Mehiy’el

mem-heth-yod

Io comprendo le norme e le indico 

Dal 4 al 9 febbraio 

Mehiy, in ebraico, significa «colpo», «gesto deciso» che separa, allontana, o che viceversa avvicina d’un tratto – da cui mehiy’ath, «l’applauso», il battere i palmi l’uno contro l’altro. E certamente i Mehiy’el sono persone che vogliono far colpo, bisognose come pochi altri del plauso della gente. Si segnalano anche per i loro periodici colpi di testa, per l’impulsività nell’unire e nel dividere, nel trarre conclusioni, nel dare giudizi. Tale inclinazione deriva loro da un pessimo rapporto tra la mente e l’istinto. Bravissimi nel ragionare, nel distinguere, nell’orientarsi all’interno di schemi precisi, temono invece tutto ciò che proviene dal profondo e che si muove, laggiù, in vaste correnti che a loro appaiono soltanto misteriose, imprevedibili: vogliono, vorrebbero imporre un controllo razionale anche agli impulsi del cuore e del resto del corpo; hanno o vogliono avere la sensazione di esserci riusciti, e puntualmente l’istinto prende invece il sopravvento quando meno se lo aspettano, o talvolta addirittura senza che se ne accorgano. Non sono rari, infatti, i casi di Mehiy’el che si impegnano a convincere chiunque, e anche se stessi, dell’assoluta logicità di qualche loro comportamento che, considerato con un minimo di obiettività, risulta invece assai irrazionale. Somigliano allora a bambini che dicono le bugie, con l’unica differenza che i bambini sanno di dirle e loro no: soltanto il loro cuore lo sa, ma allora più che mai lo mettono a tacere. Quanto poi al bisogno d’approvazione, va da sé che sia determinato dall’insicurezza, dai dubbi che i Mehiy’el sopprimono (bruscamente, di nuovo) in se stessi: e diventa perciò un bisogno di vedere approvata l’immagine che vogliono dare di sè, e non la loro personalità autentica – il che, comunque vada, li lascia sempre profondamente insoddisfatti, e con un sempre più inappagato bisogno di conferme.

Nella letteratura, e ancor più nel cinema, questo tipo di personalità ha avuto enorme fortuna, proprio grazie ad alcuni Mehiy’el applauditissimi che seppero intuire quelle loro particolarità e prenderne la distanza necessaria a raffigurarle ironicamente: Charles Dickens ne Il circolo Pickwick; Jack Lemmon in A qualcuno iace caldo,L’appartamentoIrma la dolce; François Truffaut nei film dolceamari dedicati al personaggio quanto mai mehieliano di Antoine Doinel (I quattrocento colpiBaci rubati) e in L’uomo che amava le donne.

Nella realtà, quel conflitto tra ragione e istinto rischia di avere conseguenze assai meno dolci o divertenti. Dall’istintualità non traiamo soltanto l’energia delle nostre passioni, ma anche il gusto e il significato di esse; è istintivo ridere, gioire, sperare, aver paura e vincere la paura, prendere sul serio e giocare; e quando tutto ciò è troppo a lungo sottoposto a controllo, comincia a indebolirsi il senso stesso dell’esistenza, e si aprono nella coscienza varchi di panico davvero temibili. Qualcosa del genere dovette causare la triste fine del Mehiy’el James Dean, e determina in tanti suoi fratelli d’Angelo crisi professionali e famigliari angosciose. Serva da monito la vicenda del Mehiy’el Charles Lindbergh, che nel 1927 trasvolò per primo l’Atlantico. Trenta ore ai comandi del suo aereo, mentenendo un perfetto controllo sul corpo e sulla mente, sopra un oceano minaccioso: cosa potrebbe esservi di più mehieliano? E di lì a poco il bambino di Lindbergh venne rapito, per estorcere un riscatto, e morì durante il rapimento. La notizia produsse in tutto il mondo quella straordinaria impressione che solo certi avvenimenti simbolici arrivano a suscitare: come era avvenuto per Dedalo e Icaro, allo slancio tecnologico, iperrazionale di un uomo verso il cielo faceva seguito un tremendo colpo (mehiy!) vibrato ai suoi affetti più profondi. Nei Mehiy’el ciò che l’iperrazionalità mette davvero e sempre in pericolo è il bambino interiore: è questo che rischiano di perdere, quanto più si sentono ai comandi del piccolo velivolo della loro mente. Proprio perciò, probabilmente, due dei Mehiy’el illuminati che ho citato, Dickens e Truffaut, seppero trovare il modo e il sentimento per dedicare tanta della loro opera ai bambini – da Oliver Twist Gli anni in tasca, da La bottega dell’antiquario Il ragazzo selvaggio –, schivando così la peggiore minaccia d’infelicità che incombe sui protetti di questo Arcangelo.

Provvedano a fare altrettanto – negli affetti, nella giocosità, nel tempo libero – i Mehiy’el che il destino porta in alto. Salire per loro non è difficile, devono solo badare a chi e alla parte di loro che rimane a terra. L’ascesa professionale l’avranno, garantita, in qualsiasi professione intellettuale: nell’editoria, nell’ingegneria, in ogni lavoro in cui si tratti di mostrare originalità rimanendo tuttavia ligi a regole, alla tradizione o alle leggi (grandi cuochi, avvocati, notai eccetera). Ottima, poi, sarebbe l’idea di dedicarsi a una qualche attività politica, in cui, com’è noto, non guasta una certa propensione a dire o a mascherare bugie (e quanto a eventuali, autodistruttive irruzioni dell’istintualità repressa, un buono staff di collaboratori potrebbe occuparsi di prevenirle)Mehiy’el politici per passione o professione furono Ugo Foscolo, Papandreu, Fanfani, Reagan e persino Mastella; se poi dovesse capitare un Mehiy’el politico che difendesse i diritti dei minori, non si potrebbe che ringraziare la Provvidenza e ammirarne il sicurissimo successo. Quanto alle bugie, nulla impedisce che i Mehiy’el più creativi le trasfigurino fino a farne capolavori d’invenzione, specialmente se il loro bambino interiore li aiuterà in tale intento. Vi è un precedente illustrissimo: Jules Verne, il quale tra l’altro, oltre a proiettarsi in cielo, in Dalla terra alla luna, ebbe l’idea di scendere giù, fin nel profondo, in Viaggio al centro della terra, come per ricordare a se stesso e a tutti la necessità di equilibrare l’alto e il basso, nella loro personalità, nella loro psiche.

 

 

Testo per gentile concessione di Igor Sibaldi, estratto dal Libro degli Angeli

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