In questa intervista Stefano Fusi affronta con noi il tema della rabbia, mettendo in evidenza il legame con la paura di essere inadeguati, rifiutati, non accettati, che è la paura di confrontarsi con il mondo: una ferita originaria che ciascuno di noi porta dentro di sé, fin dal momento della nascita.
– La rabbia è molto diffusa e spesso emerge con poco. Secondo lei, quale può essere la causa reale alla base di questo sentimento?
La rabbia nasce dalla paura… che non è stata trasformata e vissuta adeguatamente. La paura ci può aiutare se è un modo per prendere coscienza dei nostri limiti tuttavia, quando non è vissuta in modo positivo e costruttivo, questa si trasforma in rabbia. Attraverso la rabbia si esprime la paura di non essere adeguati, compresi, accolti, accettati; si tratta di una paura primaria che deriva da una ferita presente in tutti noi. Naturalmente, esistono gradi diversi nel provare e manifestare questa paura e nel darle corpo come rabbia.
– Può essere più specifico?
In noi esiste la paura di non essere accettati e amati, e tale paura spesso si trasforma in rabbia. Le manifestazioni di rabbia sono un modo per cercare di entrare in contatto con gli altri e di stabilire un rapporto anche se con una modalità negativa, infatti la cosa più grave per chi prova rabbia è proprio l’indifferenza e la mancanza di contatto con le altre persone. Fondamentalmente, la rabbia è un richiamo e se apparentemente si presenta come un’aggressione, più in profondità si tratta di una proiezione delle proprie esperienze negative o drammatiche.
Un’esperienza comune è quella del distacco dalla madre al momento della nascita. Alcuni studi mettono in evidenza che quando la gravidanza è vissuta in modo eccessivamente stressante o il parto è molto doloroso ci sono delle ripercussioni anche sul nascituro, ma già il parto stesso è un’esperienza che ci scaraventa in un mondo sconosciuto… l’attuale sistema in uso negli ospedali non è certo di aiuto: appena nati veniamo sottoposti d’improvviso alla luce forte, siamo presi a schiaffi e il cordone ombelicale viene tagliato subito, azioni che in altri tipi di cultura non verrebbero considerate neanche…
La nascita rappresenta quindi un evento che incute paura di uscire e aprirsi al mondo, e come tale dà origine a quella rabbia che rimane insita in ciascuno di noi, poi naturalmente durante il corso della vita si aggiungeranno altre situazioni aggravanti… si pensi anche ai traumi dovuti all’abbandono, alle aggressioni, agli abusi, vissuti o anche solo percepiti, infatti ci sono persone che hanno un carattere particolare, le quali percepiscono facilmente di essere aggredite o trascurate, e poi trasformano tutto questo in rabbia.
– Una volta che si è diventati adulti, cosa è possibile fare per rielaborare e trasformare la rabbia?
Non è semplice rispondere a questa domanda perché esistono infiniti modi di affrontare la rabbia, soprattutto quando si tratta di qualcosa di molto forte che arriva a creare problemi di carattere psicologico o sociale, allora occorre uno specialista, un terapeuta che sappia come muoversi e come ricostruire la storia della persona coinvolta. Comunque, più in generale, tutti possono cercare di fare qualcosa: per iniziare, occorre accettare la rabbia, anche vivendola fino in fondo. Sembra paradossale ma in realtà bisogna evitare di rifiutarla e nasconderla.
Secondo me, infatti, la strada per la rielaborazione della rabbia non inizia imponendosi subito una qualche meditazione trascendentale o “tuffandosi” in una tecnica che promette di risolvere nell’immediato le varie tensioni; l’unica via che insegna a superare la rabbia e i vari problemi è la vita stessa, il che semmai si traduce con il cercare dei modi per vivere più intensamente… Si può procedere con qualsiasi tecnica o meditazione ma solodopo che si è fatto un lavoro su se stessi, partendo dall’accettazione delle proprie parti negative. Come spiega Jung, siamo fatti di luce e ombra e più la luce è intensa più l’ombra risalta così, crescendo ed entrando in contatto con queste nostre parti oscure, si vorrebbe tornare indietro… bisogna invece cercare di accettarle; questo è il primo passo..
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