra loro per una persona che non avevano mai incontrato. Le persone che erano appena state destinatarie di un gesto gentile hanno donato sostanzialmente di più rispetto agli altri. Tuttavia, chi aveva compiuto l’iniziale atto di gentilezza non immaginava minimamente che la sua generosità avrebbe scatenato una tale reazione a catena.

Quando decidiamo di fare o meno qualcosa di carino per qualcun altro, ciò che ci sembra di poco valore potrebbe invece rappresentare qualcosa di grande e significativo, e non solo per la persona per la quale lo stiamo facendo. Dunque, perché perdere l’occasione di fare del bene a se stessi, agli altri e al mondo?

“Il modo più comune con cui le persone rinunciano al proprio potere è pensando di non averne alcuno”

– Alice Walker

Redazione Anima.TV

Fonte: thenewyorktimes.com

 


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