Navigando nelle infinite possibilità dell'essere

12. APRIRSI ALL’AMORE

Aprirsi all’amore è l’ultima frontiera, l’unica frontiera che schiude l’unica dimensione reale… Diceva Rimbaud che «la vera vita è altrove», come mi ha insegnato il mio amato docente di Filosofia e Teologia Don Gioacchino Molteni, collegando così Platone e il suo Mondo delle Idee a Cristo e il Regno dei Cieli.

Il Regno dei Cieli e il Mondo delle Idee si trovano quando vi aprite all’amore. Cosa significa?

Niente a che vedere con prospettive buoniste, niente a che vedere con amare tutti, e cose di questo tipo… Aprirsi all’amore significa essere presenti, così presenti che tutto si trasforma. Quando avete superato voi stessi, quando avete riparato le ferite emotive che condizionano i vostri comportamenti distruttivi, quando avete compreso profondamente il senso del terzo livello di felicità e cancellato stati mentali nocivi attraverso il perdono, quando avete cominciato a giocare con la neuroplasticità, quando avete deciso di esserci e di restare presenti, e di concedervi questo malgrado tutto, allora cominciate a provare un senso d’amore per voi stessi. Allora la vita vi appare come un flusso che da voi proviene e si dipana in un moto intenzionale e il mondo si rivela come il luogo della costante creazione di voi stessi… Riconoscete senza dubbi che siete coscienza e siete coscienti istante dopo istante di voi stessi. Restate nella coscienza e, pur vivendo ogni cosa, non vi identificate in nulla…

La grande differenza tra tutte le pratiche di concentrazione, visualizzazione, lavoro emotivo e il lavoro coscienziale più elevato è che in esso cercate solo voi stessi, non il lutto che avete subito, non l’innamoramento che provate, non la malattia che avete, non la professione che svolgete, ma andate oltre… e, contemporaneamente, arrivate oltre attraverso tutto questo, che è ciò che tale dimensione ci offre; cercate voi stessi e siete voi stessi… Perciò potete stare nel lutto, nell’amore, nella malattia, nel lavoro oppure no, è una vostra scelta, potete decidere che visione avere, o, se preferite dirlo così, potete stare contemporaneamente nell’una dimensione e nell’altra. Non combaciate mai del tutto con nulla, siete disidentificati e dunque siete voi, coscienti di voi in ogni istante. Questa è apertura del cuore, perché è riconoscimento e amore davvero incondizionato verso se stessi.

Potreste pensare che questo significhi distaccarsi, e assai di frequente le filosofie orientali, prima fra tutte il Buddhismo, vengono equivocate in tal senso. In realtà, disidentificandosi non ci si distacca. Si lascia l’attaccamento, non ci si attacca.

Non attaccarsi (cioè lasciare l’attaccamento) e distaccarsi sono due cose ben diverse. Lasciare l’attaccamento vuole dire lasciare la paura della perdita, il che è l’unica via per godere veramente ciò che si sta vivendo. Lasciando l’attaccamento si ottiene una grande presa sulla realtà, la si può davvero godere e gustare… Si può godere tutto… Persino il dolore diventa una occasione da vivere invece che da rifiutare.

Come ho imparato a dire negli Stati Uniti, what you resist will persist: quanto più resistete a qualcosa perché non lo volete, quanto più siete in coscienza di separazione da esso, tanto più durerà, perché, senza rendervene conto, con il continuo lamentarvi, rifiutarlo, chiedervi
perché e cosa potete fare, state creando attaccamento a esso. Se invece accettate di viverlo, se potete giungere persino a chiedervi «cosa sto imparando da tutto questo?» e «perché dovrei ringraziare che mi accada?» allora lo attraverserete e passerà.

Erica F. Poli

 

Nota: L’argomento è approfondito nel libro Anatomia della Guarigione di Erica F. Poli, da cui è estratto questo post.

Anatomia della Guarigione Erica Francesca Poli

 

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