Navigando nelle infinite possibilità dell'essere

19. LO IETTATORE

Abele era nato di venerdì diciassette, una data che secondo la gente superstiziosa porta sfortuna. I suoi genitori però non erano superstiziosi, e appiopparono al bambino anche un nome sfortunato; non a caso era il nome di un povero ragazzo ucciso dal fratello, il cattivo Caino. Caino e Abele furono la prima coppia di fratelli che abitò la terra, quindi il bimbo portava il nome del primo uomo iellato della storia! Comunque, almeno sino all’inizio delle scuole, filò tutto liscio.

1Un giorno accadde che il nostro Abele, durante un esperimento nell’aula di chimica, prendesse in mano la bottiglia del liquido sbagliato. In verità l’errore non fu suo: un compagno aveva spostato le bottiglie proprio mentre Abele allungava la mano, e dove un momento prima c’era quella dell’aceto, a causa dello scambio trovò quella dell’acido solforico. La miscela sbagliata provocò uno scoppio infernale e mise a soqquadro l’aula, che restò chiusa per giorni. Fortunatamente nessuno si fece male. E fino a qui ancora tutto bene. Tuttavia il fato è ironico e se ci mette lo zampino…

2Qualche mese più tardi Abele giocava a calcio con i suoi compagni durante la ricreazione. Correva forte ed era prossimo al gol quando un bidello attraversò il campo da gioco. La palla, che doveva finire in rete, fu deviata dal tallone dell’uomo, sul quale rimbalzò per finire dritta in faccia a una maestra. La donna portava gli occhiali, che si ruppero e le tagliarono uno zigomo. La povera maestra fu costretta a portare occhiali scuri un mese intero per coprire la ferita e l’occhio livido!

3Anche quella volta la colpa dell’incidente non fu di Abele: il bidello non avrebbe dovuto trovarsi nella traiettoria del tiro, come la bottiglia dell’acido solforico non avrebbe dovuto trovarsi al posto di quella dell’aceto!

Il giorno successivo alla disgrazia, un compagno di Abele ebbe una maledetta folgorazione: «Abele è nato di venerdì diciassette! Per questo combina sempre guai: porta iella!»

Tutta la classe rise, mentre Abele sarebbe voluto sprofondare mille metri sotto terra. Da quel preciso momento cominciò un vero calvario per il povero bambino che fu etichettato come “Abele lo iettatore”.

Gli anni passarono e Abele diventò un adolescente, poi un ragazzo e infine un adulto. Per tutti era sempre, e lo sarebbe sempre stato, Abele lo iettatore. Il pover’uomo non cercava nemmeno di difendersi da tale ingiuriosa fama perché anche lui ci credeva, pensava realmente di portare sfortuna! I fatti lo dimostravano: gli andava sempre tutto storto.

Se mangiava seduto al tavolo di una mensa, era a lui che toccava l’unico flacone di maionese con il tappo difettoso, che durante l’uso avrebbe imbrattato non solo la sua camicia ma anche quella delle persone accanto. Se camminava nei giorni di pioggia, era solo a lui che una macchina poteva sfrecciare vicino e lavarlo con l’acqua dell’unica pozzanghera della strada, che naturalmente infangava da capo a piedi anche qualunque disgraziato passante si fosse trovato da quelle parti. Se comprava un paio di scarpe, era con lui che il commesso faceva l’unico errore della sua vita vendendo a un cliente due scarpe sinistre, e le due destre finivano di conseguenza nella scatola di qualcun altro, che aveva l’unica sventura di essersi trovato nello stesso negozio alla stessa ora di Abele.

4Era ancora a lui che sbagliavano le prenotazioni quando voleva riservare una camera d’albergo per le vacanze; al suo arrivo puntualmente riceveva delle scuse ma il risultato era sempre lo stesso: doveva dormire in auto! Se tra mille tazzine di un bar una sola aveva il manico sul punto di spezzarsi, finiva nelle sue mani e il caffè sui suoi pantaloni.

Ed era sempre solo a lui che capitavano incidenti causati dalle più improbabili circostanze. Come quella volta… quando sfondò una vetrina per evitare un pollo che scorrazzava in pieno centro città, saltato giù da una gabbia lasciata aperta! Il fattorino si era distratto a causa di una telefonata mentre caricava la gabbia sullo scooter: era la moglie che lo chiamava, agitatissima perché il figlio si era ferito cadendo da un’altalena difettosa. L’altalena era difettosa per colpa era di un operaio che… insomma, tutto l’universo pareva cospirare perché infine ad Abele capitasse una disgrazia! E la lista di accidenti non aveva fine.

La cosa che più faceva soffrire Abele era l’ovvia solitudine alla quale questa iella congenita lo aveva costretto sin da bambino. Perché diciamocela tutta: chi mai vorrebbe stare vicino a uno iettatore sapendo di essere coinvolto nelle sue sfortune? Anzi, non solo la gente gli stava lontano, ma addirittura faceva gli scongiuri quando sentiva pronunciare il suo nome, perché non si sa mai, meglio troppa prudenza che poca, con la iella! Naturalmente non aveva mai avuto una ragazza e sapeva che non si sarebbe mai sposato, né avuto figli.

5L’apoteosi della sfortuna si abbatté su Abele il giorno in cui un improvviso mal di pancia si rivelò appendicite, e fu operato d’urgenza. Era spaventatissimo. «Con la iella che ho chissà cosa può succedere» pensava mentre gli praticavano l’anestesia.

Non aveva torto: invece dell’appendice infiammata gli tolsero la cistifellea! Raccontare l’incredibile serie di sfortunate coincidenze che avevano condotto due infermiere a trovarsi nella stessa corsia, in un preciso momento, e a sbattere una contro l’altra, sarebbe troppo lunga da raccontare. Vi basti sapere che nel raccogliere le cartelle cliniche dei rispettivi pazienti – cadute a terra durante lo scontro – le scambiarono. Quindi alla sala operatoria di Abele arrivò la scheda clinica del paziente malato di cistifellea, al quale tolsero invece l’appendice che si doveva togliere ad Abele. Abele nello stesso momento perdeva la sua cistifellea sana!

Entrambi gli uomini subirono a breve una seconda operazione, quella giusta finalmente. Abele uscì molto indebolito dai due interventi, e anche maledetto dall’altro malcapitato paziente, che aveva ricevuto notizie sulla presenza del famoso iettatore, causa della sua sfortuna ospedaliera.

Era davvero troppo, Abele non poteva più sopportare una simile vita. In fondo a chi sarebbe importato se fosse morto? Anzi, forse aveva il dovere di morire, dato che provocava disgrazie ovunque e a chiunque!

Con questi pensieri funesti, appena dimesso dall’ospedale camminò fino all’unico ponte della città, deciso a buttarsi nel fiume. Stava salendo sul parapetto, nel punto più alto, quando una voce maschile alle sue spalle esclamò: «Perbacco, è un bel volo da qui!»

Abele si girò di scatto. Com’era possibile che qualcuno fosse dietro di lui se un attimo prima il ponte era deserto? Da dove sbucava quell’uomo?

«Non è una buona idea quella di buttare via la propria vita. Non sarebbe meglio aggiustarla un po’?» aggiunse lo strano personaggio; strano davvero, perché era incappucciato e avvolto in un ampio mantello blu.

«La mia vita non si può aggiustare, è meglio che la faccia finita» rispose Abele, sorpreso e imbarazzato.

«Tutto si può aggiustare, caro figliolo!»

Abele protestò: «Tu non sai come stanno le cose, tu non sai che…»

«Invece so tutto di te, Abele; sei uno iettatore dal giorno nel quale facesti scoppiare il laboratorio di chimica! Ma io posso guarirti e farti diventare un uomo fortunato» lo interruppe il vecchio.

6Abele rimase esterrefatto; come poteva quello strano uomo sapere il suo nome e tante cose di lui se non lo aveva mai visto?

«So tutto perché sono un grande mago! Altrimenti non potrei trasformare uno iettatore in una persona fortunata!»

Abele ora non aveva più parole, il vecchio gli leggeva anche nel pensiero! Doveva essere un mago per forza! Tuttavia è difficile credere alla magia quando si è adulti, e agli adulti le prove non bastano mai.

«Va bene, ti darò la prova che sono un vero mago» disse con fare accondiscendente il barbuto signore, ancora una volta leggendo nella mente di Abele. E dopo quelle parole fece apparire un mazzo di fiori nella sua mano sinistra. Poi aggiunse: «Allora, procediamo con l’incantesimo che spazzerà via la tua sfortuna?»

A quel punto Abele non aveva più dubbi: era di fronte a un mago vero! Durante la sua vita di cose strane in fondo ne aveva già viste parecchie, perché la iella è molto fantasiosa nelle sue manifestazioni. «Facciamolo!» rispose dunque emozionato.

Il mago sorrise, poi si fece molto serio e prese la testa di Abele tra le mani, costringendolo a cadere in ginocchio mentre pronunciava formule magiche. La sua voce diventò sempre più alta fino a sbottare in un grido e le mani premevano così forte che sembravano decise a stritolare la testa del povero iettatore congenito.

Abele era sconvolto dal rituale, impressionante e doloroso, e temeva che la sua testa si sarebbe sbriciolata fra le mani del mago. Tuttavia era anche grato all’Onnipotente che gli aveva mandato qualcuno per guarirlo dalla sfortuna. Non aveva alcun dubbio: stava accadendo un miracolo, lo sentiva, la sua iella evaporava come l’acqua sul fuoco. Dopo una vita di torture lo stava abbandonando, finalmente!

«Ecco fatto» disse infine il mago. «Ora sei libero. Vai e goditi la tua nuova vita da uomo fortunato». Si voltò con un gesto solenne che fece gonfiare il mantello, e scomparve nella nebbia di quella fredda mattina di gennaio.

Nei giorni successivi Abele non provò più l’angosciante certezza di dover vivere una disgrazia dopo l’altra; sapeva che non sarebbe più capitato niente di brutto, non era più uno iettatore. E ancora una volta i fatti gli diedero ragione. Come aveva ragione in passato quando si aspettava solo sfortuna e la sfortuna arrivava puntuale, aveva ragione anche adesso che si aspettava solo cose buone dalla vita, perché succedevano davvero.

7Trascorsero alcuni anni e ogni tanto ripensava agli eventi di quel mattino sul ponte e al fatto che il mago aveva qualcosa di familiare, come se fosse una vecchia conoscenza, ma forse era solo uno scherzo della sua mente, la distorsione del ricordo.

Un giorno entrò in un bar, si sedette e ordinò un caffè.

C’era un vecchio poco distante, con il volto coperto dal giornale che stava leggendo. Abele lo notò appena.

«Buongiorno, ti ricordi di me?» disse all’improvviso quell’uomo abbassando il giornale. Abele alzò gli occhi dalla tazza del caffè e… perbacco, era il suo vecchio insegnante di chimica!

Un attimo dopo tuttavia riconobbe in lui anche qualcun altro. Ecco perché gli era sembrato familiare il volto del mago misterioso: era lui, il suo professore di un tempo! E pensare che si era lambiccato il cervello durante tutti quegli anni senza mai arrivarci; qualche volta si era persino chiesto se non avesse sognato tutto!

Mentre stava tremando, folgorato da quella rivelazione, il vecchio insegnante lo guardava con aria complice e divertita.

«Ma… come ha fatto professore? Come c’è riuscito a compiere quella magia su di me?» chiese Abele, autorizzato dallo sguardo del vecchio nel quale aveva colto la chiara ammissione che sì, il mago del ponte era proprio lui!

«Ho letto la notizia dai giornali, il tuo caso tanto singolare ha fatto scalpore, e l’articolo parlava anche della tua fama funesta. Dovevo assolutamente intervenire perché non credo alla iella. È solo un’etichetta crudele che ti fu appiccicata da bambino».

«Ma io sono stato davvero sfortunatissimo fino al giorno in cui lei mi ha guarito!»

«Erano le tue credenze ad attirare quelle circostanze sfortunate. Non appena hai creduto il contrario, tutto è cambiato e la iella è scomparsa. Le credenze influenzano la nostra vita a tal punto da modellarla come se fosse creta nelle nostre mani. Ogni cosa nella quale credi fermamente si avvera, nel bene o nel male. Abbiamo un immenso potere, dobbiamo stare attenti alle cose che pensiamo di noi stessi!

«E i fiori? Sono apparsi dal nulla, come ha fatto? E come mi leggeva nel pensiero quel giorno?» Abele non era del tutto convinto che il suo ex professore fosse davvero solo un saggio insegnante di chimica e non invece un alchimista mago!

«Ti si leggeva in faccia quello che pensavi, e i fiori, beh, un facile trucchetto imparato da ragazzo: li avevo nascosti nella manica!» Il vecchio rise nel raccontare come si era spacciato per mago quel giorno.

Il vecchio scolaro e l’anziano insegnante conversarono a lungo e infine si dissero addio con un abbraccio.

«Mi ha salvato la vita professore!» Abele era commosso e infinitamente grato.

Pochi anni dopo trovò moglie ed ebbe due splendidi bambini. La prima cosa che volle insegnare ai figli fu la fiducia in se stessi. Ripeteva loro sempre una frase, che una volta adulti ripeterono ai propri bambini, e questi, cresciuti, ripeterono ai figli, i pronipoti di Abele. La sua progenie si distinse per il gran numero di uomini e donne che fecero la differenza in questo mondo, portando innovazioni, benessere e un sacco di cose buone.

La gente credeva che i membri di quella famiglia fossero tutti in qualche modo fortunati, tuttavia la fortuna non ebbe niente a che fare con loro storia.

Aveva a che fare con la cosa tanto importante che Abele ripeteva sempre e che tramandò ai discendenti:

«Non credete mai di essere ciò che gli altri vogliono farvi credere. Ascoltate solo la voce del cuore: dirà sempre cose buone di voi, e questa è l’unica verità!»

Grazia Catelli Siscar

 

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