Se qualcuno ci domanda quale sia il nostro colore preferito, siamo tutti (o quasi) pronti a rispondere, ma sapremmo altrettanto facilmente fornirne la motivazione? Una giustificazione di tipo estetico, politico o culturale, magari influenzata dalla moda o anche da ricordi e da valenze affettive, potrebbe essere simile a una vernice sotto cui si cela il vero colore, quello che corrisponde alla vibrazione energetica che ci caratterizza.
La risposta richiede infatti non una considerazione razionale, ma una percezione istintiva, quasi un riconoscimento, o autoriconoscimento, a prima vista non facilmente razionalizzabile se non per gradi, solo in un secondo tempo, attraverso un’analisi delle caratteristiche proprie di quel colore. Da qui la necessità di conoscere le valenze energetiche, psicologiche e simboliche del proprio colore, il quale nasconde risvolti caratteriali ed esistenziali (tendenze, desideri, bisogni, rifiuti e paure) da non sottovalutare.
Allora come riconoscere il proprio colore?
L’impatto istintivo è fondamentale, determinato dal piacere che quel particolare colore ci dà, dalla sensazione di benessere e di armonia che suscita a prima vista. La condizione base per avviare il famoso test dei colori di Max Lüscher, in grado di identificare non solo le note caratteriali, ma anche le aree conflittuali e patologiche, consiste nel fatto che essi devono essere scelti senza riferimenti mentali (per esempio preferenze per abiti, auto o gioielli), ma per se stessi.
Anche nella terapia dell’Aura-Soma di Vicky Wall, in cui si usano oli colorati e bilanciati contenenti estratti di piante ed essenze, all’inizio della consultazione si chiede al paziente di scegliere istintivamente quattro bottigliette in base al loro colore.
Queste bottiglie, secondo l’ordine della preferenza e le caratteristiche dei colori, riveleranno la storia della persona e la sua evoluzione, permettendo di identificarne le necessità. Un dato interessante, che potrebbe risultarci utile nell’indagare la motivazione del nostro colore preferito, è che alla base del sistema Aura-Soma c’è la considerazione che ogni persona sceglie istintivamente un colore, o più colori, perché corrisponde a quello della propria aura, il che fa pensare che la conoscenza aurica sia latente in ciascuno di noi.
Se ne deduce quindi che un colore particolare ci attrae e ci può far sentire bene proprio perché la sua vibrazione si accorda con la lunghezza d’onda del nostro campo elettromagnetico. La pratica cromoterapeutica conferma che ogni colore, in quanto flusso di energia, si accorda con il chakra dello stesso colore, potenziandolo e riequilibrandolo.
La nostra ricerca di una spiegazione di quel moto istintivo che ci fa dire «Questo è il mio colore!», potrebbe partire da qui, visto che i colori dell’aura esprimono il nostro stato sia psichico che fisico. Dall’associazione istintiva tra colori e bisogni psicofisici si è sviluppata la cosiddetta psicologia funzionale, la teoria che correla la scelta del colore al tipo di personalità.
Questo, dicevamo, potrebbe essere un buon punto di partenza per un’analisi del colore preferito, che tuttavia si rivela piuttosto complessa. Perché, ammesso di aver individuato la causa, che giustifica come di fatto la preferenza avvenga a livello inconscio, quindi istintivo o intuitivo, è come aver trovato solo la chiave per aprire quella porta che ci permette di accedere alla dimensione introspettiva, in cui le caratteristiche cromatiche possono gradatamente assumere l’aspetto di uno specchio in cui osservare, scoprire o riconoscere, aspetti fondamentali del nostro essere.
Quello che di conseguenza ci si palesa non ha l’aspetto di un corridoio o di un percorso rettilineo, ma piuttosto di una serie di scale che si intersecano e in qualche modo anche convergono, rivelandoci punti di forza e di debolezza (sempre che desideriamo prenderne atto), perché i colori hanno una profonda valenza simbolica e, come sappiamo, il simbolo è qualcosa che non si lascia mai interamente spiegare, ma allude sempre a qualcosa di più profondo, in apparenza sfuggente, che può però condurci al di là dell’abito della personalità, fino alla realtà della nostra anima.
Il “colore preferito” esprime in primo luogo il nostro stato d’animo prevalente, oltre alle tendenze caratteriali e al grado evolutivo della nostra coscienza. Prova ne sia il fatto che può variare col tempo e con le circostanze. L’infanzia ama i colori primari: il giallo e il blu, ma più di tutti il rosso, per la sua carica vitale. In età scolare i colori incominciano a subire l’influenza culturale (il rosa è riservato alle bimbe e di conseguenza è respinto dai maschi) e la preferenza non si limita più ai colori caldi (rosso, arancione, giallo), ma include anche quelli freddi (verde, blu, viola). L’adolescenza, in quanto età di passaggio, può amare anche il grigio e il nero, colore misterioso, con risvolti intellettuali e contestatari, mentre l’età adulta predilige in genere i colori meno vivaci, anche se le preferenze ovviamente variano secondo l’indole.
Gli estroversi, a prescindere dall’età, amano i colori caldi; gli introversi quelli freddi. Le personalità rigide, flemmatiche, si mostrano poco sensibili ai colori, mentre chi vive inibizioni emotive tende a fuggirli, quasi a difendersi dalle loro possibili rivelazioni, in quanto «linguaggio emozionale dell’inconscio» (Lüscher). Ai depressi piacciono i colori scuri, in particolare il marrone, mentre gli incerti, che non amano le decisioni importanti, simpatizzano per il grigio e il beige.
È interessante notare come il colore preferito influenzi la scelta dell’abbigliamento. A volte si scopre che il “proprio colore”, indossato, non piace o addirittura da un senso di disagio (come nel caso di colori che non ci sono graditi). A volte invece ci si sente bene. Nel primo caso potrebbe essere una prova che quel colore non si accorda con quello vero, della nostra aura, oppure che crea un fastidioso sovraccarico di energia (colore caldo) o un eccessivo calo (colore freddo). Spesso è il colore complementare a farci sentire a nostro agio, perché crea armonia ed equilibrio con la nostra aura. Infatti il colore dell’indumento può svolgere un’azione terapeutica, sia per la percezione visiva sia per la penetrazione a livello corporeo tramite la luce. Kandinskij afferma che il colore non solo influisce sullo stato fisico ed emotivo, ma influenza l’anima.
I colori dell’abbigliamento di fatto riflettono il temperamento e il modo di essere. Amare un particolare colore tuttavia non significa indossare solo quello. La monocromia rivela uno squilibrio o comunque un disagio interiore, il tentativo inconscio di compensare con un eccesso le qualità mancati di quel colore. Ma quali sono queste qualità? Sarebbe davvero utile conoscerle. Per quanto si possa prediligere una tinta e giustamente provare piacere nel circondarsi di oggetti dello stesso colore, la varietà cromatica è psicologicamente più benefica, proprio come si può amare un suono, una o più note, ma creare un accordo ne potenzia le qualità e l’effetto.
Assodata dunque l’effettiva preferenza per un colore e accreditata la probabile origine inconscia, come non lasciarsi prendere dal desiderio, o anche dalla semplice curiosità, di scoprire cosa si celi realmente in quel colore? Dal momento che «il colore è una categoria dello spirito, un insieme di simboli» (Pastoureau), iniziamo così a “dipanare la matassa”.
Cesare Peri
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