Navigando nelle infinite possibilità dell'essere

62. IL FALLIMENTO DELLO SCIENTISMO IN MEDICINA

La nostra società è malata. Come il pazzo che si crede Napoleone, così lo scientismo che oggi la attraversa vuole far credere a tutti che gli uomini, così come le stufe elettriche, non sono che macchine. Basta premere un bottone e la malattia se ne va. Ma l’universo, le sue leggi, la vita, la coscienza e i nostri stessi corpi sono molto di più che la somma delle loro parti. Dalle scoperte sullo spazio e sul tempo della fisica quantistica, a quelle sul DNA che cambia in maniera bidirezionale, addirittura anche grazie al linguaggio, passando per la reale natura della memoria e per il cuore della nostra salute, che passa attraverso le relazioni, lo stesso concetto di malattia deve essere ridefinito. La medicina dei nostri tempi, che dallo scientismo si è fatta abbracciare in una morsa mortale, può davvero guarire, ed è interessata a farlo? Perché molti medici hanno rinunciato a capire i loro pazienti nella loro complessità, e li trattano come un meccanico tratta il tubo di un radiatore? Di questioni fondamentali ed eterne parliamo con Erica F. Poli, medico, psichiatra, psicoterapeuta, e con Maurizio Grandi, medico, oncologo e immunoematologo. Una doppia intervista che vi proietterà sulle questioni fondamentali della vita. Su Byoblu.

Alcuni passaggi estratti dal video:

La malattia è qualcosa che ha a che fare con una perdita o un’alterazione, una disarmonia nella comunicazione tra diversi elementi di cui noi siamo costituiti e che appartengono a mondi diversi, appartengono a piani differenti. Allora, il mistero della vita è fatto di relazioni ed è per questo che quando noi andiamo a studiare gli aspetti relazionali – la biografia di una persona – scopriamo dei misteri che hanno a che fare anche con la sua biologia. Perché la relazione che tu hai con la tua vita, con te stesso, con il mondo, rispecchia, si traduce, dialoga con la relazione che c’è nei tuoi sistemi biologici. Quella che è la tua relazione con la vita, quella che è la tua relazione con il mondo si rispecchia nel tuo sistema immunitario, si rispecchia nelle tue cellule.

La malattia dovrebbe essere un segnale che indica che qualcheduno, in quell’orchestra, non sta più suonando una musica polifonica e armoniosa e che ci sono delle comunicazioni alterate… E per quella che riguarda la mia area di competenza posso dire che le emozioni, cioè i vissuti emotivi, hanno un grande impatto in questo perché le emozioni sono un Giano bifronte: sono contemporaneamente fisiche e non fisiche, sono psichiche, ma anche assai più somatiche di quello che noi pensiamo. E quando noi lavoriamo su quell’aspetto ci accorgiamo che possiamo dialogare con quell’orchestra. Un medico dovrebbe essere uno psicosomatista, non dovrebbe prescindere né dal versante psichico, né da quello somatico. Cioè, dovrebbe essere qualcuno che indaga le relazioni tra i piani di esistenza dell’individuo che ha di fronte.

C’è un aspetto di soggettività che (per fortuna, direi) non può mai essere esaurito da nessuna scienza, tant’è che anche le pericolose equazioni che a volte sento diffondere in psicosomatica – la relazione ogni sintomo un messaggio e per una malattia c’è un conflitto emotivo corrispondente – sono pericolose perché sono né più né meno che un’altra ipotesi meccanicista, soltanto questa volta non farmacologica o non chirurgica, ma è sempre il tentativo di ridurre qualcosa che è nell’individuo e che è unico di quell’individuo, invece, a un protocollo. Questo è il problema dello scientismo.

Oggi, in una medicina che vuole essere onnisciente, che fa pensare alle persone di essere immortali, il protagonista è diventato il farmaco. Protagonista anche sotto un aspetto economico.

Quindi è chiaro che ciascuno di noi porta la sua unicità e quindi ha anche i suoi irrisolti o i suoi interessi ai suoi bisogni in ciò che fa: il lavoro che tu fai, la ricerca che tu conduci è un’espressione di tema. Un conto è se tu consideri questo e quindi non scindi la scienza da chi la scienza la fa. Diverso, invece se la scienza diventa né più né meno che una religione in cui tu credi e credi che sia verità, senza considerare che sappiamo benissimo che una delle basi della scienza è che nella scienza un dato è vero fino a… quando? Fino a quando non arriva un altro dato che lo smentisce. Quindi il concetto di verità nella scienza dovrebbe essere qualcosa di molto meno rigido, e invece quello che noi osserviamo è che c’è – a volte – un sapere apodittico nella scienza che è molto forte, soprattutto nel sapere accademico. Cioè, ci sono alcuni aspetti che sono di integralismo accademico tanto quanto l’integralismo religioso!

Noi siamo in un mondo indubbiamente globalizzato – questo può essere anche interessante, può certamente darci delle aperture notevoli –, tuttavia il nostro benessere è anche collegato all’armonia con le radici. Cioè, nel momento in cui esiste una radice in cui tu trovi un nutrimento, esattamente come la pianta, cioè la pianta trova nella radice la possibilità di raggiungere delle profondità dove c’è una linfa, dove c’è qualcosa che la radica. Allora noi abbiamo bisogno per stare bene – proprio nell’ottica di questa armonia, anche rispetto a quella che è l’ereditarietà che noi portiamo, dove questo DNA, appunto, ormai sappiamo non essere soltanto un meccanico fautore dei nostri mattoni in maniera deterministica, ma è anche ovviamente il portato di chi ci ha preceduto – abbiamo bisogno di mantenere vivo il legame con le radici che sono quelle del tuo ambiente. Anche se tu viaggi nel Web e puoi, ovviamente, in 5 secondi vedere che cosa succede dall’altra parte del mondo e magari anche ascoltarne la musica o mangiare quel cibo, la tua radice biologica è nel luogo dove tu sei nato, è nell’ambiente in cui tu ti trovi e diventa un grande rifugio per ritrovare chi sei tu, soprattutto quando stai male. Invece noi questa cosa la stiamo perdendo.

Quando una persona viene da me, siccome è immersa e vive nel paradigma meccanicista il quale in parte ha contribuito (a ciò), ha l’idea lineare del tempo, cioè l’idea che esista un principio che ci regola, che regola la nostra vita, che è il principio causa/effetto per cui esiste un qualcosa che è prima, che genera un qualcosa dopo. E anche la medicina si è allineata a questo. E questo produce dei grossi danni… Tieni conto che io vedo veramente decine di persone ogni giorno, quindi annovero un campione – insomma – non indifferente da anni. E hanno tutti l’idea che devono trovare la ragione del loro malessere e questa ragione è tendenzialmente nel passato, e una volta che l’avranno trovata staranno bene, saranno liberi e invece… Tra l’altrom vogliono che, in qualche modo, gliela trovi tu. Quindi: “Sollevami dal carico di essere un essere umano, sollevami dal carico della mia complessità, toglimi dal mistero, rendi tutto chiaro, toglimi dal segreto di chi sono io”, che è una cosa terribile perché vuol dire toglierti dalla tua originalità. “Rendimi come tutti gli altri e dammi la famosa ricetta”.

Quando noi richiamiamo un ricordo noi non lo andiamo a pescare da qualche parte: noi lo riviviamo. Cioè, noi lo ricreiamo in quel momento, non è che esiste prima, tu ce l’hai una biblioteca e lo vai a prendere: no! Tu ricrei l’esperienza in quel momento e la rivivi (tant’è che una sostanza te la può bloccare a tal punto che tu non la ricordi più). Cioè, se tu smetti di riviverla in quel momento, poi la traccia amnesica non c’è più. Allora non è che tu ce l’avevi da prima, come se fosse un ricordo catalogato in un hard disk che l’enzima lo interrompe, tu riattacchi il cavo e poi continui a riviverlo. Non c’è più… Che cosa vuol dire questo? Questo cambia il paradigma anche della psicoterapia. Vuol dire che se tu stai costantemente rivivendo non un ricordo che già c’è, ma tu stai rivivendo un modo di funzionare. Tu rivivi un funzionamento del tuo organismo: stai risuonando una musica. Non è che la musica suona da prima, tu la risuoni e credi che quella sia la tua identità e continui a risuonarla. Arrivi – ipotizziamo – nel mio studio e io ti chiedo di suonare una musica diversa o la suoniamo insieme, il che già la rende diversa in qualche modo. A un certo punto questa è un’esperienza che interrompe il suono precedente e il suono precedente non esiste più. Certo, è tendenzialmente più facile suonare ciò che è già stato suonato, ma non è perché esiste da prima: esiste qui, adesso, e se tu lo modifichi esisterà qualcosa dopo che non è più quello di prima. Allora questo modifica il paradigma della psicoterapia e modifica l’idea che le memorie traumatiche abbiano effettivamente un peso nel determinare la tua psicopatologia. Non ce l’hanno le memorie traumatiche, ce l’ha il funzionamento immagazzinato nelle tue strutture rispetto a un’esperienza che ha lasciato un imprinting, e tu continui a ripetere un imprinting. Questo – se tu ci pensi da un punto di vista metafisico – va esattamente in una maniera, se vuoi più concreta e forse anche più intuibile, esattamente a confermare quello che Robert Lanza come altri dicono del tempo. Il tempo è un tempo circolare, non è un tempo lineare. Cioè, è un ciclo che si ripete a meno che tu non cambi musica.

Poli-Grandi-Scientismo

 

Visite congiunte a Torino con la dott.ssa Erica F. Poli e dott. Maurizio Grandi: 16 maggio 2019 – 27 maggio 2019- 11 giugno 2019 – 28 giugno 2019

Per maggiori informazioni andare a questo link.

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