Quando la filosofia è ricerca sull’aldilà?

Riscoprire il vero significato, spesso distorto, degli studi che vanno oltre la corporeità: il valore prettamente filosofico della conoscenza sia essa concreta o astratta, scientifica o mitica.

Credo sia arrivato il tempo di chiamare queste “ricerche spirituali” con il loro vero nome. Vent’anni fa si diceva genericamente New Age: termine in realtà settoriale, che indicava, propriamente, soltanto un orientamento editoriale statunitense (con altri generi allora in voga: InspirationalSelf-HelpReligion, ecc.) e che si estese poi a un breve fenomeno folcloristico, poco pittoresco, troppo vaporoso. Prima ancora la parola chiave era Esoterismo, cioè, letteralmente, “materia riservata a pochi”.

Perché mai riservata a pochi, quando già allora, e oggi ancor di più, sono sempre più numerosi i suoi appassionati e tutto, in quest’ambito, tende alla più coraggiosa divulgazione? E poi, quale materia è? In quale prospettiva e con quali sistemi vengono trattati i mondi spirituali in questo nostro ambito? Antropologia? Non proprio. Psicologia? Nessuno psicologo approverebbe una tale definizione. Parapsicologia? Termine muffoso. Religione? indubitabilmente no! E dunque? Io credo sia filosofia. Nel senso più stretto: amore e ricerca della sapienza – del senso e del significato, cioè, delle conoscenze di cui noi tutti insieme disponiamo, siano esse empiriche, scientifiche, astratte, mitiche, leggendarie o individual-sentimentali. Sapienza. Certo, occorre un po’ di coraggio per rivendicare questo termine illustre. Ma sia il pubblico, sia gli autori, o i relatori di congressi, osano cercare e magari trovare proprio questo. Nulla di meno. E la storia della filosofia propriamente ci dà ragione. La principale, l’ultima corrente filosofica del Novecento, che in Francia prese il nome di Esistenzialismo e, altrove, di Fenomenologia Trascendentale, richiamava perentoriamente l’attenzione proprio sull’insufficienza di quella che ancor oggi è la prospettiva scientifica del mondo.

Nel mondo della vita – scriveva Edmund Husserl nel 1938 – la scienza dell’epoca moderna non vuole vedere altro che la corporeità” e Husserl interpretava questo “non-volere” come una strana, flagrante (ma inosservata) e angosciosa superstizione intellettuale. Voler vedere solo i corpi, e limitare così l’universo a uno schema monco, concretissimo secondo i più, ma in realtà risultato da un’astrazione. E le anime? E il cosiddetto “Aldilà”? La psicologia moderna sorge proprio come una inevitabile integrazione della “scienza della corporeità”, ma – come per timore del mare profondo – si distacca il meno possibile dai corpi, immaginando la psiche come il contenuto del corpo stesso, nel periodo che va dal concepimento alla morte, e null’altro.

A questo modo di intendere si oppone l’esigenza di chi studia queste altre prospettive della sapienza. È bene essere consapevoli di ciò, e della portata culturale attualissima, e tutt’altro che marginale, di tali ricerche che mirano a ricostituire il fenomeno “mente”, “io”, “umanità” nella sua interezza, proprio com’era nei tempi antichi, quando da discussioni come queste nascevano nuove religioni, e – davvero – nuove epoche con esse..

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