La sofferenza, in alchimia, viene considerata come strumento, come fuoco, come potere di trasmutazione della materia di bassa oscillazione di cui siamo composti e che dobbiamo imparare a volatilizzare, ovvero innalzare di vibrazione.
Ma la sofferenza non può essere considerata l’unico metodo di elevazione, perché un’astronave biologica (un corpo) che viene completamente sovrastata dal dolore non può percepire l’uno e la sua infinita gioia. Solo nel momento in cui lo spasimo viene placato dall’aumento di consapevolezza, o quando la fisicità materiale non sia più in grado di gestire la pena, subentrano la luce, la chiarezza, la comprensione e la visione dell’unicità di tutte le cose.
Chi permane di proposito nella sofferenza pensando di scorgere in essa una via evolutiva, si sta allontanando dalla verità. Essa è Fuoco e serve a far evaporare la materialità densa entro cui il nostro essere luminoso si immerge al momento della nascita. Utilizzare continuamente questo strumento – Up/Down – di toccare il fondo per risalire, fa sprecare preziose risorse energetiche proiettandole al di fuori di sé, anziché all’interno, dove possiamo trovare l’unità e la pace dello spirito.
La felicità e la gratitudine non sono stati d’animo fini a se stessi. La felicità è infatti uno strumento evolutivo e fa avanzare velocemente sul proprio percorso. Di fatto, la serenità gioiosa, partorita dalla pace e dall’equilibrio interiore, è tre volte più evolutiva della sofferenza stessa.
Andrea Zurlini
Per approfondimenti: Alchimisti della Nuova Generazione (Anima Edizioni)
Noi spesso facciamo un errore…
Posted by Andrea Zurlini on Martedì 19 maggio 2015
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