Brillii, luccichii, sfavillii: l’anno nuovo si annuncia come una festa di luci. Il buio, immagine dell’ignoto e di tutte le paure umane, fa come sempre da sfondo, ma c’è luce, desiderio di gioia e di rinnovata speranza. Negli addobbi e nelle luminarie, che vorrebbero prolungare il Natale, l’oro e l’argento spiccano su tutti i colori: perché? Si potrebbe rispondere perché sono quelli più splendenti, ma forse c’è un motivo più profondo, che non si esaurisce nell’effetto estetico.
Certamente l’oro è associato d’istinto alla ricchezza, perciò all’augurio di benessere e di felicità (anche se già il poeta latino Tibullo in una famosa elegia gli attribuiva la colpa dei «nostri mali», in quanto causa di guerra). La caratteristica principale che lo rende prezioso, oltre alla rarità e all’aspetto lucente, è la sua incorruttibilità (benché, ironia della sorte, sia sempre stato causa di corruzione). L’oro non si deteriora, resta intatto nel tempo. Ricordo l’immagine di un’archeologa che sfila un anello d’oro dai resti mortali, appena rinvenuti sotto uno strato di cenere e lapilli, di una vittima dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.: dopo diciannove secoli di buio lo immergeva semplicemente in un bicchiere d’acqua, traendolo splendente, come nuovo.
L’inalterabilità dell’oro richiama l’idea dell’eterno e del divino, dei valori profondi e immutabili, perciò gli oggetti del culto sono forgiati col materiale non solo più prezioso, ma anche più simile alla divinità. D’altro canto il suo aspetto è determinante: quale colore più dell’oro si avvicina alla luce solare, al dio datore di vita, adorato da tutti i popoli?
L’oro perciò rappresenta la ricchezza sia materiale sia spirituale. L’aureola (dal latino aureus, «d’oro», sottinteso corona) evidenzia con il suo splendore la santità della figura di cui incornicia il capo. Per i monaci bizantini, che in uno stato di preghiera e di meditazione realizzavano le sacre icone, l’oro non era un semplice colore (ben diverso dal giallo, a cui associavano una valenza prevalentemente negativa), ma riflesso puro della luce divina. In quanto privo di colorazione materiale, esso svolge un ruolo importante nell’iconografia, perché sta a significare la presenza reale dello Spirito.
Si tratta, dunque, di un colore soprannaturale, che conferisce regalità e facilita l’apertura alla dimensione spirituale. Barbara Ann Brennan nel suo prezioso manuale Mani di luce attribuisce alla luce d’oro il potere di creare connessione con Dio e amore divino al servizio dell’umanità, mentre sul piano terapeutico «ristruttura il settimo livello, rafforza e carica il campo energetico».
Per restare nell’ambito terapeutico del colore ricordiamo Vicky Wall, la nota creatrice dell’Aura-Soma, terapia olistica a base di oli cristallini, estratti di piante ed essenze d’erbe. Nel libro Guarire con i colori collega l’oro al settimo chakra e gli attribuisce la proprietà di suscitare saggezza in qualsiasi combinazione cromatica: «unito al verde dà la saggezza per scegliere correttamente il proprio spazio; unito al rosso equilibra e incanala le energie sessuali e terrene; unito al blu è utile al guaritore e reca pace e armonia all’intero essere».
Se l’oro rappresenta il sole, l’argento è simbolo della luna e richiama il riflesso delicato e segreto della perla e dell’acqua. Mentre il “metallo solare” esprime azione e calore, il “metallo lunare” è freddo ma non necessariamente passivo: agisce infatti sulla componente emotiva, affina la sensibilità e infonde equilibrio, stimolando la purificazione interiore attraverso il fondamentale processo di introspezione.
Come l’oro deriva dal sole la sua valenza maschile, caratterizzato dalla stabilità, così l’argento è associato a quella femminile, legata al continuo cambiamento della luna, in una simbologia che in apparenza contrappone l’essere al divenire, ma che in realtà allude alle due componenti inscindibili dell’Unico, esemplificato dal mito platonico dell’androgino, dal principio di Yin e Yang, alla base del sistema filosofico cinese, dalle «Nozze Alchemiche» dell’oro e dell’argento e dalla teoria junghiana di animus e anima. A rigore, si potrebbe osservare che la “mutevolezza lunare”, in quanto ciclica, è simile piuttosto a una ruota che perennemente gira, per cui si tratta di un apparente divenire, cioè in definitiva di un evidente aspetto dell’essere.
Ritroviamo lo stesso concetto nella complessa simbologia dell’antico Egitto, rappresentato dalla «Barca Solare», la più importante e frequente fra tutte le visioni che caratterizzano il Libro dei morti: la barca che porta il disco del sole, ovvero l’immagine del dio Râ, altro non è che la falce sottile di luna crescente, identica a quella inclusa nel loto del secondo chakra. Il sole inscritto nel semicerchio lunare ornava la fronte di Apis, di Hathor, di Thoth, di Iside e di tante altre divinità. Si tratta quindi dell’unione (Sinarchia) dei due Luminari, simbolo dell’«Uomo cosmico», dello stesso Osiride prima di essere smembrato e poi ricomposto nella sua integrità.
Da qui la necessità d’integrare l’oro e l’argento nella nostra vita, date le intense valenze simboliche ed energetiche racchiuse nella loro unione, anche indossandoli consapevolmente con un monile di buona lega. L’oro è il colore del Sé, della nostra vera essenza, dell’«uomo interiore» a cui si può giungere tramite lo specchio argenteo di riflessione e introspezione.
Alla saggezza dell’oro, da ultimo, si unisce il silenzio: «Il silenzio è d’oro», ci ammonisce (in genere con esiti incerti) l’antico proverbio. In effetti esso costituisce l’insostituibile condizione per cogliere la voce dell’essere di luce che è dentro di noi. Se non creiamo questo spazio interiore per ascoltarla, arginando il flusso incessante del mondo esteriore che rischia di portarci alla deriva, essa può giungerci solo a tratti, simile a un flebile «lamento», come dice Aldo Palazzeschi nella poesia, ricca di allusioni simboliche, che significativamente intitola La voce dell’oro.
Sono alti i cipressi che formano il cerchio,
nel basso le siepi di spine s’intrecciano
terribilmente.
Al centro del cerchio è il pozzo profondo
che ha in fondo,
lo dice la gente,
il tesoro.
Sono alte le siepi di spine,
raggiungon la chioma degli alti cipressi,
terribili intreccian le braccia fra loro.
Da secoli e secoli tanti
nessuno tagliò quella macchia paurosa;
la gente, da secoli tanti,
non passa vicino a quel cerchio.
Soltanto alla sera al calar del sole
ognuno sta attento in orecchi,
dal centro del cerchio,
dal fondo del pozzo profondo,
vien fuori un lamento: «la voce dell’oro».
Brillii, luccichii, sfavillii: l’anno nuovo si annuncia come una festa di luci, di suoni e… di voci.
Cesare Peri
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