La’awiyah

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Attraverso l’aleph io supero il confine

Dall’11 al 16 giugno

Angeli della Soglia tanto quanto i loro gemelli di maggio, i La’awiyah di giugno appaiono al tempo stesso più portati all’interiorità, da un lato, e più generosi, dall’altro. Se cercano il successo, non è tanto per amore del mondo, quanto piuttosto per il loro grande bisogno di essere amati: invece di imporsi, preferiscono sedurre, puntare dritto al cuore degli altri – come se in qualche modo parlassero sempre un po’ sottovoce, e passando subito al «tu», a differenza dei La’awiyah cherubinici, che danno il meglio di sé quando usano il «voi» collettivo. Far innamorare, per i protetti di questo Trono, significa anche e soprattutto scoprire e far scoprire ai loro corteggiati ciò che il cuore nasconde, le possibilità, i sogni che la mente di solito trascura, o che ha scordato. E proprio lì i La’awiyah trovano la loro specialità: l’Aldilà individuale, i mondi e i poteri, anche, che ognuno di noi ha dentro di sé. E diventare guide in quei territori invisibili è infatti il loro compito, come se in quell’Aldilà avessero la loro patria, e nel mondo consueto si sentissero invece sempre un po’ all’estero.

Indubbiamente, è la Soglia a decidere la loro vita. Finché non si accorgono della loro capacità di varcarla, i La’awiyah sono soltanto un’ombra infelice di se stessi, inseguono miraggi e falliscono in tutto. In che cosa comincino a vederla non ha molta importanza: mistica, psicologia, emigrazione, studi di epoche o culture lontane, esoterismo, quinte di teatro, esplorazione dei fondali dell’oceano o magari clandestinità, contrabbando… Tutto ciò può servire a farli accorgere della loro passione per l’Oltre. Ma ripeto: qualunque forma la Soglia assuma per loro, i La’awiyah di giugno riescono a varcarla solamente per amore: o per amore di chi la supera con loro, allievo o maestro che sia, o per amore di ciò o di chi incontreranno al di là di essa. In questo, il La’awiyah Dante Alighieri li rappresenta appieno, con il viaggio che poté intraprendere nell’Invisibile solo grazie all’affetto di Virgilio e alla profonda passione che lo legava a Beatrice. Ma anche il La’awiyah Che Guevara, con il suo amore per Fidel Castro; e Stan Laurel, che solo accanto all’amico Oliver Hardy sapeva essere se stesso sul palcoscenico: da soli, o per amore soltanto di sé, i La’awiyah di giugno non si destano mai.

È sempre per amore, del resto, che solitamente esitano a lungo prima di poter sconfinare. Sono trattenuti dal legame con chi li ama (o con chi credono che li ami) nell’Aldiqua; non vogliono deludere o contrariare nessuno: e poiché le persone che temono l’invisibile o che lo ritengono un’assurdità sono sempre la maggioranza, i La’awiyah di giugno possono trascorrere interi decenni cercando di adeguarsi. Devono scuotersi invece, e imparare a disobbedire. Non possono crescere altrimenti. All’inizio, per loro, è in genere difficilissimo (con la loro fame di affetto stabiliscono infatti pesanti dipendenze), ma dopo qualche sforzo finiscono regolarmente con il prenderci gusto, e fanno spesso della disobbedienza uno dei principali motori del loro agire. Allora gioiscono nell’opporsi non solo a coloro da cui prima si lasciavano dominare, ma anche a qualsiasi luogo comune, o dogma, o certezza che abbia un minimo di ufficialità: ora in qualità di rivoluzionari o terroristi, come Bin Laden; ora di sostenitori di indipendenze, come il poeta W.B. Yeats; o di comici inesorabili, come Alberto Sordi; o magari di intralci a vincitori trionfanti, come fu un intralcio per i nazisti Anna Frank.

Anche questo opporsi appare, ai La’awiyah, come parte integrante della loro vocazione di guide. Dopo averla scoperta, hanno una gran voglia di dimostrare a tutti che il mondo di cui i più si accontentano è troppo poco. Si mettono allora volentieri a caccia di limiti per infrangerli. Il limite tra arte e vita, per esempio: tipico dei La’awiyah creativi è recitare il più possibile nella vita ed essere se stessi nell’arte, perché si perda la differenza tra le due e tutto al mondo diventi palcoscenico. Oppure i limiti morali, ciò che la legge vieta al loro prossimo: non per nulla George H.W. Bush e Jurij Andropov, due dei più famosi direttori di servizi segreti (di settori cioè assolutamente esclusi dalla legge), nacquero rispettivamente il 12 e il 15 giugno. O le imprese impossibili, al cui richiamo pochi La’awiyah riescono a resistere sia nel lavoro, sia nella vita privata, sia anche nell’immaginazione – si pensi, di nuovo, alla Divina Commedia.

Ma la loro impresa prediletta è la scoperta dei più profondi misteri. Hanno tutti un’anima da oceanografi, come Cousteau, che nacque il 13. Secondo la tradizione ebraica, erano del segno dei Gemelli il patriarca Giacobbe e suo figlio Giuseppe: veggente celestiale il primo e celeberrimo interprete di sogni il secondo. Io non esiterei a collocare almeno il secondo tra i La’awiyah di giugno: il sogno, le geografie di mondi superiori o degli strati dell’inconscio, la medianità e lo sciamanismo sono campi in cui questi disobbedienti potrebbero facilmente specializzarsi, e così pure le forme più eretiche di teologia, le nuove branche della fisica o l’astronomia. Certo, con quella loro voglia di affascinare e guidare possono talvolta strafare – come appunto accadde a Giuseppe. Se, per esempio, eccedono nella seduzione, è facile che si perdano in un groviglio inestricabile di relazioni; se esagerano nel diffondere le loro idee, capita che li si ritenga arroganti, presuntuosi, insolenti; se si lasciano prendere la mano dalle loro insubordinazioni esemplari, possono venir scambiati per pazzi e perdere ogni credibilità – e non sempre la loro aria giocosa e infantile riesce a salvarli.

Ma il pericolo più grande, per loro, è che torni a indebolirsi quel coraggio della disobbedienza che avevano tanto faticosamente conquistato. Allora è la fine. Può avvenire che comincino, magari senza accorgersene, a obbedire troppo a se stessi, al ruolo che si sono creati – e allora diventano ripetitivi e patetici. Oppure si impigliano in superstizioni, compulsioni, fobie di cui è difficilissimo, poi, liberarsi. O infine, vogliono imporre ad altri obbedienze nel senso tradizionale del termine, cosa che diviene sempre una porta della loro rovina: così fu per Andropov, che per vent’anni diresse mirabilmente il KGB, e quando poi venne nominato presidente dell’URSS resistette sei mesi soltanto, e d’un tratto morì.

 

Testo per gentile concessione di Igor Sibaldi, estratto dal Libro degli Angeli

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