Navigando nelle infinite possibilità dell'essere

6. LA STRANA STORIA DEL DIAVOLO DAL CUORE BUONO

C’era una volta, nel buio e spaventoso inferno, un diavolo che si era stancato di fare il cattivo. So bene che vi sembrerà strano, eppure accadde proprio questo: un bel giorno Geppo ˗ così si chiamava il diavoletto ˗ provò la fastidiosa sensazione che il suo mestiere di fare il male fosse una cosa stupida e priva di significato. Così decise di rivolgersi al suo diretto superiore, un diavolo comandante.

1 GEPPO«Capo, sono stanco di essere cattivo, mi sento infelice» gli disse.

Il comandante sgranò gli occhiacci gialli e rispose: «Ti ha dato di volta il cervello? Un diavolo è cattivo per natura, come puoi esserti stancato di ciò che sei?»

«Ecco… non so cosa mi stia succedendo, so soltanto che non voglio più essere costretto a infliggere il male! Posso smettere di farlo?» insistette Geppo.

Il comandante allargò le grandi ali nere e sputò fuoco, molto scocciato dalle inopportune stravaganze di quel diavoletto subalterno.

«Torna immediatamente al lavoro! Non venire più a disturbarmi con le tue scemenze, e stai attento che questa cosa non arrivi all’orecchio del principe, o per te saranno guai molto seri!» gli disse con un tono perentorio che non ammetteva repliche.

2 DIAVOLACCIO COMANDANTE

Geppo tornò sconsolato nel suo girone, cioè uno dei tanti reparti dell’inferno, afferrò lo strumento di lavoro, il forcone, e di malavoglia riprese a inforchettare il sedere dei peccatori. La cosa peggiore del suo mestiere non era tuttavia l’uso del forcone, ma le offese umilianti che era costretto a dire ai dannati. Non ce la faceva più a vedere, secolo dopo secolo, i loro sguardi mortificati dagli oltraggi. Quegli sguardi ferivano anche lui.

I giorni passavano, sempre più lenti, sempre più grigi per il diavoletto infelice, che continuava a rimuginare su come poter uscire dalla condizione di cattivo senza speranza. Convenne con se stesso che l’unica via fosse parlare al principe: lui doveva di certo saperne più di tutti nell’inferno! Si trattava di un grosso rischio, il capo supremo dei diavoli era famoso per la sua crudeltà, e chi aveva osato avvicinarlo non era più tornato per raccontare del suo incontro con il principe del male. Egli ammetteva solo diavoli da lui stesso convocati, e perlopiù erano i generali e i comandanti ai quali doveva impartire nuovi, terrificanti ordini. Tuttavia, nonostante la grande paura, oramai Geppo preferiva affrontare la morte piuttosto che continuare la sua infelice esistenza.

Un giorno quindi partì. Scavalcò montagne di braci, costeggiò laghi di fuoco, oltrepassò gorghi di lava, attraversò gli innumerevoli gironi dell’inferno uno per uno, e ci mise un’infinità perché l’inferno era talmente vasto che nessuno lo aveva mai visitato per intero. Finché arrivò alla grotta, la dimora del magnifico, il supercapo di tutti i diavoli: il principe Lucifero. La paura faceva tremolare Geppo come un budino di gelatina, mentre camminava nell’immensa grotta e provava e riprovava a bassa voce il discorso che avrebbe fatto al principe, una volta giunto al suo cospetto. Immaginava tutti gli scenari peggiori: essere divorato da Lucifero come un panino, o mandato per punizione a lavorare nel girone più crudele e infernale dell’inferno, finire lui stesso a subire immonde torture, e via così, tutte le cose più brutte che gli venivano in mente, tanto che fu sul punto di rinunciare e darsela a gambe quasi a ogni passo.

La volta della grotta era incastonata da milioni di cristalli, e per un po’ quello spettacolo stupefacente lo distrasse dai suoi catastrofici pensieri. Non aveva mai visto un luogo tanto luminoso nell’oscuro inferno.

Dopo un percorso che sembrava infinito, intravide in lontananza un bagliore, come una luce pulsante, e la luce diventava sempre più intensa man mano che lui si avvicinava. Quando fu sufficientemente vicino capì che quella luminosità, ora un faro abbagliante di fredda, sinistra luce, era Lucifero in persona seduto sul suo trono. Geppo si avvicinò ancora un poco, quel tanto che bastava per far udire la propria voce, ma doveva schermare il muso con le zampe anteriori perché la lucentezza di Lucifero gli feriva tremendamente gli occhi; non riusciva nemmeno a guardarlo.

«Chi osa disturbare il principe Lucifero?»

3 LUCIFERO NELLA GROTTA

La voce del grande capo dei diavoli, che parlava di se stesso in terza persona proprio come fanno i monarchi, echeggiò tra le pareti della grotta in un’eco terrificante; Geppo non aveva mai sentito niente di più orribile! E dire che i lamenti dei peccatori gli erano sempre sembrati la cosa peggiore che potesse udire! Come si sbagliava!

«Sono diavolo Geppo» rispose; ma si rese conto che in verità la voce non era per niente uscita dalla sua bocca. La paura gli aveva cementato la lingua!

«Ehm… Ehm… sono Geppo» disse ancora schiarendosi la gola. «Ho attraversato tutto l’inferno, o magnifico principe, per chiedere a te, a te che sai tutto, una cosa molto importante» aggiunse.

«Chiedi!» accordò Lucifero, forse lusingato dalle parole del diavoletto.

«Ebbene» cominciò a spiegare Geppo, più tremolante della fiammella di una candela nel vento. «Sono stanco di fare il cattivo, mi rende infelice. Posso lasciare il mio lavoro da inforchettatore di peccatori?»

Nel momento stesso in cui pronunciò la frase, Geppo si rese conto che poteva sembrare una provocazione, e che forse era troppo diretta. In attesa della risposta di Lucifero, gli si gelò tutto il sangue nelle vene, per quanto fosse già abbastanza freddo!

Gli occhi del principe lampeggiarono come saette infuocate.

«Sei un diavolo, la tua natura è malvagia e non la puoi cambiare. Quindi la mia risposta è no!» Lucifero fu perentorio, ancor più di quel comandante al quale si era rivolto per primo il diavolino.

«Eppure, se provo una così grande tristezza a perpetrare il male, significa che la mia natura non è tutta malvagia. Forse possiedo un pezzetto di bontà!»

Geppo non si voleva arrendere, aveva la sensazione che gli stessero tutti mentendo. D’altra parte lo sapeva, la menzogna è uno dei tanti volti della cattiveria perché induce gli altri in errore a bella posta, e i diavoli sono bugiardi.

«Ho sentito dire che sopra tutte le gerarchie c’è un re, il padrone e capo assoluto dell’universo. Forse è a lui che devo chiedere cosa fare».

Non avrebbe dovuto dire una cosa del genere; era come ammettere che ci fosse qualcuno più importante del principe Lucifero! Inoltre non era affatto sicuro, Geppo, che questo re esistesse davvero, si trattava di voci che ogni tanto circolavano all’inferno sopra un certo essere chiamato Dio, e chissà se dicevano il vero. Si chiese dove aveva trovato il coraggio di parlare con tanta sfrontatezza proprio al principe di tutti i diavoli!

«Cosa?» tuonò Lucifero. Tuonò così forte che alcuni cristalli si staccarono dal soffitto della grotta e precipitarono conficcandosi nella terra; uno di questi per poco non infilzò l’orecchio destro del povero, terrorizzato diavoletto.

Nel frattempo il principe si era alzato dal trono, e finalmente Geppo riuscì a vederlo, ma ne avrebbe volentieri fatto a meno perché la sua bruttezza era tale da non potersi descrivere a parole.

Quando il principe delle tenebre avanzò verso di lui, gigantesco, con le immense ali spiegate e le fauci spalancate, Geppo si voltò e fuggì più veloce che poteva.

Attraversò di nuovo tutto l’inferno, voltandosi di tanto in tanto per controllare che Lucifero non gli stesse correndo dietro, e corse a perdifiato finché giunse esausto, ma salvo, al suo girone. Per qualche strano motivo era l’unico diavolo che aveva riportato a casa la pelle dopo la folle iniziativa d’incontrare Lucifero.

Riprese il monotono e triste lavoro, ma più passava il tempo più cresceva dentro di lui il desiderio di sfuggire al suo destino. Tuttavia non sapeva proprio che fare, e nessuno pareva disposto a dargli qualche informazione. Forse aspirava a qualcosa d’irraggiungibile, forse era lui quello sbagliato, un diavolo di seconda categoria, un povero fallito! Ma l’infelicità che provava era troppo forte perché riuscisse a ignorarla.

Pensa che ti ripensa, trovò una sorta di compromesso: cominciò a dare forchettate un poco più leggere, sperando che nessuno se ne accorgesse. I primi tempi filò tutto liscio, allora prese coraggio e pian piano diminuì la forza, finché le sue forchettate divennero leggeri punzecchiamenti che non facevano nemmeno tanto male. Riuscì anche a trovare parole meno offensive, più che altro ammonimenti e sgridate, come quelle che potrebbe fare una madre al suo bambino quando commette una marachella. In breve si sparse la voce che quel diavoletto infliggeva pene più sopportabili, e tutti i giorni si formava una gran fila di gente che voleva farsi punire da lui. La cosa strana era che i peccatori si pentivano in ogni caso, anche se subivano castighi più lievi. Anzi, il loro pentimento era persino più sincero se ricevevano un po’ di compassione. In fondo pativano già lo strazio di rivedere il male che avevano causato durante la vita, e quello era più che sufficiente alla loro redenzione!

Nonostante lo stratagemma, Geppo era ancora infelice perché si trovava comunque nella condizione di essere un diavolo cattivo, anche se meno cattivo degli altri.

4 DIAVOLESSA

Un giorno si avvicinò a lui una diavolessa e gli parlò con fare circospetto: «Ho saputo cosa ti tormenta». La diavolessa bisbigliava e girava lo sguardo intorno per assicurarsi di non essere vista. «Ebbene, ho sentito dire che fuori di qui esiste un esercito al servizio di un re. I suoi soldati si chiamano Angeli e fanno il bene».

A Geppo s’illuminarono gli occhi e il cuore gli fece un balzo nel petto. Finalmente qualcuno gli dava una buona notizia!

«Angeli, che bel nome! E come fanno a fare il bene?» chiese tutto eccitato.

«Questo proprio non lo so. Ho saputo soltanto che usano una certa cosa che si chiama… Uhm, aspetta che provo a ricordare… ah, sì! Si chiama preghiera

La diavolessa aveva risposto continuando a girarsi a destra e a sinistra, preoccupata che qualcuno potesse sorprenderla a parlare di cose proibite.

«Preghiera… E come si compie questa azione chiamata preghiera?» Geppo sentiva di essere a un punto di svolta importantissimo.

«Non ne ho idea. Ora devo andare» replicò la diavolessa e poi scomparve.

Geppo aveva la sensazione di tenere uno scrigno tra le mani del quale però non possedeva la chiave. Che fare dunque? Si lasciò guidare dall’istinto, qualcosa di simile alla vocina che lo tormentava da tempo e gli faceva desiderare il bene al posto del male.

L’istinto lo indusse a rivolgersi a quel re chiamato Dio: «Dio, re dell’universo, se senti la mia voce sperduta quaggiù nel profondo e buio inferno, per favore aiutami. Sono infelice, non voglio più fare il male. Insegnami, come posso fare il bene?».

5 ESSERE DI LUCE

Non appena ebbe pronunciato quelle parole, lo scenario attorno a lui cambiò. Si trovava, ora, in un luogo opalescente; un posto senza confini né geometrie che sembrava fatto di madreperla. Mentre si guardava tutto attorno stupito, vide arrivare un essere luminoso. La sua luce non era fredda e tagliente come quella di Lucifero, bensì era calda e accogliente, tanto accogliente che faceva desiderare di abbracciarla. L’essere si avvicinò ancora e Geppo scoprì con meraviglia che poteva guardarlo perché, nonostante l’intensità, la sua luce non feriva gli occhi.

«Abbiamo sentito la tua preghiera» disse l’apparizione.

Anche la sua voce era calda. Era dolce e piacevole come un canto, e Geppo non aveva mai sentito un canto. Il diavoletto fu pervaso da una sconosciuta, grande commozione; aveva voglia di piangere e non sapeva nemmeno lui perché.

«Dove siamo?» chiese con la voce strozzata dallo sforzo di non lasciarsi andare al pianto, ma già le lacrime rigavano il suo muso.

«Un luogo di mezzo» rispose l’essere di luce. «Qui puoi svolgere un lavoro più grato: puoi parlare ai trapassati, spiegare loro che hanno attraversato la soglia della morte e confortarli, così che non abbiano troppa paura. Successivamente dovrai consegnarli a uno di noi. Lo vedi quel cancello laggiù?»

Geppo seguì con lo sguardo la direzione che gli stava indicando la creatura, e vide un magnifico, enorme cancello tutto d’oro.

6 CANCELLI DEL PARADISO

«Quel cancello è un’altra soglia e conduce a un luogo molto più luminoso e bello, una città tutta di luce» riprese a spiegare la creatura.

Geppo era confuso, commosso, estasiato; era al colmo della felicità! Una sola, sincera preghiera lo aveva salvato dal buio nel quale era confinato da secoli. Quale potenza, quale immensa magia!

«Sì, la preghiera è una portentosa magia!» disse la creatura luminosa, che evidentemente leggeva nel pensiero. Anzi, a quel punto Geppo si rese conto che lui e l’essere di luce non stavano parlando, bensì comunicavano con il cuore.

«Sei felice?» chiese la creatura.

Sì, Geppo era molto felice, anzi non esisteva una parola adatta a descrivere la grandezza della sua felicità. Eppure… eppure quella immensa gioia era offuscata da un leggerissimo velo di malinconia. E forse la creatura aveva posto la domanda proprio perché Geppo si accorgesse di quell’ombra di tristezza.

«Sono molto felice. Tuttavia… tuttavia penso ai diavoli dell’inferno che non sanno niente di tutto questo, e non lo sapranno mai se non torno laggiù a raccontare ciò che ho visto!»

«Vuoi davvero rinunciare al tuo nuovo incarico e tornare nel buio e spaventoso luogo dal quale provieni?» l’essere di luce parlò con un sussurro.

Il cuore di Geppo si stava letteralmente sbriciolando dal dolore. No che non avrebbe voluto tornare laggiù! Eppure sentiva il dovere di farlo. Non poteva tenere solo per sé una tale conoscenza! Gli altri diavoli dovevano sapere che non erano costretti a fare il male, che potevano scegliere, che potevano uscire dal loro inferno! E che se avessero scelto il bene la loro esistenza si sarebbe trasformata da un incubo oscuro a un sogno luminoso.

«Devo, devo farlo!» rispose tra i singhiozzi.

«Così sia» rispose la creatura con un dolcissimo sorriso, e aggiunse: «Arrivederci generoso diavoletto», ma Geppo non poteva sentire, stava già precipitando nel luogo da dove era venuto.

Quando si ritrovò nel suo girone, l’inferno gli parve ancora più buio e spaventoso, più puzzolente, più ingrato, insomma davvero più orrendo. Ma sapere che esistevano luoghi pieni di luce, di pace e d’amore, lo riempiva di speranza e di conforto. Così si mise all’opera, e cominciò a fare ciò per cui era voluto tornare indietro: diffondere la conoscenza. Cominciò ad avvicinare tutti i diavoli che poteva e a raccontare loro ciò che aveva visto. Molti restarono indifferenti, altri lo derisero, prendendolo per pazzo e visionario. Ma qualcuno invece lo ascoltò, perché soffriva nella condizione di cattivo, esattamente come aveva sofferto Geppo.

Sostenuto dalla certezza di quanto la sua missione fosse importante, Geppo continuò a divulgare l’insegnamento della preghiera e l’esistenza di esseri meravigliosi, capaci di una cosa che non riusciva a descrivere, perché si poteva solo sperimentarla, il cui nome era: amore.

Nel frattempo, in quella lontana e al tempo stesso vicina dimensione di madreperla, l’essere luminoso sorrideva felice e soddisfatto perché stava preparando una sorpresa a Geppo.

Quale genere di sorpresa? Ebbene, questo è un mistero. Ma vi posso dire che un giorno Geppo sarebbe tornato nel meraviglioso luogo madreperla e avrebbe vissuto molto, molto felice. Naturalmente insieme a tutti i diavoli che gli avevano creduto e si erano ribellati alle bugie di un principe oscuro per conoscere la verità e l’amore del Re della Luce.

Grazia Catelli Siscar

 

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