In fondo al cuore di ogni essere umano si cela uno strano senso di nostalgia, a tratti appena percepibile, a tratti intenso, a seconda dell’indole, dell’età o di un particolare momento. A prima vista si potrebbe facilmente collegarlo con una fase felice del passato, o più facilmente risalire alle esperienze dell’infanzia, non di rado idealizzata, oppure ci si può spingere più in là, riconoscendo in questo misterioso sentimento, spesso struggente e insieme indecifrabile, un riferimento a una dimensione diversa, quella dell’anima, che precede la nostra avventura terrena.
“Nostalgia” è parola greca e propriamente significa “sofferenza (alghia < algos,) per il ritorno (nostos). Include perciò il desiderio di tornare indietro, in un luogo o in una situazione, in cui si sono sperimentati sentimenti positivi: serenità, pace o forse un senso di beatitudine e di comunione con il Tutto, che l’individualità e la realtà materiale dissolvono poi in rigide divisioni e insuperabili distanze. In definitiva questo strano sentimento, dolce e insieme amaro, che sembra volerci trasportare lontano, racchiude un anelito di felicità e può nascere da un semplice ricordo oppure da un’indefinibile memoria più lontana, appena intuita, o vissuta inconsciamente (come nel grembo materno), di cui però conserviamo nel profondo una viva traccia.
Poiché sappiamo che i colori costituiscono «il linguaggio emozionale dell’inconscio» (Lüscher), in quali di essi potremmo provare a riconoscere questa particolare sensazione o sentimento? Forse potremmo partire con il bianco, sia perché ci ricorda la purezza, il candore e l’innocenza dell’infanzia, sia perché contiene potenzialmente tutti i colori, come le qualità racchiuse nei primi anni di vita. Non solo ci ricorda il camicino candido del battesimo, ma è in noi come l’archetipo dell’inizio e della luce, associato allo Spirito come fonte di tutta la realtà.
«Il bianco è una sorta di silenzio che potrebbe essere compreso», osserva Kandinskij, proprio come l’infante, che ha in sé tutto, ma non ha ancora sviluppato la parola (lat. in-fantem. “che non parla”). Il bianco simboleggia l’inizio (e anche la fine) della fase vitale e in generale situazioni di “transizione”.
Se vogliamo restare nell’ambito dell’infanzia, come luogo per eccellenza della nostalgia, senza pretendere di spingerci più indietro (come nell’ipnosi regressiva), i colori che più facilmente si aggiungono al bianco, sono l’azzurro e il rosa, che potremmo quasi definire “creazioni” del bianco, in quanto trasmette le sue qualità a due colori opposti e antagonisti, quali il blu e il rosso, attenuandoli e unificandoli come per magia (e in effetti il bianco racchiude qualcosa di magico).
Il blu è un colore freddo e centripeto, simbolo del cielo e del mare, della speculazione mentale e dello spirito; il rosso è un colore caldo e centrifugo, simbolo della terra, della materia e dell’istinto. Eppure la “carezza” del bianco trasmette a entrambi le sue delicate qualità, ed ecco comparire l’azzurro, fresco e sereno, e il rosa, tenero e dolce, che ci ricordano il profumo immacolato dei primi grembiulini.
L’originaria contrapposizione cromatica si fonde in una comune sensazione di freschezza, purezza, serenità, quiete, gentilezza ed elevazione spirituale. Il dio supremo egiziano Amon era raffigurato azzurro come il cielo sereno, e così pure il dio babilonese Marduk. L’azzurro alleggerisce ed eleva il pensiero umano verso l’aldilà, l’eternità e l’infinito più dello stesso blu, e il rosa trasforma la passione in amore incondizionato, spiritualizzando l’impulso istintivo in accoglienza reciproca e tenerezza.
Entrambi i colori ci conducono nel mondo delle fiabe. Che dire del «principe azzurro» e della «fata dai capelli turchini»? Il rosa, secondo il mito greco, nacque dal rosso del sangue di Afrodite, la dea dell’amore, allorché si punse con la spina di una rosa bianca, mentre correva in soccorso del suo amato Adone. Felicità, bellezza e tenerezza aleggiano in essi come in un sogno e la cromoterapia ne riconosce le qualità calmanti e insieme rivitalizzanti.
Il bianco, associato al raggio lunare (dimensione femminile) accentua la componente femminile sia del blu (associato all’acqua e alla donna), sia del rosso (associato al sangue e alla vita). Blu fu l’abito di Maria a partire dal XII secolo e rosso rimase quello della sposa fino alla metà del XIX. La qualità predominante, che unifica questi tre colori con un senso di tenerezza e di protezione, potrebbe quindi definirsi materna. La nostalgia, per quanto vaga e misteriosa, rivela evidenti connotati femminili e di conseguenza evoca la figura della Madre.
Cesare Peri
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