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113. I RIBELLI DEL NOSTRO TEMPO

113. I RIBELLI DEL NOSTRO TEMPO

21/01/13

I grandi spiriti hanno sempre trovato la violenta opposizione dei mediocri, i quali non sanno capire l’uomo che non accetta i pregiudizi ereditati, ma con onestà e coraggio usa la propria intelligenza. 

A.Einstein

Non è una cosa semplice, viandante, riuscire a mantenere un punto di vista diverso, a volte anche di molto, dalla maggioranza. È difficile andare avanti sapendo che tali modi di pensare e agire ci esporranno al giudizio, alla mercé dei molti, partorendo facilmente forme di piccola o grande ostilità.

La massa allora cercherà di costringere chi non si omologherà ai più. L’insistenza affinché si debba cambiare idea a volte è pressante, a volte induce a ripiegarsi e si cede, convessi in certe situazioni nelle quali “tocca fare ciò che occorre” e non ciò che si vorrebbe.

Questi metodi violenti, il far sentire dei disadattati con la sindrome dell’ingiustizia, caro lettore, non sono i più nocivi. C’è da prendere una visione più amplia, non sul subito ma a largo respiro: c’è da comprendere che è senz’altro il mondo che ne perde, non il singolo ribelle.
Una società che, con falsata educazione, addomestica il “diverso pensiero” e chi lo produce, è in grado di portare avanti una forma di apparente armonia, certo, ma in tale modo perde il suo futuro. Il produttore di pensieri poco allineati alla massa, una volta educato a pensare come la società conformata induce a fare, perde la sua possibilità, e perde per primo. Ma chi ne fa le spese a lungo termine è la collettività, tutta!

Al di là della frustrazione per la diversità di un’idea, si nasconde l’incubo, il desiderio abortito di ogni qualvolta si è avuto un’idea differente dai più e ci si è lasciati confondere, sminuire. Ci si è lasciati convincere che non era il modo giusto, l’idea vincente, che era meglio ripiegare sulla strada vecchia. Questa frustrazione la si vede spesso in tutte quelle volte che non siamo d’accordo su qualcosa, solo che riconoscerlo fa talmente male che…

Un veggente ebbe una visione: vide che sarebbe arrivata nel suo paese una grande piaga, e che un’epidemia terribile si sarebbe imbattuta sulla gente.
Quando condivise con pochi il contenuto della previsione, alcuni risero, altri ebbero troppo da fare, e alcuni pensarono al “solito catastrofista”.
Il veggente non insistette e si ritirò su una montagna.
Con la nuova stagione tornò al paese, trovando dimezzata la popolazione. A tutti disse di aver previsto tale sciagura ma che le persone erano sembrate più preoccupate per altro. I paesani non gli credettero e lo respinsero in malo modo. Allora il profeta si ritirò per anni sulla montagna.
Col passare del tempo si iniziò a far sentire la solitudine; ormai si era isolato, era diventato un eremita, e la gente del paese lo vedeva come quel genere di persona scontrosa e fuori dal mondo, che si tende a tenere lontana.
Si era rotto un ponte comunicativo coi suoi simili, si erano prese distanze troppo lunghe.

Caro viandante, chi ne perse davvero, alla fine della storia? Il veggente o il popolo?
Ne perse il popolo, a ben vedere, perché avevano un veggente e, per diversità di idee, se lo sono fatto sfuggire! Sicuramente il veggente, da quel momento in poi, non avrà che fatto previsioni per se stesso e per gli animali che incontrava… Chi ne ha perso di più è la collettività, non l’uno.

C’è da riflettere su quelli che vediamo come i nuovi ribelli della nostra epoca.

Monia

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