Manaqe’el

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Io comprendo la realtà e le sue forze 

Dal 14 al 19 febbraio

I protetti di quest’Angelo si trovano sempre un po’ più in là di dove si pensa che siano. I loro pensieri non soltanto corrono veloci, ma a qualunque conclusione decidano di fermarsi, si accorgono di averla già superata. Perfino i loro sentimenti hanno la strana proprietà di diventare l’oggetto di se stessi: quando un Manaqe’el ama, è attratto e intenerito dal proprio amore tanto quanto lo è dalla persona amata; se detesta qualcuno, detesta ancor di più il fatto di detestarlo. E allo stesso modo, se osserva se stesso, osserva soprattutto il proprio osservare; se analizza gli altri, analizza al tempo stesso le proprie analisi, e così via: come se avesse incorporata una cabina di regia, che trasforma ogni attimo della realtà in un’inquadratura. Questo suo specialissimo grado di consapevolezza non ha, tuttavia, l’effetto di renderlo artificioso: proverà sì, spesso, la sensazione di star recitando, ma come reciterebbe un grande attore che metta tutto di sé nel proprio personaggio.

D’altra parte, grande motivo di meraviglia è, fin dall’infanzia dei Manaqe’el, l’accorgersi di come la maggioranza degli altri, grandi e piccoli, non sappiano di recitare anch’essi nella vita, e non si fermino ogni tanto a cercare il regista per discutere un po’ il copione. Durante l’adolescenza il Manaqe’el cerca invano di rivolgersi agli altri dietro le loro quinte; e durante la giovinezza impara (ed è solitamente un periodo triste) a rassegnarsi all’evidenza: il mondo è uno spettacolo che gli attori potrebbero cambiare in ogni istante, se i loro ruoli e gli scenari non li incatenassero – e li incatenano solo e appunto perché essi pensano siano veri. Poi, dal modo in cui il Manaqe’el reagisce a questa sconsolante scoperta, vengono a dipendere tutte le scelte della sua vita.

Alcuni Manaqe’el tentano, ancora per un po’, di destare il prossimo da quell’incantesimo teatrale. Fu così per Galileo, che con il suo libro Sidereus nuntius(Il messaggero delle stelle, titolo molto manaqeliano) tentò di diffondere nell’intormentita Italia della Controriforma le nuove immagini delle quinte del sistema solare; ne ebbe molti guai e, processato dall’Inquisizione, preferì lasciar perdere: giustamente, non gli andò a genio la prospettiva di venir bruciato come eretico sul palcoscenico dell’oscurantismo, solo per permettere ad altri di recitare il personaggio del boia. Altri Manaqe’el scelgono l’arte, o la psicologia: si dedicano allora allo studio appassionato delle maschere e dei volti, alla ricerca di quella verità dell’anima di cui, da bambini, avevano visto ovunque la mancanza; e possono riuscire ottimamente in questo compito, quando – come avvenne a Fabrizio De André – li anima la compassione verso chi è a un passo dallo scoprire quella verità, ma non trova il coraggio di compierlo. Qualche Manaqe’el cerca ancora più lontano: invece della coscienza e del cielo indaga l’Aldilà, i territori ignoti della psiche – e viene aiutato in ciò da certi doni particolari, talenti di veggenza e medianità, del tutto simili a quelli degli Angeli della Soglia, i due La’awiyah di maggio e giugno. Il suo scopo, anche allora, sarà certamente quello galileiano di offrire punti d’osservazione nuovi e più vasti, di scostare vecchie certezze come si scosterebbe un fondale dipinto.

Ma più numerosi sono i Manaqe’el che, come Galileo da vecchio, lasciano i contemporanei al loro destino: il malessere altrui continuerà a rattristarli sempre, ma imparano a ripararsi dal rammarico con robuste corazze, fatte di lucido realismo e di ironia. Sviluppano allora le altre qualità caratteristiche del loro Angelo: l’oculatezza nello scegliersi amici e colleghi, la nettezza dei giudizi, l’autonomia di pensiero, la chiarezza interiore (è pressoché impossibile trovare un Manaqe’el che non vada d’accordo con se stesso) e l’abilità nell’intuire le esigenze altrui, specialmente quelle di chi comanda, e di adeguarvisi senza eccessivo sforzo. Tutto ciò potrà garantire loro un’esistenza eccellente e un buon successo economico, specie se a un certo punto decideranno di lavorare in proprio – così da non dover sottostare sempre a copioni altrui. Ma rimarrà nel cuore un senso di insoddisfazione, un’inquietudine molto simile a un rimorso, al pensiero di non aver detto e non aver fatto abbastanza per scuotere il prossimo dal torpore. A volte tale inquietudine esplode, nei Manaqe’el, in vampate di collera: celeberrime quelle del campione di tennis McEnroe; altre volte si cristallizza in un’espressione perennemente imbronciata, come nel cardinale Carlo Maria Martini; altre volte ancora, degenera in periodi di solitudine e malinconia. Allora è la creatività a salvarli: nulla li ritempra come il piacere della velocità mentale con cui si plasmano storie e forme per l’arte, e mondi interi in cui ambientarle – non importa se più brutti o più belli del nostro, ma perlomeno esplicitamente immaginari, mentre il nostro è solo implicitamente tale. Meglio ancora se nelle loro opere compariranno vicende di persone oppresse, infelici, che cerchino e magari trovino protezione, salvezza o riscatto dalle dense illusioni della loro realtà. Il sogno segreto dei Manaqe’el sarebbe quello di salvaredavvero persone simili nella vita quotidiana, di proteggerle, educarle, guidarle; se lo realizzassero, ne trarrebbero immensa gioia e serenità. Ma per arrivarci dovrebbero rimediare alle vecchie delusioni della loro infanzia e adolescenza, allo sdegno che ha suscitato in loro la cortezza delle menti e degli animi altrui; e l’amarezza che ne è scaturita è di solito troppo profonda, nei Manaqe’el, perché la si possa colmare.

 

 

Testo per gentile concessione di Igor Sibaldi, estratto dal Libro degli Angeli

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