“Che cosa devo fare per raggiungere la santità?” chiese un viaggiatore.
“Segui il tuo cuore” disse il Maestro.
La risposta risultò gradita al viaggiatore.
Tuttavia, prima che se ne andasse, il Maestro gli sussurrò sommessamente: “Per seguire il proprio cuore bisogna essere di costituzione robusta”.
(Anthony De Mello)
Accorgiti, viandante. Noi iniziamo a essere veramente liberi quando iniziamo ad accorgerci di cosa mette in moto l’accondiscendenza, un virus che manteniamo in salute per farci amare di più, cercando l’altrui approvazione come misura per essere qualcuno.
Questa pseudomalattia è fortemente alimentata dalla società in cui viviamo, che ci fa costantemente credere che saremmo più felici se avessimo qualcuno accanto, od ottenessimo certi tipi di successi.
Col mio tipo di lavoro-missione sono spesso presa di mira dall’inconsapevolezza, dalla paura di chi teme di lasciare valigie vecchie e stantie per nuove e sconosciute, così, senza troppa fatica, trovo pareri discordi quando me ne esco con forti esclamazioni, del tipo “Ne ha uccisi più l’educazione che la malattia!”
In realtà, fa piacere a chiunque essere letti e appoggiati, ma ciò non mi preoccupa più di tanto. I pareri contrari possono esserci, certo rimanendo nel limite dell’amorevole gentilezza.
Quello che più mi lascia sbigottita sono gli step di lunghe approvazioni. Se nessuno si lamenta significa che non stai dicendo niente di nuovo, come direbbe la mia caporedattrice Camilla Ripani.
Certo, costa saper usare il cuore, parlare alla gente con questo intento, piuttosto che attraverso le vie della mente, lastricate di concetti senza emozione, adatte a chi vive esclusivamente il mondo accademico, dimenticando di “sporcarsi” tra la gente, la realtà, le crisi fuori e dentro l’uomo.
Quello che c’è da chiedersi, viandante, è come mai la società ci voglia così, addomesticati, alla ricerca costante della felicità.
Il punto è, caro confidente, che il sistema ci vuole così perché, facendoci credere che siamo soli, siamo più manovrabili; ecco allora che si dovrà far nascere il bisogno di ciò che non c’è, senza far vedere al cittadino ciò che invece ha.
La società tendenzialmente ci rivolge al futuro, al progresso, e quasi mai alle radici, a ciò che è stato e a ciò che accade ora: questo ci porta a vivere continuamente in uno stato di infelicità e di angoscia per quel che non abbiamo e per ciò che occorrerà avere per poter essere felici.
Per sapere cosa si dovrà volere, poi, ci saranno gli specialisti dei desideri indotti, che ci diranno cosa ci deve piacere, chi frequentare, come e perché.
Tutto ciò a quale scopo?
Farci alienare dal prossimo, alienare da noi stessi, confonderci, allontanarci dall’unione, dal vero amore. Nel costante farci credere che nel prossimo si riversa il male, siamo soli e deboli, quindi più gestibili ma soprattutto più malati, quindi ideali consumatori di bisogni.
Ecco che il compito perverso di questo tipo di società è di insegnarci a essere perennemente insoddisfatti, traendo sì beneficio da tale dominazione, ma a un caro prezzo: la guerra.
Il punto di partenza del male, anche se sembra fuori tiro ma invece è del tutto congruente, è questo modello sociale che ci fa credere che il desiderio è altrove, creandoci continui bisogni, spostando l’amore fuori di noi: “Sarò più amato quando…” e in questo modo non mi amerò mai, anzi, arriverò a detestarmi, a rifiutarmi, perché sono un incapace, un perdente, uno che non è in grado di soddisfare i bisogni propri e quelli di chi ama…
Prontoooooooooo?! C’è qualcuno in casaaaaaaaa?!
Rendiamoci conto, viandante che non potremmo MAI amare se ci odiamo noi per primi!
Questo sistema è tenuto in piedi dal semplice fatto che farci credere che non siamo perfetti così, come siamo, con ciò che abbiamo, ci rende plasmabili.
Ritrattiamo le nostre priorità! Rimpossessiamoci dell’oggetto della nostra felicità.
È necessario, caro viandante, imparare ad ascoltare noi stessi per capire chi siamo. Nell’accettazione della nostra perfezione, iniziamo a guarire la sofferenza, che svanirà, perché non avrà alcun motivo per esistere.
C’è da diventare forti, viandante!..
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