Navigando nelle infinite possibilità dell'essere

103. SEI COLORI PER PENSARE

09/07/25

Le valenze dei colori, per quanto radicate nell’inconscio come “linguaggio emozionale”, travalicano la semplice sfera emotiva, toccando il vertice della dimensione intuitiva e simbolica. Nell’ampio spettro dei significati un ruolo centrale è rappresentato dalla loro corrispondenza con i diversi livelli di coscienza, che trovano riscontro nei chakra. Di conseguenza possiamo dire che a ogni colore corrisponde un determinato punto di vista (e persino una certa “tipologia caratteriale”).

Proprio a questa varietà cromatica come possibilità di osservare la realtà, e quindi affrontare problemi e situazioni, sotto luci diverse, attinge l’originale e famoso libro di Edward de Bono, Sei cappelli per pensare (Rizzoli, Milano 1991), giunto oggi alla dodicesima edizione. Si tratta di un Manuale pratico per ragionare con creatività ed efficacia, come recita il sottotitolo, ormai adottato da molte grandi aziende.

In pratica si spiega come semplificare il pensiero, scomponendolo nelle sue componenti emozionali, razionali, intuitive e creative, così da facilitarne l’espressione, che spesso risulta poco chiara proprio per l’intrecciarsi dei suoi elementi costitutivi. Il geniale autore avrebbe potuto suggerire a ciascun membro di un team di alternare l’uso di occhiali dalle lenti colorate per osservare la stessa questione sotto una diversa luce, ma ha preferito l’analoga idea di cappelli colorati, quasi a voler trasfondere direttamente nel cervello la qualità cromatica.

Una volta indossato il cappello, si tratta di «interpretare ruoli fissi che incarnano diversi punti di vista», liberando così ciascuno dalla fissità dei propri schemi ideologici e caratteriali, dal momento che il colore di ogni cappello definisce un certo tipo di pensiero. Così gli ottimisti possono finalmente sentirsi autorizzati a esprimere valutazioni negative e i razionali permettersi il lusso di essere creativi. Lo scopo, come si diceva, è la chiarificazione del pensiero, che in questo modo passa dal «normale metodo dialettico al metodo della mappatura», dato che «ognuno dei sei cappelli inserisce nella mappa un determinato tipo di pensiero», proprio come si procede per la stampa a colori.

«Vorrei che i pensatori visualizzassero e immaginassero i cappelli come veri. Perciò il colore è importante», scrive de Bono (p. 31) e di conseguenza richiama i significati base dei colori, invitando a impersonare le loro qualità come una parte da recitare o un gioco da svolgere all’interno di un’organizzazione o di un’azienda. In sintesi, per brevità, ecco qui di seguito i magici sei cappelli “cromatici”.

Il cappello bianco invita a considerare i dati e le informazioni con obiettività, come farebbe un esploratore o un geografo, senza sensazioni e giudizi, dal momento che «il bianco è un colore neutro e oggettivo e aiuta il pensatore a separare nettamente i fatti da estrapolazioni e interpretazioni». La descrizione ovviamente, come per tutti i cappelli, è dettagliata e ricca di esemplificazioni, non senza un pizzico di ironia: «Ritengo che i politici incontrerebbero serie difficoltà nell’uso del cappello bianco».

Il cappello rosso apre invece la via alla libera espressione di emozioni e sentimenti, perché «il rosso suggerisce ira (vederci rosso), rabbia ed emozioni». Qui occorre essere espliciti ed esprimersi con massimo slancio e sincerità, diremmo “senza peli sulla lingua”.

Con il cappello nero si manifesta il punto di vista pessimistico e si sottolineano le cose che non vanno, in quanto «il colore nero è cupo e negativo». Chi lo indossa sarà sempre pronto a obiettare: «Sì… ma».

Con il cappello giallo siamo invece autorizzati a essere propositivi e innovativi, aperti alle migliori ipotesi, proprio perché «il giallo è un colore solare e positivo». È il cappello dell’ottimista e perciò «comprende la speranza», la ricerca di opportunità e di vantaggi.

Il cappello verde dà spazio al pensiero creativo, al concreto prodursi di nuove idee, proprio come «il verde evoca l’immagine dell’erba, di vegetazione e di crescita fertile e abbondante». Ha effetto «propulsivo», perché spinge a vedere «dove l’idea ci porterà».

Infine il cappello blu invita a esercitare un monitoraggio e una supervisione, come potrebbe fare un coreografo o un direttore di orchestra. «Il cappello blu è lo strumento di programmazione del pensiero umano», perché «l’azzurro è un colore freddo ed è il colore del cielo, che tutto sovrasta», e quindi «è connesso al controllo e all’organizzazione del processo del pensiero e anche dell’uso degli altri cappelli».

In conclusione potremmo osservare che questo metodo speculativo, al di là della sua efficienza aziendale, offre un ottimo suggerimento psicologico anche a livello personale, in quanto ci allena di fatto a superare «la difesa dell’io, responsabile della maggior parte degli errori che compiamo nel pensare» (p. 29).

Cesare Peri

         


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