Si dice che una persona intransigente e volitiva, che non accetta “mezze misure”, veda ogni situazione e pretenda ogni decisione come “o bianca o nera”. È un desiderio di estrema “chiarezza”, che non ammette sfumature né compromessi, ma rischia di essere un po’ semplicistico, di fronte alla complessità del reale, e di esprimersi in atteggiamenti assolutistici e rigidi, spesso anche intolleranti.
In effetti il bianco e il nero sono simboli originari, archetipi dell’Assoluto, e costituiscono i due colori fondamentali, anche se definiti “acromatici”, cioè senza colore. Essi rappresentano i due estremi, gli opposti inconciliabili: la luce e il buio, il giorno e la notte, l’affermazione e la negazione, l’attivo e il passivo, il manifesto e il non manifestato, il bene e il male, lo spirito e la materia, la vita e la morte.
Sono così assoluti e opposti da evidenziare, più di ogni altra antitesi, la complementarità dei contrari: infatti sono l’esempio per eccellenza del codice binario che caratterizza la nostra dimensione terrena. In realtà non solo si può dire che siano gli estremi della stessa cosa e che uno non potrebbe esistere senza l’altro, ma di fatto sono la stessa cosa in due diverse manifestazioni. Del resto, poiché entrambi i colori sono simboli dell’Assoluto e l’Assoluto per definizione non ha il contrario, non potrebbero esistere come due assoluti: diventerebbero immagini del relativo.
Luce e tenebra, manifesto e non manifestato, come il giorno e la notte di Brahma, sono il Tutto, l’alfa e l’omega, la nascita e la morte, come fasi di un’eterna manifestazione.
A queste elevate riflessioni c’indirizzano necessariamente il bianco e il nero, interpretati già dagli antichi come colori iniziatici, in quanto legati ai culti orfici e ai misteri eleusini, e quindi all’esperienza mistica e rivelatrice della morte e della rinascita.
Questo apparente contrasto cromatico rivela uno straordinario denominatore comune: entrambi comprendono tutti i colori, ma il bianco li irradia intorno a sé, mentre il nero li assorbe e trattiene dentro di sé.
Il bianco rappresenta una situazione di transizione ed è associato a cambiamenti importanti della vita, accompagnati da simboli e “riti di passaggio”: bianco è il camicino del battesimo, l’abito della sposa, il sudario funebre, la veste che indossava nell’antica Roma chi si presentava “con candore”, cioè “senza macchia”, come aspirante a una carica pubblica (ancora oggi detto candidato), preludio a un cambiamento di stato sociale. L’ambivalenza di questo colore, simbolo di vita, include anche il suo opposto, in quanto simbolo di morte (il colore del cadavere), ma nello stesso tempo di rinascita, di fine e di nuovo inizio.
Anche il nero indica il passaggio tra la fine di un ciclo e l’inizio di un altro e si lega al processo di evoluzione personale come un momento di trasformazione. L’esperienza del lutto, del dolore e dell’andare brancolando nelle tenebre, quando i vecchi valori o punti di riferimento sembrano aver perso il loro significato, costituiscono straordinarie fasi di crescita.
«Più la notte è fonda, più l’alba è vicina» dice S. Paolo, e proprio l’immagine della notte è un altro elemento simbolico che unisce i due colori. Il nero è associato alle tenebre, il bianco al chiarore lunare, simbolo della conoscenza introspettiva. E qui troviamo una comune valenza positiva: la notte è per i Greci è euphróne, «benevola», perché «buona consigliera», apportatrice di riposo, di sogni e di saggezza. Ma nel mistero luminoso della notte, che suggerisce trascendenza e “vita oltre la vita”, il bianco e il nero esprimono anche l’angoscia e il dolore di chi resta o si arresta sulla soglia dell’oltretomba. Ecco allora entrambi i colori esprimere il lutto: il bianco nella tradizione cinese e indiana, il nero nell’occidente cristiano (al posto del bianco solo a partire dal Rinascimento).
Il nero è anche il colore del sottosuolo, che richiama non solo la valenza negativa dell’Ade, ma anche quella positiva della fecondità e dei tesori nascosti (Plutone, il signore dell’Oltretomba, significa «colui che arricchisce»), simile al grembo materno, perciò è anche simbolo della terra, come nella «prima fase» alchemica (nigredo), e in quanto tale acquista una connotazione femminile (per gli orientali il nero è un colore yin), caratteristica che ritroviamo nel bianco, in quanto associato alla Luna. Da qui le molte dee-madri e anche le dee-vergini nere: da Iside alla Diana di Efeso, all’Afrodite nera, alla Cibele caldea e all’Ereskigal assira, all’Artemide Polimaste di Efeso, fino a tante madonne, come nella cattedrale di Chartres, nel santuario di Monserrat e in quello di Oropa.
Il bianco e il nero si confondono poi nell’unico simbolo del silenzio, il primo associato alla neve e all’inverno, l’altro ai silenti spazi siderali, entrambi carichi di attesa, gravidi di qualcosa di misterioso e di imponderabile che vive in uno stato non di riposo, ma di sospensione, pronto a manifestarsi.
Persino la colomba, che per noi simboleggia la pace e lo Spirito Santo con le sue ali bianche, può tingerle di nero e, trasformata in geroglifico egiziano, esprimere la vedovanza di una donna rimasta fedele alla memoria del marito fino alla morte. Ma il nero era per gli Egizi anche portatore di benessere, perché ricordava il colore del limo, prezioso dono del Nilo.
Per noi il nero è sinonimo di negatività e di pessimismo, ma presso le tribù Masaia del Kenia e della Tanzania è simbolo di vita e di prosperità, perché associato alle nuvole, che portano la pioggia. Viceversa nella cultura orientale il bianco è il colore dell’occidente, quindi del tramonto e della vecchiaia, dell’abito delle vedove, tanto che la vista di un cavallo bianco è presagio di morte.
Il bianco e il nero, dunque, si scambiano i ruoli con una certa facilità e spesso si confondono.
Dal punto di vista psicologico è innegabile che il bianco esprima apertura e fiducia verso la vita e abbia un potere rivitalizzante, mentre il nero si associa a un atteggiamento di chiusura e di opposizione, talora di aggressività e di violenza, e non ha nessuna proprietà terapeutica, anzi produce effetti devitalizzanti a livello sia fisico che psichico.
Entrambi i colori indicano tuttavia personalità forti, inclini al dissenso, alla contestazione in nome di qualcosa di diverso dal comune e di più alto, e per questo piacciono agli adolescenti e agli intellettuali; però, se indossati in modo esclusivo, oltre a costituire una barriera che tiene lontano gli altri, rivelano spesso una personalità immatura, chiusa troppo in se stessa o affetta da perfezionismo. Il bianco e il nero, infatti, hanno la comune caratteristica di dare risalto agli altri colori, mentre, da soli, nascondono le emozioni, uno rendendole “asettiche”, l’altro “criptiche”. Donano invece eleganza dal punto di vista estetico ed equilibrio psicologico, se abbinati agli altri colori.
Chi dunque si pone con intransigenza di fronte alla realtà, non accettando le “gradazioni”, che ne costituiscono la ricchezza, e pretende d’imporre il rigido dualismo del «o bianco o nero!», rischia non solo di perdere le varie possibilità di una vera scelta, ma di essere risucchiato in un “assoluto psicologico”, che, come un buco nero, inghiotte e unifica tutto, anche la luce. E se pure scampasse a questa prospettiva, c’è da chiedersi se valga la pena di vedere il mondo “in bianco e nero”.
Attingiamo perciò, come dagli altri colori, anche dal bianco e dal nero i loro tesori, che offrono sussidi preziosi nei momenti emotivi più delicati, nelle fasi di radicale trasformazione della nostra personalità, e lasciamo fluire la loro energia nella corrente policromatica della vita!
Cesare Peri
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