Navigando nelle infinite possibilità dell'essere

9. OGNI VITA È PREZIOSA

L’apina Zazà spiccò il volo quel giorno, all’alba come di consueto, e come sempre felice di trascorrere una mattinata svolazzando nei campi di fiore in fiore. Le piaceva molto il suo lavoro: succhiare nettare per trasformarlo poi in delizioso miele insieme alle sorelle.

Il metereologo, il signor Millo Millepiedi, la sera precedente aveva predetto sole e vento moderato perché nessuna delle sue mille zampette gli doleva: i reumatismi del signor Millo erano più precisi di un orologio svizzero! La prima cosa che vide Zazà quando uscì dalla sua casa alveare fu, infatti, un bel sole splendente.

Tuttavia, mentre ronzava a zig zag alla ricerca dei più succulenti fiori di corniolo, sentì un rumore assordante provenire dal cielo. Guardò in su e vide un grande uccello di ferro che sorvolava la pianura; le sue ali sputavano strane scie biancastre, così dense da galleggiare nell’aria senza dissolversi. Dopo una serie di circonvoluzioni dell’oggetto volante, il cielo diventò un reticolo, come se una gigantesca mano avesse dipinto le strisce bianche usando un altrettanto gigantesco righello!

«Wow!» esclamò Zazà. «Qualcuno sta disegnando il cielo!»

Era talmente distratta da quella visione inconsueta che per poco non mancò l’atterraggio sull’arbusto del corniolo, rischiando di sbattere le antenne contro un albero vicino. Ancora stupita dalla visione di un cielo che adesso pareva una scacchiera, si mise a succhiare il nettare, ma il primo fiore aveva un sapore amaro ed era appiccicoso. Cambiò fiore, tuttavia anche il secondo aveva uno stranissimo sapore e le imbrattava le zampine. Girò il corniolo in su e in giù, a destra e a sinistra, e provò svariati fiori finché riuscì a trovarne uno pulito.

«Che cosa succede oggi, è tutto strano! Cielo a strisce, fiori disgustosi, e mentre poco prima l’aria era tersa e brillante, adesso sembra lattiginosa e grigia!» Zazà parlò ad alta voce, lo faceva sempre.

2 SECONDA IMMAGINE (BRUCO)«Si tratta di un grosso guaio, mia piccola amica». Bruco Mastrandrea rispose dall’albero di gelso che cresceva lì accanto.

Zazà non lo aveva visto perché era verde come le foglie, e come al solito trasalì: la perfetta mimetizzazione del bruco riusciva a coglierla di sorpresa ogni volta!

«Ciao Mastrandrea, che orrenda mattina! E dire che mi sentivo così allegra quando sono uscita dall’alveare, mentre ora mi appare tutto talmente brutto e triste… a chi è venuta la bizzarra idea di imbrattare così la nostra bellissima vallata?»

«All’uomo!» rispose il bruco alzando lo sguardo in segno di sconsolato disappunto.

«Vuoi dire quella buffa creatura con una grande testa fatta di rete metallica? Sai, ci fa un po’ compassione, allora noi api gli lasciamo prendere sempre un po’ di miele».

Mastrandrea sorrise. «Gli uomini non sono fatti davvero così; la buffa creatura di cui parli è semplicemente vestita in modo speciale per proteggersi dalle vostre punture».

«Oibò!» esplose Zazà risentita. «Noi non pungiamo i poveri affamati!»

«Come può saperlo un essere così poco intuitivo come quello?» ridacchiò il bruco.

«E per quale motivo insozza la vegetazione? Non gli piace la natura?»

3 TERZA IMMAGINA (FARFALLA)Mentre Zazà faceva questa domanda, Farfalla Rosalisa atterrò sbuffando sull’arbusto di corniolo.

«Ohi ohi, povera me, quasi non riesco più a volare!» si lamentò la farfalla, sporca della stessa sostanza appiccicosa che aveva imbrattato i fiori, evidentemente piovuta dal cielo, e forse proprio dalle dense strisce che sputava l’uccello di ferro.

Mastrandrea e Zazà tentarono immediatamente di aiutare la povera Rosalisa perché, se non avesse più potuto volare, sarebbe morta di lì a breve. Ma più cercavano di liberare le ali blu della farfalla dalla robaccia, più ne rimanevano loro stessi invischiati, finché si ritrovarono tutti e tre legati come salami.

«Aiuto, moriremo!» gridò Zazà.

Le sue sorelle udirono il richiamo disperato e si stavano preparando a uscire dal nido per correre in aiuto, ma Zazà ronzò un avvertimento di pericolo: non voleva che cadessero in disgrazia anche le amate sorelline! A malincuore e per il bene della comunità, le api restarono nelle loro cellette. Regina Zara, l’amata e saggia regina dell’alveare, tentò di consolarle e di mantenere l’ordine perché il caos non prendesse il sopravvento. «Dobbiamo avere fede ragazze, cominciamo a pregare con fervore per la salvezza di nostra sorella e dei nostri amici».

Sempre obbedienti agli ordini della loro sovrana, le apette cominciarono a pregare tutte insieme, e il loro ronzio si levò dall’alveare come un canto bellissimo che armonizzò tutta la vallata.

«L’uomo è davvero una strana creatura…» borbottava nel frattempo il bruco, ancora intrappolato insieme all’ape e alla farfalla dentro la rete viscosa caduta dal cielo.

Zazà ripeté la sua domanda. «Perché l’uomo sta facendo una cosa tanto cattiva e stupida?»

«E chi lo sa, è proprio un mistero…» rispose Rosalisa con un filo di voce: le forze la stavano abbandonando e sentiva prossima la fine. «Grazie mie coraggiose amiche, avete rischiato la vostra vita nel tentativo di salvare la mia. Vi amo con tutto il mio cuore di farfalla!»

«Non disperiamo» disse Mastrandrea, ansimando anche lui allo stremo delle forze. «Sentite il canto di preghiera delle api? Dobbiamo avere fede».

«Se non altro moriremo da eroi!» esclamò Zazà. Tuttavia quel pensiero non la confortava molto perché avrebbe di gran lunga preferito vivere!

4 QUARTA IMMAGINE (BIMBI E PALLONE)Il tempo passava, e mentre in cielo si sentiva ancora il rombo dello strano uccello di ferro, che era un aeroplano, e l’aria diventava sempre più grigia, i tre disgraziati amici perdevano via via le forze, finché non furono quasi più in grado di parlare.

L’infernale agonia durava già da un’ora quando un bambino passò accanto ai tre insetti, sfrecciando veloce dietro la sua palla. Zazà aprì un occhietto e vide nel cucciolo d’uomo l’ultima speranza. Allora si mise a ronzare più forte che poteva per attirare l’attenzione.

«Non ci sente, e poi chi ti dice che ci aiuterebbe?» La voce di Rosalisa era ormai un impercettibile sussurro.

«Lo farà invece. I piccoli dell’uomo sono l’ultima speranza dell’umanità e di noi tutti. Ho sentito dire che nascono con cuori saggi e pieni d’amore. Coraggio Zazà, grida più forte!» Mastrandrea era rimasto fiducioso e aveva continuato a pregare silenziosamente, confortato dal canto delle api.

Zazà ce la mise proprio tutta e fece un altro disperato tentativo, anche se ronzare con le ali intrappolate in quel modo richiedeva uno sforzo tremendo. Sfortunatamente il bimbo era già troppo lontano e non poteva sentirla.

5 QUINTA IMMAGINE(FATA)I rumori causati dall’aeroplano, dal canto delle api e dal ronzio di Zazà svegliarono Corinta, la fatina del corniolo.

«Che succede?» domandò stropicciandosi gli occhi e frullando le ali intorpidite.

Non fu necessaria una risposta: alla vista dei tre insetti capì al volo, qui è proprio il caso di dirlo, la situazione! Inoltre conosceva il linguaggio delle api perché collaborava con quelle infaticabili operaie: lei faceva sbocciare i fiori che poi le apette impollinavano al momento opportuno. Comprese che Zazà stava invocando l’aiuto del bambino. Allora sfrecciò verso di lui fino ad atterrare sulla sua spalla destra, ma doveva sbattere forte le alucce per mantenersi in equilibrio perché il ragazzino correva a perdifiato.

Corinta stava proprio per cadere quando le venne in soccorso il signor Ponfo, uno degli gnomi della radura, che per un fortuito caso passava da quelle parti, sottoterra ovviamente. Non aveva idea di cosa stesse succedendo e agì d’istinto: dal suo cunicolo sotterraneo si mise a inseguire il ragazzino, e quando questi fu prossimo a un bel mucchio di morbido fogliame… zacchete! Balzò fuori e perbacco, a costo di procurarsi un bernoccolo, usò la propria testa per farlo inciampare! Il piccolo cadde, ma atterrò senza danni sul letto di foglie.

Ora finalmente Corinta poteva sussurrare nelle orecchie del cucciolo d’uomo e dirgli che c’era bisogno del suo aiuto. I cuccioli d’uomo possono udire la voce delle fate, degli gnomi, dei folletti, delle ondine, insomma di tutti gli esseri magici che sorvegliano la natura, e talvolta persino vederli. Messo al corrente dell’accaduto, il piccolo corse all’albero del corniolo, e quando si trovò di fronte la scena dei tre poveri insetti intrappolati cominciò subito a tentare di liberarli. Tuttavia non sapeva dove mettere le mani: erano esserini fragili, doveva usare molta cautela!

«Coraggio figliolo, anche se non indossi la testa di rete metallica non ho alcuna intenzione di pungerti!» esortava Zazà, che nonostante fosse in fin di vita ancora pensava alla strana paura degli uomini nei confronti delle api, insetti con un tale senso dell’onore! Quella razza di giganti aveva davvero problemi di comunicazione!

«Amica mia, non preoccuparti, è un bambino, lui sa queste cose. Soprattutto conosce il legame indissolubile tra uomo e natura, e sa che senza api, farfalle e bruchi, anche l’uomo scomparirebbe molto presto dalla faccia della terra!» disse Mastrandrea con un’ombra di malinconia nella voce.

«Davvero?» chiese stupita Zazà.

«Certamente! Senza di noi che trasportiamo il polline delle piante e fecondiamo la vegetazione, quanto credi che ci metterebbe questo pianeta a diventare un arido deserto?»

Nel frattempo, con estrema delicatezza, il bimbo era già riuscito a liberare Rosalisa e l’aveva deposta sopra un ramo. Ancora non volava e il piccolo credeva che fosse sotto shock, invece la farfalla era in trepidante attesa di vedere salve le sue amiche. In breve anche il bruco fu liberato dai filamenti vischiosi e messo al riparo sull’albero di gelso. L’ape invece si era dimenata parecchio, attorcigliandosi malamente nella disgustosa sostanza bianca. Il bambino ce la stava mettendo tutta, ma le alucce di Zazà erano troppo piccole, rischiava di strapparle.

Mastrandrea, Rosalisa e fata Corinta guardavano con il fiato sospeso il giovane eroe adoperarsi attorno all’apina. Quando abbassò le mani per tastare le sue tasche, pensarono tutti che avesse rinunciato. Invece il ragazzo tirò fuori un bastoncino appuntito, in verità una matita, e con questa, piano piano, sollevò dalla pancia di Zazà la malefica rete; mentre l’arrotolava sulla punta, la srotolava dall’ape, che stava girando come una trottola in miniatura.

«È un genio!» esclamò Rosalisa.

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«Cosa ti avevo detto? Questi bambini sono speciali. Salveranno il mondo!» rispose Mastrandrea, che guardava il giovane liberatore con grande affetto e ammirazione.

Alla fine anche Zazà fu tratta in salvo, sana e tutta intera, anche se un po’ malconcia. Il bimbo la teneva ancora sul suo indice e controllava che le ali non si fossero strappate e che nemmeno un residuo di schifezze ne potesse impedire l’uso. Zazà le fece vibrare per mostrare al suo eroe che era tutto in ordine, era libera, poi volò accanto alle amiche, compagne di quell’incredibile avventura. Insieme a loro guardò il bambino allontanarsi e correre di nuovo dietro la sua palla.

«Secondo voi si rende conto della magnifica azione che ha compiuto?» chiese un po’ commossa Rosalisa.

«Penso di no. Per lui si è trattato di un gesto naturale. È nella sua natura proteggere la vita» rispose bruco Mastrandrea.

«Se queste creature meravigliose fossero solo un poco più grandi potrebbero distruggere tutti gli uccelli volanti di metallo che sputano robaccia, e tutte le fabbriche di veleni!» esclamò Zazà con un impeto di rabbia e desiderio di giustizia.

«Non temete amici miei: tra qualche anno i bambini di oggi saranno gli adulti di domani. E quando il ricambio sarà completo, vedremo l’alba di nuova era, luminosa e pacifica» disse quasi in estasi la saggia fata Corinta.

L’ape, la fata e la farfalla attesero la metamorfosi del bruco, e quando finalmente anche lui ebbe le ali e diventò a sua volta una magnifica farfalla, volarono insieme in lungo e in largo per diffondere un passaparola, o meglio, un passaronzio. La parola d’ordine dello sterminato esercito degli insetti, delle fate, dei folletti, degli gnomi e di ogni essere della natura visibile o invisibile era: sopravvivere e difendere il pianeta fino all’arrivo del nuovo mondo. Ciascuno doveva solo fare la sua piccola ma preziosissima parte. Cuccioli d’uomo compresi!

Grazia Catelli Siscar

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