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118. IL PECCATO CHE CI CAMBIA

118. IL PECCATO CHE CI CAMBIA

04/03/13

Caro viandante, questa settimana vorrei parlarti della parola “peccato”.

Vorrei far luce su una dinamica grave, gravissima, che è la nostra potenziale credenza nei confronti di questa parola. La sua stessa composizione, pecc-ato, ci indica un “atto peccaminoso”, ma il suo significato, in una visuale più ampia, ha più a che vedere con ilsbagliare direzione, rimanendo in un territorio a noi stessi dannoso. In questo senso, allora, viene a mancare parte di quella mortificazione profonda che finisce per produrre altro peccato cioè altra mortificazione, altro disgusto per ciò che siamo senza porre risoluzione alcuna al problema, anzi aumentando il potere di quel “cane oscuro” al quale stiamo dando da mangiare.

Il fatto è che per uscire dalla prova quale il peccato è e che ci vuol mostrare, servono altri tipi di visioni, più di largo respiro; spesso tali prospettive ci sono state occultate per manipolazione e potere di taluni nei confronti della massa ignara.

Occorre l’accettazione di se stessi, incluso ogni limite, ogni ombra, ogni valigia pesante nell’attesa di essere svuotata. Questo porterà alla pace.
C’è da accorgersi che il vero peccato è sinonimo di disamore; questo è il vero orrido, perché esiste di peggio che raccontare bugie, ed è mentire a se stessi! C’è di peggio di uccidere ed è avvelenarsi ogni giorno un po’ detestando parti di noi, soffocandole con i sensi di colpa, stringendole nella morsa dell’autoflagellazione col rifiuto… Abbandonare per paura di essere abbandonati, essere anafettivi perché cresciuti con la sufficienza e la freddezza nel sentirsi ingiustamente trattati.
Il vero peccato è disconoscerci come scintilla divina, allontanarci in questo modo da quella beatitudine che ci fa sentire, viandante, ognuno perfetto per ciò che è venuto ad apprendere.

Il vero peccato è fuggire anziché cercare una cura.
Molte volte ho creduto che, in una condizione di dis-agio e mal-essere, la soluzione fosse cambiare e iniziare a farlo con il piccolo, ogni giorno un po’, fino a cambiare il grande di noi… senza accorgermi che, in un altro modo, così facendo si continuava a porre l’attenzione e l’energia al fatto che fossimo “rotti”, difettosi, dis-funzionanti e quindi che non andavamo bene, caro lettore!

Invece oggi sai che ti dico? Resta così come sei, esattamente così. Resta come sei! Amati così, con quello che c’è o non c’è, e fa parte di una tua caratteristica; forse un giorno sarai diverso, ma oggi osserva ciò che sei e accoglilo!

Non parlo di accettazione passiva ma attiva, attivissima: osservo come mi comporto, accetto le mie risposte fuori luogo, burbere, che mi fanno sminuire… accetto la mia rabbia, accetto i miei malanni come risultato di ciò che ho vissuto intensamente.
Raggiungerò con questa accentazione attiva un certo senso di tranquillità e di pace.
È da questo istante che parte la guarigione e quindi il vero cambiamento, non perché siamo sbagliati ma perché non siamo più ciò che eravamo prima!

Ti siano rimessi i tuoi peccati, viandante, perché sono i tuoi, appartengono solo a te, ma non sono il tuo futuro se li accogli nel presente come un bilancio di ciò che finora hai appreso, hai capito oppure no. Togliendo energia al cane nero del peccato, della cattiva azione nei confronti di noi stessi (prima che dell’altro), noi faremo morire di fame ciò che ci rallenta nella via verso la gioia.

Una sera un anziano capo Cherokee raccontò al nipote la battaglia che avviene dentro di noi. Gli disse: “Figlio mio,la battaglia è fra due lupi che vivono dentro di noi. Uno è infelicità, preoccupazione, paura, gelosia, dispiacere, autocommiserazione, rancore, senso di inferiorità. L’altro è felicità, speranza, amore, serenità, gentilezza, generosità, verità, compassione”.
… Il piccolo ci pensò su un minuto, poi chiese: “Quale lupo vince?”
L’anziano rispose semplicemente: “Quello a cui dai da mangiare”…

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