Vocabolario: Soldi

Vocabolario: Soldi

Il denaro è un aspetto fondamentale e controverso della nostra società, ma è anche una chiave per imparare a dare il giusto valore alle cose…

 

Tra elementi fondamentali del «mondo degli ALTRI» vi è senza dubbio il denaro, di cui i bambini ignorano il significato. L’ADULTO, dal canto suo, attribuisce al denaro un’importanza tale, da sacrificare a esso gran parte della propria esistenza e dell’esistenza delle persone a lui care: ma non perché ne colga il significato meglio dei bambini. Al contrario, quanto meno l’adulto capisce che cosa sia il denaro, tanto più se ne lascia dominare; e quanto più se ne lascia dominare, tanto più teme quel che avverrebbe se tale dominio cessasse.

È insomma quel che, secondo gli antichi, avviene con i demoni: un demone comincia ad agire su di noi quando lo alimentiamo con una parte delle nostre energie psichiche, e quanto più lo alimentiamo di ciò che è nostro, tanto più forte diviene lui e tanto più deboli noi; se invece smettiamo di alimentarlo, il suo potere su di noi si vanifica.

Nel caso del denaro, ciò che alimenta il suo potere sugli adulti è precisamente il significato che essi gli danno e che, per poterglielo dare, tolgono a se stessi. Di tale significato il denaro ha assoluto bisogno, per poter esistere: esso è, infatti, soltanto il significato che ha – una banconota non sarebbe che un rettangolo di carta, se non fosse per la cifra che ha stampata sopra. Tale significato, cioè la realtà del denaro, è fondato sull’esigenza di trovare un criterio di misurazione del valore delle cose agli occhi della collettività.

Noi disponiamo di misure di peso, di lunghezza, di volume, di tempo ecc. che determinano la nostra esistenza assai meno di quanto non faccia il denaro, e non certo perché i pesi, le lunghezze, i volumi o il tempo contino meno del denaro; queste misure ci preoccupano meno, richiedono meno sacrifici da parte nostra, semplicemente perché sono più attendibili del denaro. Il denaro infatti, più che misurare il valore delle cose, lo determina – così come un metro influirebbe sulla lunghezza di qualcosa se lo si potesse allungare o accorciare a piacimento. Così, per esempio, una cosa priva di senso può tutt’a un tratto valere moltissimo se ne viene alzato il prezzo, mentre una cosa estremamente preziosa può valere poco se nessuno è disposto a comprarla.

Dunque, come strumento di misurazione del valore, il denaro non funziona gran che: e, poiché sono stati gli adulti a inventarlo, è evidente che non volevano affatto che funzionasse, ma che permettesse loro di manipolare tale misurazione, a seconda delle circostanze. Perciò, come avviene per tutte le cose che non funzionano, anche nel denaro occorre innanzitutto credere, e credere che occorra credervi.

Vi sono tre modi di credere che il denaro sia davvero lo strumento per misurare il valore di qualcosa agli occhi degli altri:

– il servirlo, dedicandovi tutta la propria esistenza;

– il disprezzarlo, il che equivale ad arrendersi alla constatazione dell’enorme potere del denaro e il cercarne scampo fuggendo;

– lo stabilire un compromesso, dedicando una parte del proprio tempo al guadagno, e il tempo resta a «ciò che non ha prezzo».

La maggioranza segue naturalmente la terza via, più comoda delle due precedenti, ma anch’essa deleteria: innanzitutto, quel compromesso, infatti, non può non produrre una scissione della personalità (molto simile a quella di una prostituta che abbia un amante); in secondo luogo, la scissione tende irresistibilmente a estendersi a ogni aspetto della nostra esistenza: irresistibilmente, cioè, ci si rassegnerà a non vivere, a non essere abbastanza in una parte del nostro mondo – il che, anche se non ce ne accorgiamo, è uno sforzo costosissimo in termini di energia vitale.

Conviene dunque considerare qualche altra soluzione. Assai utile, a tale riguardo, è l’impostazione del problema del senso del denaro che viene data nei Vangeli, in alcuni passi molto equivocati, nei quali il denaro stesso viene inteso come un criterio di misurazione oppressivo e come un fondamentale ostacolo alla connessione tra io piccolo e Io grande.

Per esempio, l’episodio in cui compare la famosa frase «Date a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio» (Matteo 22,18 ss.). Solitamente la frase viene intesa come una giustificazione del compromesso di cui ho appena detto; ma nel testo si tratta di tutt’altro. Gesù pronuncia questa frase riguardo a una moneta, sulla quale sono impressi il volto e il nome dell’imperatore: Gesù domanda «se questo oggetto è di Cesare, dato che c’è scritto il suo nome, perché lo tenete voi e non glielo restituite?».

La stessa cosa potremmo domandarci oggi riguardo alla Federal Reserve, per il dollaro; o alla Bank of England, riguardo alla sterlina; o alla Banca Centrale Europea riguardo all’euro. Per quale motivo o accordo – non siglato da nessuno di noi – siamo obbligati a utilizzare, per la misurazione del valore delle cose, per i nostri scambi, per i nostri rapporti, oggetti di carta e di metallo fabbricati soltanto da un piccolo gruppo di persone, che evidentemente traggono da tale obbligo notevoli vantaggi? Sarebbe molto più sensato restituire quegli oggetti al fabbricante, esigendo onestamente il controvalore, poniamo in oro, o in platino, o in altre ricchezze autentiche. Senza dubbio, se tutti o anche soltanto molti facessero ciò, ne deriverebbe la più grande trasformazione mai avvenuta in una società umana; e nulla, obiettivamente, impedisce di farlo.

Altri passi dei Vangeli dedicati al denaro sono quelli, numerosi, in cui si narra delle cosiddette «moltiplicazioni» dei pani e dei pesci, con le quali Gesù riuscì a nutrire più volte migliaia di persone che seguivano la sua predicazione. È sufficiente leggere quei passi per accorgersi che lì, in realtà, Gesù non «moltiplicò» nulla. Si limitò a far disporre la gente «a gruppi d’una cinquantina di persone» (Luca 9,14), prese del cibo e semplicemente mostrò quel che occorreva fare, dividendo il cibo in porzioni e distribuendolo a chi gli stava vicino. Il cibo lo prese a un bambino che aveva «cinque pani e due pesci», e lì è la chiave del passo: perché quel bambino aveva una tale scorta? È facile da intuire: veniva da un luogo vicino, e non aveva ancora esaurito il cibo che aveva portato con sé da casa. Altri, nelle migliaia che seguivano Gesù, venivano da più lontano e non avevano con sé più nulla da mangiare: «State insieme e dividete quel che c’è» disse dunque Gesù, e i Vangeli narrano che il cibo bastò per tutti e ne avanzò addirittura, senza che nessuno avesse bisogno di comprarne dell’altro – senza, cioè, che occorresse ricorrere al denaro.

Giovanni nota che «vedendo ciò, alcuni dei presenti volevano fare di Gesù un re» (Giovanni 6,15): alcuni, cioè, intuirono le enormi conseguenze politiche ed economiche che questo principio di condivisione avrebbe avuto in qualsiasi nazione, e vollero trarne un’ideologia (il che avvenne infatti, diciotto secoli dopo). Ideologia o no, anche questo metodo di prescindere dal denaro non incontrerebbe obiettivamente alcun ostacolo, se lo si volesse applicare oggi.

Infine, vi sono nei Vangeli due passi assai imbarazzanti, riguardo al denaro: in uno, Giuda protesta, vedendo il balsamo costoso che la Maddalena adopera per ungere i piedi di Gesù: «Si sarebbe potuto vendere quel balsamo, e dare il ricavato ai poveri!». E Gesù risponde: «I poveri li avete sempre con voi. Ma non sempre avete l’io» (Giovanni 12,5-8). In un altro, Gesù rimprovera Pietro per essere stato troppo pavido davanti agli esattori delle tasse; poi, vedendolo confuso ed esitante, lo conforta dicendo: «Be’, non scandalizziamo troppo quella gente: fa’ così, va’ al mare, getta l’amo, e il primo pesce che abbocca prendilo, aprigli la bocca e ci troverai una moneta d’argento. Prendila e con quella paga le tasse per me e per te» (Matteo 17,27).

Il senso dei due passi è il medesimo: non lasciare che il denaro determini i tuoi bisogni, i tuoi piaceri, i tuoi comportamenti; il denaro non è che un modo di misurare il valore delle cose: sii tu a stabilire il valore delle cose e di te stesso e, più ancora, lascia che a stabilirlo sia quel tuo io autentico a cui talvolta hai accesso (in tal senso «non sempre avete l’io», cioè: i bisogni degli altri li conosci, ma conosci i tuoi?); poi, commisura quel valore anche al denaro, e procuratene quanto te ne occorre per vivere in pace.

Facile a dirsi! Ma in realtà è ancor più facile a farsi, quando al denaro si impara a dare meno importanza: ogni nostro obiettivo non diventa tanto più raggiungibile, quanto più riusciamo a sfrondarlo delle convinzioni e delle credenze che gli altri nutrono riguardo a esso. E perché mai il denaro dovrebbe fare eccezione? A ciò si riferiscono sia quella «moneta d’argento nella bocca del pesce», sia il passo:

il Padre vostro che è nei cieli sa di cosa avete bisogno; perciò, cercate prima di tutto il Regno di Dio e ciò che è giusto per esso, e tutto il resto vi sarà dato in aggiunta. (Matteo 6,32-33)

La Commedia vi fa eco:

… Se segui tua stella
non puoi fallire a glorioso porto
se ben m’accorsi ne la vita bella

dice ser Brunetto a Dante (Inferno XV,55-56), cioè: se fai quel che davvero piace al tuo Io, raggiungi di certo i tuoi scopi con successo. Dall’incapacità, dalla paura di accorgersene dipende molto di ciò che preclude la «vita bella».

Igor Sibaldi, estratto da Vocabolario, Anima Edizioni.

 

 

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