Nell’Assassinio di Cristo, Wilhelm Reich scrive: “E’ possibile uscire dalla trappola. Tuttavia per evadere dalla prigione bisogna prima ammettere di essere in prigione. La prigione è la struttura emozionale dell’uomo, la sua struttura caratteriale. E’ scarsamente utile escogitare sistemi filosofici sulla natura della trappola, se l’unica cosa da fare per uscire dalla trappola è conoscerla a trovarne l’uscita“.
Sembra di leggere un trattato buddista sulla prigione della mente che ci impedisce di vedere la realtà. Ma Reich non parla soltanto della mente, ma dellacorazza caratteriale, che si manifesta nel nostro corpo, bloccando il sentire naturale e distorcendolo.
Il vero problema per uscire dalla nostra trappola è che bisogna, non soltanto ammetterlo, ma soprattuttodesiderare intensamente di uscirne. Molti, pur sapendo di essere in una gabbia, anche se si accorgono che c’è la possibilità di evadere, hanno talmente paura di ciò che potrebbero trovare fuori, che preferiscono rimanere nei loro confini ristretti.
Ma l’uomo è molto abile a prendersi in giro e quindi fa credere a se stesso ed agli altri di essere animato dall’aspirazione a realizzare una nuova condizione di vita e di consapevolezza, si lamenta del suo stato di soffocamento (lamentarsi non costa niente) oppure i più intelligenti scrivono trattati su come evadere dalla gabbia, intere e complesse ideologie, sentendosi a posto con la loro coscienza. Ma evadere non è un’azione mentale, è un’azione reale, è un percorso vissuto nel corpo e nelle proprie emozioni, è una disciplina quotidiana, è una sadhana, come dicono in India. Conoscere la trappola significa conoscere sé stessi. Significa essere guerrieri. Significa essere umili. La più bella definizione di umiltà l’ho trovata in Mastro Eckhart che dice che l’umiltà è la consapevolezza di ciò che siamo veramente.
Continua..
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