Femminile e sacralità: chi ha abdicato?

La donna ha abdicato al suo ruolo di custode del sacro… o è stata costretta a farlo? 

 

Ho seguito con molto interesse il video dell’intervento del Prof. Bruno Renzi sul rapporto tra dimensione del sacro e religione del giugno 2014 per Femminil-Mente e desidero dare un mio contributo.

Prima, tuttavia, desidero precisare che non intendo polemizzare su quello che egli, ben più colto di me, ha detto, ma solo esprimere alcune riflessioni in base alle mie fonti su un tema sul quale ricerco da molti anni.

Il mio incontro con la Grande Madre dell’antichità risale al 1994, quando partecipai a un convegno a Creta più che altro per vedere l’isola. Non sapevo ancora che avrebbe rivoluzionato il mio modo di pensare e di vivere…

L’archeologa Marija Gimbutas, splendida pioniera del revival della Dea, aveva rinunciato all’appuntamento perché prossima a concludere il suo cammino terreno. Ma c’erano Riane Eisler (autrice de Il calice e la spada) e molti altri dai quali cominciai a intravvedere la bellezza di tante civiltà che vissero secoli di pace ininterrotta e di uguaglianza tra uomini e donne. Allora, mi sono detta, non è vero, come si sostiene in generale, che da che esiste l’essere umano esistono le guerre e il predominio del “maschio”, ovvero quelle differenze di genere delle quali si sta sempre più parlando.

Elemento comune a quelle civiltà era il credere che la Vita fosse “femminile” o per meglio dire un “Tutt’Uno”, un “Ventre” che solo più tardi si sarebbe frazionato in una miriade di “Dee”. E la loro fine iniziò con una sequela di invasioni da parte di popoli che inalberavano armi metalliche (simboli fallici?) e diversi Dei “maschili”. Lungi dall’inveire contro questi invasori (la vita “è” cambiamento in sé, e raramente avviene in modo “tranquillo”), mi è nato il sospetto che attribuire al Principio della Vita un volto Femminile o Maschile presupponga una diversa mentalità, così ho cominciato a studiare il funzionamento della mente, la mentalità con la quale interpretiamo la Vita oggi e ovviamente tutto ciò che riguarda “Lei”: uno studio intricato, una sorta di ragnatela che mi ha portato a incontrare temi a volte apparentemente scollegati, quali la mitologia, il ciclo arturiano, le Vergini Nere, Maria Maddalena… Ma non sono che alcuni.

Introduco un’ultima premessa per evidenziare che quelle civiltà appartengono alla preistoria (abbiamo documenti archeologici o comunque non scritti), mentre i miti, in quanto scritti, sono posteriori e già i più antichi rappresentano (forse) rielaborazioni di credenze precedenti anche alla luce di cambiamenti sociali intervenuti. Lo stesso termine “Dea” è palesemente nato dai greci e comunque è ben più tardo. Penso che inizialmente quella “Madre-Vita” non avesse un nome né un epiteto e che in realtà non rappresentasse il femminile in senso stretto, bensì un Tutt’Uno, come dicevo poc’anzi.

Venendo all’intervento del Prof. Renzi, desidero soffermarmi su alcuni punti in particolare. Nelle sue prime frasi, egli sembra sottintendere un nesso tra il fatto che la donna avrebbe abdicato il suo “sacro” e la violenza che trova sempre più spazio oggi. A me pare che sia stata costretta ad abdicare, grossissimo modo, da quattromila anni… E si tratterebbe di ben più del suo ruolo sociale, come lascia intendere un mito che ho trovato sul bellissimo Gli dei e gli eroi della Grecia di Karoly Kerenyi. Lo riporto perché mi sembra altamente significativo rimandando quanti volessero una discussione più approfondita al mio sito o invitandoli a contattarmi direttamente.

A capo di Atene, prima che si chiamasse così, c’era un re mezzo serpe e mezzo uomo, Cecrope, che scoprì per così dire la doppia origine dell’uomo: procreato non solo da una madre, ma anche da un padre. Egli istituì il matrimonio monogamo (prima i due sessi vivevano mescolati) e anche la sepoltura dei defunti senza distinzione in terra su cui si seminava il grano, così non si facevano cimiteri ma campi per nutrire i vivi: la morte non era più un evento sacro, né era più aperta a una rinascita come implicavano, per esempio, le sepolture individuali in posizione fetale. La Grande Madre-Vita, infatti, presiedeva tanto alla nascita quanto alla morte, inizio e fine coincidenti del ciclo dell’esistenza.

A un certo punto si decise di dare un nome alla città e si chiamarono in causa gli Dei. Risposero in due con tanto di “propaganda elettorale”: Atena, che fece spuntare un ulivo, e Poseidone, che fece scaturire una sorgente. E si passò alle votazioni. Cito testualmente dal testo di Kerenyi (Oscar Mondadori, 1989, p. 416-417): «Allora però avevano ancora voce in capitolo le donne ed esse vinsero per un voto. Così la vittoria arrise ad Atena e la città prese nome da lei. Poseidone […] preso dall’ira inondò le coste. Per placarlo le donne dovettero rinunciare ai loro diritti precedenti, e da allora anche i figli vennero chiamati non più col nome della madre, ma con quello del padre.»

Trovo potenti le implicazioni di questo mito, che potrebbe rendere conto della nascita dell’era della sottomissione della donna, almeno nella nostra parte di mondo. Innanzi tutto qui abbiamo un re, mentre pare che dagli scavi delle antiche civiltà non siano emerse tracce di dinastie regali, e già questo la dice lunga sulla diversa organizzazione sociale. La Gimbutas, infatti, conia per quelle antiche civiltà la definizione di gilaniche unendo le radici greche gy (donna) e an (uomo). In altri termini, esse non erano, come qualcuno sostiene, matriarcali: vi vigeva un sistema per così dire amministrativo ma non di governo, non c’erano gerarchie né alcun “-arcato”, concetto che, di suo, è già abbastanza “maschile”.

Ciononostante, le donne avevano un ruolo privilegiato: quello sacerdotale. Sono ben note, per esempio, le statuette cretesi di sacerdotesse che brandiscono serpenti; tralascio un’interpretazione simbolica che sarebbe troppo lunga in questa sede, ma rilevo che evidentemente questi animali avevano un importante significato legato alla donna, alla terra e, più precisamente, al sacro, ovvero al senso della sacralità della Vita. Cecrope se ne appropria, essendo serpente dalla vita in giù… Devo precisare che anche oggi esso è ritenuto un simbolo fallico e quindi maschile? Lo stesso avverrà con il mito del Minotauro, laddove la testa di toro, come dimostra la Gimbutas, sembra l’esatta riproduzione dell’apparato genitale femminile.

E veniamo al punto più importante del mito. Cecrope capisce il ruolo maschile nella procreazione: evidentemente prima si pensava che la nuova vita si instaurasse nel corpo della donna in modo “misterioso” e quindi nascesse per partenogenesi, per parto virgineo. Lo dimostrerebbero le figurazioni preistoriche di donne con un ventre enorme o evidenziato da spirali o “labirinti”, ma anche la cosmogonia di Esiodo in cui, pur essendo più tardo delle “civiltà della Grande Madre”, Gea estrae dal suo stesso seno il Principio Maschile, Urano (“Cielo stellato”), che ogni notte si corica su di lei ingravidandola. Mi pare ovvio che, se lo estrasse da sé, quel Principio doveva già essere dentro di lei… Da tutto ciò, a mio avviso, deriva una stretta corrispondenza tra Vita, sacralità (ovvero senso del mistero), e funzione sacerdotale, ossia la capacità di fare da ponte tra il visibile e l’invisibile, tra il noto e l’ignoto. Evidentemente allora si pensava che quest’ultima naturalmente appartenesse alla donna.

Tutto il resto del racconto mi porta a una conclusione per me sconvolgente: quello che quei nostri antenati (principalmente greci, per la nostra cultura) hanno inteso confiscare alla donna è il potere della Vita e della morte… con tutti i relativi annessi e connessi, ivi inclusa la funzione sacerdotale come si vede a tutt’oggi, e con una rabbia (o un’invidia) che ha sfociato, per esempio, nella caccia alle streghe e ancor oggi sfocia in tante violenze sulle donne. Nel corso dei secoli si è creata una serie di implicazioni sull’onda delle analogie e delle risonanze quali il re (o il giudice) padrone della vita e della morte dei “sottoposti”; il padre-padrone; la Terra come spazio da possedere e/o conquistare con la forza; la patria (“terra dei padri”) in quanto entità sacra per difendere o ampliare la quale è onorevole morire… Non sarebbe meglio una “matria” per la quale è onorevole vivere? Una madre sa che mette al mondo i figli per vederli impegnati nelle opere di perpetuazione della vita… Le donne di Sparta, che volevano vedere tornare dalla guerra i propri figli vincitori oppure morti, erano un’aberrazione, frutto di tanto lavaggio di cervello…

Un altro dato che emerge non solo da questo mito è l’inizio dell’era della razionalità (facoltà “maschile”), che in qualche modo coincide con la conquista della scrittura, e contiene la capacità di giudicare, di pensare in termini di “o” – “o”, di frazionare, di analizzare e considerare un aspetto alla volta. È da qui che, sempre a mio avviso, nacque il bisogno di scindere quel Tutt’Uno in una miriade di Dei e anche di Dee… visto che comunque la donna era indispensabile se non altro per perpetuare la specie… Ma non era più connessa a un Principio, bensì era una sorta di sottoprodotto per giunta imperfetto, come lasciano intendere la storia di Eva e gli scritti di certi Padri della Chiesa. E ritengo che comunque nascano da qui anche le religioni intese come set di principi, regole e gerarchie, pur se evidentemente anche prima si praticavano delle ritualità.

Le sette Dee citate dal Prof. Renzi, che sono quelle illustrate dal bellissimo Le dee dentro la donna di Jean Shinoda Bolen, indubbiamente rispecchiano vari aspetti della psiche femminile, ma non bisognerebbe dimenticare che sono, appunto, aspetti, “frazionamenti”, se vogliamo, archetipi che compongono un archetipo più grande, mentre oggi sia la scienza sia la spiritualità ci spingono con forza crescente verso l’Uno o quanto meno verso l’integrazione non solo di quegli aspetti. Chi, come me, ha studiato o letto quel libro avrà notato che, come sempre quando si parla di “tipologie”, riconoscersi in una sola Dea non solo è impossibile, ma sarebbe anche indice di una “patologia”. Dopo averli visti, analizzati, quegli aspetti devono essere composti in una sintesi. Il vero “sacro” del femminile io lo vedo proprio nella capacità di accoglienza e di omnicomprensività.

Non sfuggirà peraltro che quel “Tutt’Uno” iniziale, pur se ritenuto “femminile” dai nostri avi, contiene in sé sia il Principio Femminile sia quello Maschile, né che quei principi sono inscritti sia nella donna sia nell’uomo, come insegnano lo Yin/Yang o l’Animus/Anima di Jung. Come dice Annick de Souzenelle, dentro ogni uomo (aspetto manifesto) esiste una donna (aspetto immanifesto), e viceversa per la donna, che devono sposarsi nel talamo del cuore con le cosiddette nozze alchemiche. Non per ottenere un uomo effeminato o una donna virilizzata, ma per diventare persone complete, intere e integre. Il che, chiaramente, non implica che si debba vivere da soli…

Ovviamente con molti errori (che sono il metodo di apprendimento sul Pianeta Terra), le donne hanno già cominciato ad addentrarsi nel sentiero verso l’integrazione del proprio maschile. Non altrettanto gli uomini, anche se fortunatamente un numero crescente di essi lo sta affrontando e, devo dire, in modo stupendo. Ma ogni tanto ho la sensazione che alcuni uomini si accostino al tema della donna come “oggetto” da studiare, esterno a sé, e quindi in modo “maschile”, il che non li aiuta a crescere veramente… Chi ha abdicato al sacro vero, profondo, e quindi sia caduto nella violenza, in realtà mi sembrano essere loro.

La mia Dea Guerriera rappresenta uno sforzo proprio nel senso dell’unione tra Femminile e Maschile. E non è un “personaggio” né tanto meno una “divinità”, bensì una forza che risiede in tutti, donne e uomini: una forza di cui, a mio avviso, c’è un bisogno crescente se non altro per trovare una diversa mentalità con la quale cavalcare il cambiamento in atto. Tutti insieme, uomini e donne.

Gabriella Campioni

 

Video del prof. Bruno Renzi, citato nell’articolo:

 

Credits Img: arte gilanica.

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