Cartoline di viaggio: Resoconto della mia esperienza in Africa a febbraio 2012
Arrivo a Mombasa di buon mattino con un volo notturno da Verona. Lascio la mia amata Italia che, piegata dalla neve e stretta nella morsa del freddo, sembra dirmi “Portami con te!”
Il mio corpo è intontito per le otto ore di viaggio; ho passato la notte cercando di dormire, con le gambe massacrate da una signorina che padroneggiava il sedile davanti al mio come un camion rimorchio in un negozio di ceramiche… I posti in economy sono davvero piccoli e la maleducazione non finisce mai di stupirmi!
La prima persona autentica, a mio avviso, la incontro nel corridoio verso la struttura di accoglienza aeroportuale, una signora Kenyota di passaggio, che mi lancia il suo: “Jambooo!”
Quello sarebbe stato il primo saluto di una lunga serie 🙂
Per chi volesse fare l’esperienza, in Kenya le parole chiave che si usano per ogni cosa sono quattro: Jambo(ciao), Hakuna matata (tranquillo, non ti preoccupare), Pole-pole (piano-piano), Asante sana (grazie).
Da queste parole si può comprendere molto di un popolo e della sua tempra.
Percorso verso il villaggio “Sun Palm” a Watamu
A quasi tre ore di Pullman dall’aereporto di Mombasa (a discapito delle due ore dichiarate dall’agenzia, causa traffico e strade versione “Camel Trophy”), si trova il villaggio di Watamu, che in lingua locale significa “Persone dolci”.
Facciamo il viaggio un po’ smarriti, stanchi, anche un po’ astratti.
Per tutto il percorso vedo baracche spacciate per bar, abitazioni improbabili, nelle quali noi non terremmo nemmeno i nostri polli, mercatini che si srotolano colorati sulla terra polverosamente acre.
Si vende di tutto, ma quasi tutto è rigorosamente riciclato! Vestiti in primis, scarpe (ora in questi mercatini si troveranno anche le scarpe di Andrea, il mio compagno, prelevate senza il suo consenso direttamente dalla nostra stanza al “San Palm”, per chi soggiornasse in questo villaggio è da sapere), pentole fatte con bidoni magistralmente ricomposte per il nuovo servizio, mestoli creati con scatolette di latta e composizioni di vario tipo e uso, create con bottiglie di plastica riutilizzate. È proprio vero che si fa di necessità virtù, ma a volte il genio è sorprendente!
Lungo il mio finestrino velocemente scorrono immagini, come fotogrammi.
La gente sembra tutta intenta a fare cose: c’è chi lava panni in bacinelle colorate, chi vende frutta in bancarelle sbilenche (per lo più deliziose banane verdi, che da noi sarebbero considerate immature, ma in realtà buonissime, e ancora ananas sublime, mango, papaya e passion fruit), qualcuno zappa la terra, altri discutono animosamente.
Mi impressionano le file di bimbi in grembiulino colorato che occupano il ciglio della strada con i loro piedini nudi per andare a scuola; molti tengono in mano un scopino fatto con fascine perché la prima cosa che questi scolari dovranno fare all’arrivo in aula è pulire!
Quando si aprì la possibilità di venire in Africa nutrivo molti dubbi: mi ha sempre trattenuto la povertà che avrei potuto incontrare e i bambini affamati e sporchi per strada a chiedere l’elemosina… ma in Kenya non c’è niente di tutto questo! La gente è sì povera e piuttosto sporca, ma non ho mai visto nessuno di quegli sguardi e di quella luce che ho potuto scorgere nei loro occhi, nei nostri bambini.
Le persone in Africa sono affamate, vivono in luoghi dove noi non potremmo mai abitare, mangiano cose che ci farebbero venire la scabbia, vestono per anni gli stessi abiti, camminano negli escrementi scalzi, mangiano mentre rovistano nell’immondizia, bevono acqua che definire torbida è un complimento, non sanno a cosa serva un bidet e molti di loro usano il water come comodino… eppure sono felici! Sono nella gioia! Sono nello stupore!
Esclamano vita nel loro linguaggio, si accorgono di ogni cosa, vivono così intensamente l’oggi da non avere alcuna pretesa su niente, che per noi toccherebbe i limiti dell’aberrante!
I nostri figli hanno a casa giochi di ogni tipo, libri, quaderni con copertine alla moda, colori di ogni genere. Possono vedere cartoni animati, usare giochi di società di cui sono fornitissimi, hanno bambole di tutte le fattezze, peluches, macchinine di ogni dimensione e uso. Possono giocare al caldo d’inverno e al fresco d’estate, potrebbero condividere giochi all’aperto e tra le mura di casa… eppure i nostri figli si annoiano!
C’è da riflettere!
Ambientamento in loco
Porto in valigia pochi abiti, medicine di larga copertura da dare alla prima occasione in dono, eppure mi sento a disagio nel vedere quanto poco posso fare. Penso: “La prossima volta porterò solo qualche pareo per vestirmi, e riempirò i 20kg consentiti con vestiti per i bambini”.
Scendo in spiaggia con il desiderio di toccare la splendida acqua del mare Kenyota come chi brama il caldo sulla pelle provenendo da un paesaggio siberiano, nel mio caso dai -12 gradi padovani e ventosi.
Mi trovo invece avvinghiata da bambini piccolissimi che parlano un italiano perfetto, che mi chiedono una bottiglia d’acqua e biscotti! Annaspo, a disagio tra richieste e abbracci. Qualcuno mi prende per mano; la guardia del villaggio li caccia.
A ogni entrata al Sun Palm, gli adetti alla sicurezza mi guardano il braccialetto rosso plastificato di riconoscimento per entrare.
C’è la bassa marea; lo spettacolo è irraccontabile, mi spiace!
Si avvicinano due nativi locali e a tutti i costi vogliono accompagnarci a quella che doveva essere la nostra intima passeggiata (è raro che io e Andrea riusciamo ad avere momenti per noi due, soli!): parlano talmente bene l’italiano che riescono a capire solo dall’accento da quale parte dell’Italia provenivamo!
Neanche tanto stupita penso ciò sia dovuto alla sopravvivenza. I bimbi di tre anni conoscono minimo tre lingue!
Le nostre guide auto-investite ci raccontano di tutto, ci mostrano cosa non fare: con la bassa marea nel bagnasciuga è meglio girare con le ciabattine, le conchiglie possono ferire i piedi e molte di loro, con le fauci aperte, sembrano non aspettare altro che volerci assaggiare un pezzettino! Inoltre i ricci di mare sono tremendi, i loro aculei si insinuano sottopelle e infettano, ci sono poi coralli, pesci con pungiglioni che sostano sotto la sabbia e il loro incontro non è dei migliori. Meglio indossare gli occhiali da sole, esistono infatti sabbie bianche che feriscono gli occhi come specchi sulla neve.
La passeggiata si rivela dunque un vero e proprio safari marino!
Incontro e conosco rispettivamente: tre esemplari di stella marina, la prima si chiama stella marina ragno (lascio intendere per quale motivo!), la stella marina classica da cartolina e la stella marina pane che nelle notte di luna piena è fluorescente!
L’incontro più buffo è con un pesce palla, poi murene, granchi di ogni dimensione, diversi da quelli che si possono trovare da noi, che si mimetizzano con la sabbia chiara.
L’incontro meno scontato? Con “lo stronzo d’acqua”! Uno strano mollusco viscido che in effetti…
La gente del luogo è raggruppata simbolicamente in 42 tribù, di cui una sola di italiani, che stagionalmente svernano qui. Chi ha una pensione italiana vive bene in Africa, perché con poco si campa da re.
A cena con gli ippopotami
Una quantità d’arancioni come mai mi sono capitati, si confondono tra il cielo e la terra: è calata la sera sulla selvaggia savana del centro dell’Africa.
Noi ci troviamo in logge, nel cuore della savana, circondate da fili nei quali passa l’elettricità per salvaguardare quell’area dagli animali, diciamo non proprio domestici, che ci circondano.
Nella struttura perfettamente adattata al contesto, di legno e bamboo, consumiamo la nostra cena a base di frutta e verdura buonissima. Il cibo volendo è etnico davvero, infatti questo ristorante è gestito da musulmani, per cui c’è da mangiare un po’ di tutto, ricco di spezie sapientemente dosate dai cuochi.
L’energia qui è potente e le nostre auree energetiche individuali si sentono allargate come non succede dappertutto. Respiro e mi godo il fresco della sera.
Non mi preoccupo più di tanto delle zanzare, ma solo perché già me ne sono preoccupata prima: interamente vestita di bianco, la sera uso repellenti puzzoni e mi imbottisco di vitamine del gruppo B per emanare un odore poco appetibile per le zanzare (spero di non essere stata troppo spiacevole per le persone!). Evito accuratamente deodoranti e creme profumate, più deleterie in questi casi che altro, visto che la malaria è ancora in circolazione.
Non ho fatto appositamente il vaccino. Chi invece se l’è fatto somministrare, si sente spesso male. Che possibilità ho di essere punta da una zanzara femmina incinta che ha prima morso una persona infetta? Io dico poche, e mi abbandono alla mia credenza, certo con non poche attenzioni!
È da tutto il pomeriggio che Andrea mira a qualche scatto fotografico con l’ippopotamo , che pigrotteggia in una pozza per proteggersi dall’arsura kenyota.
A cena, tra un vegetale e la frutta zuccherina invece, ci pascolano accanto, separati solo dal filo elettrico e da una staccionata più che altro con funzioni decorative: che bellezza!
In una unica fascia di terra ci siamo noi, gli ippopotami, un paio di famiglie di elefanti con i loro cuccioli, giraffe masai, svariati tipi di uccelli, rane, pipistrelli, falene, grilli e chissà che altro, tutti rigorosamente sotto la stessa luna piena.
Penso se quella è la stessa faccia lunare che vede mia figlia rimasta in Italia e alla quale ho dedicato ogni sguardo di bimbo, ogni stella marina, ogni minuscolo granello di sabbia incipriata che ho visto fino a ora!
Quanta magnificenza! Che colori mai visti, che panorami mai sognati: mi sembra di essere dentro a uno di quei documentari che vedevo quando ancora guardavo la tv e quando “Quark” era meglio di un film!
Colline rocciose ci osservano e sembrano vissute… come i tronchi d’albero dei baobab che sembrano celare un guardiano, fuso dentro, con la sua corteccia.
Passiamo la notte in un romantico letto con veliera, tutto in legno e bamboo, e come ninna nanna abbiamo i grilli e i suoni della savana che entrano dalla porta-finestra aperta, velata dalle zanzariere… Una culla di suoni per le mie fantasie traboccanti di dettagli da immaginare…
Trascorro le notti strane dell’Africa con fitti e intricati caroselli di sogni, alcuni hanno dell’orrido… Mi alzo sempre un po’ stralunata e poco socievole persino con il mio compagno…
Consapevolezza
In Kenya le case di accoglienza per l’infanzia sono moltissime. Rendo pubblico l’indirizzo di quella che conosco; pochi sanno che i nostri soldi spesso non arrivano a chi veramente ne ha bisogno. In questo orfanotrofio le bambine di 12-13 anni portano i loro bambini per poter andare a scuola, altri invece sono trovatelli. Quando chiediamo alla suora cosa serva loro davvero, più di ogni altra cosa ci risponde di inviare: pannolini per bambini (1 mese-2 anni), vestiti estivi, quaderni, penne, matite, materiale didattico in genere, medicinali a largo spettro, disinfettanti, ecc.
Per chi volesse mandare aiuti materiali (molto meglio dei soldi), si ricordi di avvertire, anche in italiano, la suora con una email preventiva, specificando che il pacco è in arrivo.
Spedire a questo indirizzo:
Dur father Centre for the children
p.o. box 1664-80200 Malindi Kenya Africa
Conto Corrente:
c.c. presso Kenya Commercial Banck LTD – Malindi 1110757093
In Kenya vive un popolo antico che non parla molto la nostra lingua né l’inglese, dato che è da poco che hanno reso agibile l’istruzione: i Masai.
Per sposarsi, ogni giovane deve consegnare pole-pole, piano piano, nell’arco del tempo, 12 mucche alla famiglia della ragazza (si sta cercando di alzare l’età della sposa che può già prendere marito da 12-13 anni di età).
Le capanne sono costruite con escrementi di mucca e si usano solo per dormire. Per la maggior parte la vita si consuma fuori, nell’aia, con animali da cortile, capre ecc.
I Masai sono molto noti per i loro salti, in una sorta di danza-gara, nella quale sono stata coinvolta dalle donne del villaggio.
porto loro dei quaderni e delle matite colorate, e non finiscono mai di ringraziarmi! Imbarazzante! Mi vestono con le loro collane di perline e i collier magnifici che identificano l’appartenenza della tribù. Prima di ricevermi, mi fanno ballare, e mentre mi muovo con loro, il capo villaggio urla e fa versi con la bocca per ripulirmi da potenziali spiriti malvagi prima di portarmi nei loro alloggi. Buffo davvero!
L’ultimo giorno…
Il cosmo mi riserva una gran sorpresa: io e Andrea ci stiamo godendo l’ultimo bagno in mare quando un piccolissimo bambino, di due-tre anni, detto Kirikù, mi prende letteralmente per un dito e mi trascina a giocare. Faccio conoscenza, così, col padre e altri due fratellini: Eric e Santina, la quale finisce per essere per me una figlia in pochi minuti.
Giunge l’ora di rientrare ma la bimba non mi molla e chiede al padre qualcosa di incomprensibile, in quanto parlano solo una loro lingua locale.
Il padre ha lunghi lobi con grossi fori alle orecchie, tipici degli indigeni del luogo.
Ci fanno cenno di seguirli e dopo un po’ di spiaggia arriviamo alle porte di un villaggio.
Inizio a preoccuparmi quando capisco che non mi vogliono mollare.
D’un tratto escono dei ragazzi e degli omoni che dicono che noi non possiamo entrare nel villaggio, specialente io, donna, bianca, in costume da bagno, in un luogo musulmano con mosche a seguito!
Arriva la giovanissima moglie del mio nuovo amico (quindi i genitori dei piccoli bimbi con cui giocavamo) e mi veste con un suo pareo.
Mi fanno entrare grazie all’insistenza del marito e mi si sprona a seguirli con un “Akuna matata”.
Entriamo nel villaggio con la terra sotto ai piedi che brucia, dopo un dribbling tra immondizie e rovine, e faccio quella che sarà per me una esperienza indimenticabile: il percorso negli escrementi di capra e di gallina a piedi nudi! Oltre a vetri e vetrini vari… e dopo un po’ arriviamo, coraggiosi e anche un po’ sprovveduti, conquistati dai sorrisi dei bambini e dalla luce degli occhi del padre, nella loro casa.
Ci fanno entrare e arriva l’interprete recuperato al volo nel villaggio: “Karibu!” – Ben venuti! Ci dicono.
Ci fanno accomodare su vecchie poltrone e sorridono abbracciandoci! Non possiamo parlare ma il loro affetto ci accoglie come appartenenti a una stessa specie: quella umana!
Cosa che in città, da noi, si dimentica spesso e qualche volta volentieri!
Non dimenticherò nessuno dei volti che mi sono stati messi davanti in questo viaggio, come sento che loro non dimenticheranno me, la “masai bianca”, come mi hanno chiamato.
Con questo mio racconto spero di aver creato interesse, ma soprattutto consapevolezza su tanti piccoli dettagli.
Al pomeriggio ero ormai solita portare in spiaggia, nel villaggio vicino, dei biscotti ai bambini, che mangiavano di gusto.
Di gusto!
Come non vedo mai mangiare mia figlia, per la la quale, se il cibo non ha il colore giusto, la pietanza finisce per sostare nel sacchetto dell’umido, ancora intonsa!
Tutti i bambini dovrebbero sapere, vedere, accorgersi e usare lenti diverse da quelle che la nostra abitudine ha fornito loro. Parlo dell’educazione all’abbondanza del fin troppo, dei capricci oltre misura, di tutte quelle concessioni tossiche che gli abbiamo impartito considerandole “amore”. Concetti, preconcetti, alienazioni alla vita.
Racconto di questo mio viaggio perché mi ha fatto accorgere e per far accorgere.
Ogni giorno siamo sempre più ipnotizzati, finiamo per non salutare più, per non ringraziare di ciò che abbiamo, tutti accartocciati da ciò che la tv ci propina.
Facciamoci un favore: spegniamo la tv e accendiamo la vita!
Non ne posso più di persone terrorizzate per ciò che vedono e sentono alla tv: notizie terribili che ci annunciano che andrà sempre peggio.
C’è chi vive con poco ed è felice. Noi, che abbiamo l’inutilizzabile, che compriamo più case di quelle in cui potremo mai abitare, che versiamo nel piatto più cibo di quanto ne serva, che acquistiamo più automobili di quante ne possiamo guidare, che abbiamo più scarpe di quante ne potremo mai indossare, che abbiamo talmente tanti abiti da poterne sfoggiare, cambiando indumento ogni giorno per mesi… ce lo metteremo mai un limite, o bisogna arrivare alla crisi per capire che la felicità non sta nel “quante cose possiamo comprare”?
Quanto tempo perso dietro al rafforzamento di quell’inutile talento chiamato “convinzione”!
Me ne vergogno e mi fa male nel vedere quanto ha soggiornato in me questo distorto paio di occhiali!
Ringraziamenti
Ringrazio la disponibilità sempre presente di Erik, e Lisa Morales per alcuni scatti e la deliziosa compagnia.
Saluto tutti i miei compagni di viaggio che mi leggeranno e si ricorderanno con me di quanto abbiamo vissuto.
Peace & Love..
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