Cannabis: nel bene e nel male – Parte 5 di 5

Cannabis: nel bene e nel male - Parte 5 di 5

Dossier dedicato alla Cannabis, diviso in cinque puntate. A cura della dott.ssa Erica Francesca Poli, psichiatra, psicoterapeuta. Parte quinta.

Cannabis e cancro

I ricercatori del Jonsson Cancer Centre dell’Università di California, a Los Angeles, sono arrivati alla conclusione che fare uso di marijuana può far venire il cancro, a causa delle sostanze cancerogene contenute nella marijuana, molto più forti che nel tabacco.

Secondo il Dottor Zhang, senior researcher dello studio, chi fuma poco, rischia anche poco, chi fuma molto, corre molti rischi e chi ha cominciato a fumare giovanissimo dovrebbe stare in guardia nei confronti dei sintomi del cancro alla testa e al collo, molto comune anche fra i fumatori accaniti e i forti bevitori.

Un ulteriore studio dell’Università di Leicester nel Regno Unito indica che fumare Cannabis altera il DNA e aumenta il rischio di cancro. I risultati di questo nuovo studio, che getta nuova luce sull’uso della Cannabis come stupefacente, sono stati pubblicati sulla rivista “Chemical Research in Toxicology”.
Per la ricerca, condotta da scienziati provenienti dal Dipartimento di Studio sul Cancro e Medicina Molecolare del Karolinska Institute di Stoccolma in Svezia, è stata impiegata una tecnica ultrasensibile detta cromatografia liquida e la spettrometria di massa tandem per trovare chiare indicazioni sul possibile danno al DNA in condizioni di laboratorio.

I ricercatori mettono l’accento sul fatto che il fumo, in particolare quello di tabacco, è notoriamente tossico. Di fatto, questo, contiene oltre 4 mila sostanze chimiche di cui almeno 69 sono state classificate come cancerogene. La marijuana per essere fumata viene, in genere, mescolata con il tabacco poiché da sola è meno combustibile. In virtù di questa sua caratteristica, la Cannabis contiene il 50% in più di policiclici aromatici cancerogeni, idrocarburi compresi il naftalene, benzantracene e benzopirene, che non il fumo di tabacco. In totale, il fumo di questa, contiene circa 400 composti, di cui 60 cannabinoidi.

Nell’articolo pubblicato, gli scienziati forniscono i dati relativi all’analisi condotta con la spettrometria per provare che, in condizioni di laboratorio, il fumo di Cannabis danneggia il Dna umano.

Cannabis e dipendenza

I lavori più importanti che di recente hanno cercato di tracciare una revisione sull’argomento portano la firma di Steven Goldberg e Gigi Tanda del Nida, l’Istituto nazionale sull’abuso di droga americano, del cagliaritano Gaetano Di Chiara e di Beat Lutz del Max Planck of Psychiatric di Monaco.

In effetti, come abbiamo visto, la marijuana ha un suo recettore nel cervello e si inserisce in delicatissimi meccanismi neurochimici alla base delle funzioni cognitive e crea dipendenza psichica.

La ricerca del Nida, il massimo istituto americano di studi sulle sostanze stupefacenti, pubblicata pochi anni fa su “Nature Neuroscience”, ha dimostrato che il principio della cannabis, il Delta 9 tetraidrocannabinolo (Thc), ha gli stessi effetti neurologici della cocaina.

Per capire quali sono gli effetti della marijuana sul nostro cervello, basta andare a vedere come sono distribuiti i suoi recettori, concentrati nelle parti limbiche dove hanno sede le emozioni e le funzioni cognitive, come ben illustrato nelle ricerche di Gaetano Di Chiara, ordinario di farmacologia dell’università di Cagliari, presidente del Fens, Federazione europea delle società di neuroscienza.

Di Chiara ha scritto una serie di studi pubblicati da “Nature” e “Science”, dove ha dimostrato che il principio attivo della cannabis, il Thc, ha la capacità (come i principi attivi delle droghe più pesanti, compresa l’eroina e la cocaina) di aumentare i livelli di una sostanza chimica, la dopamina, che ha la funzione di trasmettere le informazioni tra le cellule cerebrali, facendo da mediatore chimico per le esperienze di piacere e provocando dipendenza in individui che ne facciano uso ripetuto.
Anche se in Italia il fenomeno della dipendenza da Cannabis è meno noto, ad Amsterdam, nelle numerose cliniche di disintossicazione da Cannabis, i medici riportano effettivamente numerosi casi di dipendenza.

La marijuana incide dunque in maniera profonda nelle funzioni che noi consideriamo squisitamente umane. Come a dire che modifica radicalmente l’azione del nostro cervello facendoci agire diversamente da come faremmo senza averla assunta. Considerarla innocua dunque sarebbe ormai semplicistico.

L’ultima indagine Espad (European School Survey Project on Alchool and Other Drugs) fatta in 250 scuole fra la popolazione degli istituti secondari italiani, nella fascia d’età 15-19 anni, ha registrato negli ultimi 10 anni un abbassamento ulteriore dell’età della prima iniziazione alla droga: 11 anni.

Il punto cruciale è  che la gravità degli effetti della marijuana dipende dall’età di iniziazione alla sostanza.
Se si cominciano a fumare spinelli quando la struttura psichica è già formata l’effetto è minore. Ma se si assume marijuana nella prima adolescenza, la personalità si costruisce in funzione della sostanza e il rischio di dipendenza aumenta.

La Cannabis terapeutica

Dopo avere parlato a lungo di rischi associati all’uso della Cannabis è doveroso parlare anche di alcuni effetti terapeutici che si sono rivelati utili nel trattamento di alcuni sintomi associati a patologie croniche o considerate incurabili.

I cannabinoidi sono utilizzati come terapia complementare nella gestione del dolore oncologico. In questo caso, i farmaci di prima linea restano gli oppiacei e i narcotici analgesici, ma i cannabinoidi possono avere il ruolo di adiuvanti, potenziando l’azione dei narcotici analgesici.
Nella terapia della spasticità nella sclerosi multipla, l’estratto di Cannabis applicato come spray orale, ha mostrato un’efficacia superiore al placebo in trials clinici controllati.

Secondo uno studio compiuto su 1.366 pazienti e pubblicato sul “British Medical Journal” nel 2001, la marijuana contiene dei componenti che hanno dimostrato una certa efficacia anche contro la nausea e il vomito causati dalla chemioterapia. Il derivato della cannabis risulta migliore rispetto ad altri farmaci, come il Plasil.

Vi sono poi casi singoli e testimonianze di persone che hanno sperimentato effetti terapeutici notevoli, tra cui anche un paziente affetto da epilessia che ha riferito una remissione delle crisi dopo assunzione di marijuana, ma questi casi andrebbero tutti verificati con studi specifici, al momento non disponibili.

La Cannabis terapeutica è disponibile sia sotto forma di analoghi di sintesi non vegetali (il farmaco Sativex, dispensato dal Sistema Sanitario Nazionale in caso di patologie specifiche) sia sotto forma di analogo vegetale (nabilone).

Questi farmaci vengono somministrati per via orale o intramuscolare, quindi senza che vi sia alcuna sovrapposizione con le vie di assunzione voluttuarie, tant’è che in Paesi nei quali tali farmaci sono già disponibili da più tempo, questo non ha prodotto alcun incremento dei tassi di assunzione a scopi voluttuari di Cannabis.

Parti precedenti:
Parte 1
Parte 2
Parte 3
Parte 4
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