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Ho due anime, e una contiene, domina, modella l’altra
Dal 21 al 25 aprile
Tutto, nella vita degli ’Aka’ayah, dipende dal modo in cui sapranno far fruttare il rapporto tra le due «anime» di cui parla il Nome del loro Angelo: una estroversa, gioiosa, creativa, e l’altra cupa002C inerte, autodistruttiva. Tale rapporto è essenzialmente una costrizione reciproca (la kaph nel nome del loro Angelo), nel prevalere ora di una loro «anima», ora dell’altra; e ne consegue un perenne duello interiore che impone precise e severe regole e fasi, delle quali i protetti di questoSerafino faranno bene ad accorgersi al più presto.
Regola e fase n. 1: gli ’Aka’ayah riescono soltanto nelle imprese difficili. La tensione tra le loro due «anime» – come tra due poli di una pila – produce infatti troppa energia perché possano accontentarsi di mansioni ordinarie. Se, perciò, si scelgono un’attività tranquilla, la renderanno complicata; nei periodi in cui tutto va bene, creeranno essi stessi problemi, per usare quell’energia.
Regola e fase n. 2: la loro energia è talmente grande che, una volta ottenuto un qualsiasi successo, non sanno né premiarsi né riposarsi: la loro «anima» estroversa li spingerà a proseguire fino all’eccesso, e allo sfinimento; e a quel punto sarà l’altra «anima» ad assumere il loro controllo e a farli precipitare regolarmente in uno stato di deprimentissima abulia.
Regola e fase n. 3, la più difficile: devono sprofondarsi in questa depressione, accettarla, lasciarsene dominare; se invece cercano di resisterle, non faranno che prolungarla; se vi si abbandonano, sarà come il letargo dei plantigradi, che li ritempra, li rinnova.
Regola e fase n. 4, quella decisiva: tale letargo termina d’un tratto, e da un giorno all’altro gli ’Aka’ayah si riscoprono attivi, carichi di energia e di uno slancio tutto particolare, concentrato, introverso, fatto per lo studio, la riflessione, l’accurata preparazione d’imprese ancor più difficili e ambiziose di quelle già realizzate. Quanto più determinati e pazienti gli ’Aka’ayah saranno in questa fase, tanto più grandi saranno i successi che di lì a poco sapranno conquistarsi – per poi naturalmente esaurirsi di nuovo e ripiombare nel letargo, e così via per sempre.
Questo ciclo d’esperienze si ripete ininterrottamente nella loro vita, dall’infanzia fino alla profonda vecchiaia, plasmando nelle sue fasi giornate, mesi e anni con ritmi ogni volta diversi, a seconda di come gli ’Aka’ayah ne assecondano o ne intralciano il procedere. Può diventare la loro principale fortuna: non è da tutti poter disporre così infallibilmente di un periodo di reintegrazione delle energie, come una catapulta che venga tesa e caricata, per poi scattare! Oppure può essere la causa delle loro maggiori disgrazie: se infatti un ’Aka’ayah commettesse l’errore di legarsi a qualcuno o a qualcosa (a un lavoro fisso, poniamo) proprio durante il suo periodo depresso, si legherebbe non soltanto a quel qualcosa e a quel qualcuno ma anche alla depressione, e ne rimarrebbe prigioniero fino a che non riuscisse a spezzare gli impegni presi allora. Se viceversa credesse di essere veramente se stesso soltanto nei periodi di maggiore slancio, l’improvviso, irresistibile arrivo del letargo lo troverebbe impreparato e lo getterebbe in una superflua, dannosissima disperazione. Attenzione dunque: questi esseri bifronti devono imparare a conoscere entrambi i propri aspetti, l’attivo e il passivo, a coglierne le alternanze e a pilotarle con saggezza.
Sarà prudente, a tale scopo, evitare senz’altro le professioni impiegatizie, e in genere tutte quelle che richiedono una continuità nel rendimento. La personalità degli ’Aka’ayah non riuscirebbe, infatti, a reggere a un’esistenza più o meno uguale ogni giorno: hanno bisogno delle loro lunghe pause, poi di periodi tutt’a un tratto entusiasmanti. Non solo: sia nei momenti peggiori della fase letargica, sia nel successivo periodo di concentrazione, capita che cambino profondamente, che compiano scoperte per loro fondamentali, dopo le quali appare loro impossibile continuare a vivere come prima. Li anima, anche, il desiderio di comunicare tali scoperte, oltre che di esprimere, raccontare in qualche modo le tensioni del loro strano destino: e ciò fa di loro degli autentici artisti – e attori soprattutto, abituati come sono, fin dalla nascita, a impersonare due ruoli. Abbiamo così, tra gli ’Aka’ayah, nientemeno che William Shakespeare, e poi una vera folla di star: Jack Nicholson, Anthony Quinn, Silvana Mangano, Shirley Temple, Shirley MacLaine, Barbra Streisand, Al Pacino (d’altra parte, il ritmo del lavoro cinematografico, con le sue lunghe preparazioni e attese, e poi l’improvviso balzo del «Motore! Azione!» è consono alla più profonda indole degli ’Aka’ayah). Inoltre sono portati alla filosofia, perché fin dall’adolescenza li agita, in quelle loro fasi, il desiderio di capire, di trovare il bandolo del perenne mutare del loro stato d’animo e del mondo attorno a loro; e quando diventano filosofi di professione, è impossibile non sorridere del loro akayanesimo, dell’impronta cioè che il loro Angelo dà alla loro immagine del mondo. Kant, per esempio, che cerca appassionatamente un punto fermo (l’intelletto, per lui) a cui ancorare le continue oscillazioni dell’uomo tra ragione e sentimento, e sul quale costruire principî d’azione finalmente categorici, universali, capaci di resistere, diremmo noi, in tutte quante le fasi akayane! Oppure Max Weber, che stabilì un diretto rapporto di causa-effetto tra il pessimismo calvinista e il successo economico – tra fase depressiva e conseguente slancio, insomma. E tra i filosofi della materia e della natura, gli scienziati, vi fu Guglielmo Marconi, che inventò – guarda caso – proprio la radio, per stabilire un collegamento fino ad allora inimmaginabile tra le due sponde dell’Atlantico: e anche qui si espresse, o meglio lo ispirò e lo guidò, io credo, il bisogno profondissimo di stabilire ponti tra i due opposti sistemi che da sempre aveva avvertito in se stesso.
È interessante notare l’alternarsi delle due «anime» akayane e delle loro fasi anche in famosi politici nati in questi giorni, come Cromwell e Lenin, dapprima tenutisi a lungo in ombra, e divenuti poi travolgenti protagonisti di rivoluzioni, e infine cupi tiranni, kaph personificate. Certo, per chiunque abiti con degli ’Aka’ayah, anche molto meno imperiosi di questi due, una notevole fase di stress e di pazienza serafica è da mettere in conto, sia quando giacciono disfatti e lamentosi, con lo sguardo fisso nel vuoto, sia quando sono talmente presi dall’attività da dimenticarsi di mangiare e dormire. Ma l’albero si giudica dai frutti, e così pure il giardiniere. E favorire, guidare, stimolare accortamente (e al momento giusto!) la fruttificazione di questi animi tutt’altro che noiosi può dare splendide soddisfazioni, a quei loro compagni che abbiano nervi saldi e cuore generoso.
Testo per gentile concessione di Igor Sibaldi, estratto dal Libro degli Angeli